Uscire dagli schemi per generare nuove opportunità. Intervista a Patrizia Pappalardo

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Supporto psicologico alle famiglie, giochi didattici per favorire lo sviluppo del bambino attraverso l’apprendimento, educazione alimentare: queste alcune delle attività che il Centro Internazionale delle Culture Ubuntu, con la collaborazione degli altri partner del progetto Dappertutto, porta avanti nel quartiere Tribunali Castellammare di Palermo.

Patrizia Pappalardo, presidente di Ubuntu e di grande esperienza maturata in ambito educativo interculturale e intergenerazionale, sorride apertamente quando ricorda il successo dell’attività di Formazione per baby-sitter a vantaggio di 20 persone che hanno concluso il percorso formativo: quattro di loro sono state contrattualizzate per lavorare in altre azioni previste dal progetto.

Patrizia, quali attività avete svolto nell’ambito del progetto Dappertutto, a parte la formazione delle baby-sitter?

«Innanzitutto, lo sportello di ascolto e sostegno itinerante Scuola-Territorio, che ha risposto a numerose richieste di supporto psicologico e sociale delle famiglie dei bambini frequentanti l’Istituto Amari-Roncalli-Ferrara. Poi il supporto scolastico di avvio alla scuola primaria per genitori di bambini della prima elementare, per favorire l’apprendimento attraverso attività ludiche e giochi didattici di gruppo. Durante il laboratorio sono state coinvolte le famiglie dei bambini in momenti di convivialità attraverso merende condivise con altri genitori. Il nostro scopo principale consisteva nella valorizzazione del coinvolgimento delle famiglie in tale percorso: una partecipazione imprescindibile perché è proprio all’interno del rapporto genitori-figli che si comincia a realizzare la crescita e lo sviluppo del bambino. Ubuntu ha supportato anche gli altri partner, mettendo a disposizione delle risorse umane per altre azioni di progetto: in particolare il tutor per il Laboratorio musicale per bambini di età compresa tra zero e sei anni, e le baby-sitter per lo Sportello informativo di orientamento al lavoro. Prossimamente verranno anche attivati, in collaborazione con SEND, i Laboratori sulla genitorialità positiva, in cui verranno inserite le baby-sitter formate da noi, e quelli di Educazione alimentare». 

Sono attività abbastanza differenti tra loro, che richiedono competenze diverse e un forte affiatamento nell’ambito del partenariato per incrementare l’efficacia delle strategie d’intervento. In che modo ciò ha rappresentato un arricchimento per te e per la tua professione? 

«Sicuramente questa esperienza ha consentito di approfondire la conoscenza del territorio, sviluppando strategie di intervento rispondenti a bisogni reali. Ciò ha permesso di consolidare le relazioni di fiducia e di collaborazione anche durante il periodo dell’emergenza sanitaria, fortificando i rapporti con le famiglie del territorio e con le istituzioni.

Parimenti è stata rafforzata la competenza nel lavoro di gruppo con il partenariato, in quanto sono state condivise procedure, strategie e modalità per dare continuità alle azioni avviate. Tutto ciò ha permesso una crescita delle competenze gestionali e organizzative nei ruoli di coordinamento, ma anche un arricchimento del bagaglio culturale degli operatori, che si sono reinventati e hanno affrontato situazioni anche molto diverse tra loro.

Non va infine trascurato l’aspetto relativo all’impegno professionale nell’ambito del welfare solidale, in quanto i territori tendono ad organizzarsi autonomamente e a trovare soluzioni di gruppo. La nostra presenza serve a facilitare relazioni e connessioni che portano ad un empowerment comunitario incentrato su forme di innovazione sociale. Sono queste ultime che possono favorire la generazione di cambiamenti nel territorio». 

Che tipo di richieste sono state avanzate dal territorio? 

«L’ambito di intervento del progetto presuppone il contatto con persone in condizione di disagio sociale, che vivono situazioni di difficoltà e di bisogno, prevalentemente materiale, ma anche culturale e sociale. Di fronte a tali richieste di aiuto e nel tentativo di fornire risposte efficaci, sono state messe in atto strategie di aiuto senza sconfinare nell’assistenzialismo. Abbiamo cercato di superare le distanze fisiche, fronteggiando l’emergenza attraverso contatti telefonici e piattaforme on line. Tutto il lavoro di supporto alle famiglie e sostegno sociale è stato mantenuto privilegiando l’ascolto delle persone in difficoltà che sono rimaste in contatto con l’associazione per via dei rapporti di fiducia, costruiti nel tempo. Le famiglie sono state incontrate in occasione della distribuzione di generi di prima necessità; in tale occasione è stato espresso il riconoscimento e l’apprezzamento per non essere stati dimenticati o lasciati da soli». 

