UNA SCUOLA DIVERSA PER SAMANTA

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Adesso cominciano ad essere davvero in tanti a dire che la scuola va cambiata, che non ci può più essere la stessa scuola di prima del Covid. Già, ma come? Qui le parole si fanno rarefatte… non buttare via la DAD. Va bene, in compenso, buttare via i banchi a rotelle. Qualche ora in più di tecnologia corredata di qualche strumento in più. Tante buone intenzioni sulle comunità educanti e poco altro.

Evidentemente ce lo siamo chiesti anche noi e, come sempre facciamo, siamo partiti dai ragazzi e dalle ragazze veri, quelli che incontriamo tutti i giorni a scuola e in strada, in carne e ossa, con tutte le loro storie belle e brutte sulle spalle. Ecco per esempio: quale scuola “diversa” sarebbe necessaria per Samanta?

Intanto, oggi Samanta ha 14 anni e frequenta la seconda media, ma facciamo prima un passo indietro. Fino a due anni fa viveva con la zia in montagna. La mamma, quando lei è nata, faceva il “mestiere” e l’ha abbandonata ai genitori anziani, ma poi se ne era subito fatta carico la zia, che al paese fa la lattaia. Poi, arrivato il tempo delle scuole medie, due anni fa appunto, è stata portata dalla sorella maggiore, giù in città. Da poco sposata e con un bimbo piccolo, la sorella ha considerato fin dall’inizio un peso Samanta, che già di suo è una ragazza chiusa.

Carattere introverso, a tratti spigoloso, buona intelligenza ma molto nascosta, ha sempre rifiutato per principio la matematica. Non sa bene se le piacciono di più i maschi o le femmine e non sa con chi parlarne perché non ha amicizie e la sorella non le concede assolutamente di portare a casa nessuno. Ma neppure di vedersi fuori. Rapporto con gli insegnanti mediamente è problematico e formale. In queste settimane non sta più frequentando, ma già lo scorso anno trovava tutte le scuse e tutte le malattie per restare in casa da sola.

Dunque. Samanta ha bisogno per prima cosa di una scuola che la metta a proprio agio. Di qualcuno che la accolga e le chieda “come stai?”. Una scuola fondata sulla buona relazione con se stessi, tra adulti, bidelli compresi, e ragazzi, con l’ambiente, a partire dal giardino e dalle aule che devono essere ben curati.

Poi Samanta ha bisogno di fare esperienze, di incontrare persone significative e di imparare da queste. Non sa stare tanto tempo sul libro e dimentica facilmente le spiegazioni degli insegnanti sulla cattedra, ma sa raccontare con buona proprietà le vicende delle serie tv che la appassionano. Sa cucire bene e sarebbe davvero portata per l’atletica, se solo potesse frequentare una palestra.

Samanta avrebbe bisogno di una attenzione personale che possa “notare” e apprezzare le sue caratteristiche, le sue doti, e aiutarla a svilupparle in un percorso che sia il “suo” percorso. Poi ha un vitale bisogno di una scuola che si apre al mondo, non chiusa come lei, una scuola dove è la realtà ad essere materia di insegnamento, quello che succede fuori dai cancelli, che è importante ma che non viene condiviso sui social.

Sì, ha bisogno di qualcuno che le faccia capire quello che è importante e quello che è meglio mettere da parte. Una scuola che non sta solo dentro ai muri e al recinto, frequentata anche dagli artigiani del territorio, dai professionisti ma anche da persone che non hanno avuto successo nella vita.

Ma è così difficile costruire una scuola così?

Franco Taverna, Responsabile Nazionale Exodus Progetti Povertà educativa

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