A parte le palesi difficoltà, hai riscontrato qualche opportunità insita nell’attuale situazione di emergenza sanitaria? Cioè, ritieni che questa sia foriera anche di qualche insegnamento inatteso, per te stessa e per il progetto? 

«La situazione di emergenza sanitaria ha posto tutti di fronte all’evidenza che le relazioni interpersonali sono insostituibili e che sono state accentuate le diseguaglianze sociali per la mancanza anche solo degli strumenti di connessione che hanno permesso a tanti di adattarsi a questo nuovo assetto sociale ed educativo. Tuttavia, questa condizione ha permesso di avere un approccio non emergenziale nell’affrontare le situazioni di disagio progettando, con uno sguardo al futuro, interventi integrati finalizzati all’inclusione per le persone in situazione di svantaggio socioeconomico e cercando di ricreare partendo proprio dalle discrasie. L’insegnamento che se ne può trarre è quello di utilizzare il pensiero divergente, e quindi uscire dagli schemi, per raffigurare nuove opportunità ripensando gli spazi, riprogettando modalità operative e valorizzando lo smart working solo per gli aspetti gestionali ed organizzativi. Tutto ciò senza compromettere le relazioni umane, che nel nostro lavoro sono fondamentali». 

E con particolare riferimento alla comunità del quartiere Tribunali Castellammare di Palermo, quali valori positivi ne costituiscono il patrimonio? Qualcuno di questi valori sta favorendo il raggiungimento degli obiettivi di progetto? 

«I valori presenti nel territorio di intervento possono essere sintetizzati nel potere delle relazioni informali, nella capacità della comunità di creare forme di aggregazione solidali tra le famiglie, nella fiducia negli operatori a cui affidare i propri figli e nel desiderio di cambiamento. Tutto questo può sicuramente contribuire a raggiungere gli obiettivi di progetto, in quanto il percorso svolto e da svolgere implica il consolidamento del senso di corresponsabilità educativa. Riqualificando gli spazi del territorio come punti di riferimento di una rete socio-educativa coesa e presente, e riducendo la povertà educativa attraverso la creazione di un sistema di welfare comunitario diffuso e permanente, accompagneremo i bambini e le famiglie nella costruzione del proprio futuro».  

L’ultima domanda, forse la più importante: puoi raccontarmi un aneddoto da te vissuto durante il progetto? Per esempio, con i partners oppure con le famiglie e i bimbi che sono i beneficiari del progetto? 

«Di fronte all’emergenza sociale in cui si sono ritrovate molte famiglie, è stato necessario provvedere anche ai loro bisogni immediati relativi al sostentamento alimentare. Sono state incontrate settimanalmente alcune famiglie che, commuovendo gli operatori, hanno manifestato il bisogno di non essere abbandonati a se stessi e di essere supportati in questo momento difficile. Anche se l’assistenza alimentare non era prevista nel progetto, è stato ritenuto opportuno rispondere a questi bisogni primari per rafforzare la relazione di fiducia e il senso di comunità per cui ci si spende ogni giorno. Questi elementi rappresentano un asse portante dell’azione quotidiana in quanto solo una buona relazione di fiducia consente di partire dal singolo per arrivare all’intero nucleo familiare e da questo all’intera comunità educante. Ma questo non è avvenuto subito: abbiamo dovuto guadagnarci la fiducia da parte dei beneficiari. Ricordo una famiglia che aveva bisogno di un supporto da parte del nostro lo sportello di ascolto e sostegno itinerante Scuola-Territorio a causa di un persistente problema di socializzazione del figlio, che ne avrebbe potuto compromettere il rendimento scolastico. Affinché ci consentissero di aiutarli, abbiamo dovuto dimostrare di meritare la loro fiducia attraverso interazioni progressive: prima si è presentata la madre in avanscoperta, poi è tornata la madre con il figlio e infine l’intera famiglia. La fiducia deriva dalla reciproca conoscenza; e quest’ultima è favorita dalla quantità e qualità delle relazioni».

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