La pedagogia vista attraverso gli occhi di un orso (di pezza)
di Centro per lo Sviluppo Creativo Danilo Dolci
Ted è un piccolo orsetto di pezza con uno smagliante cuore rosso disegnato sulla maglietta, ma ha un ruolo fondamentale nel progetto Dappertutto: collabora con Valentina Grasso nella realizzazione di laboratori di arte-narrazione-movimento e di percorsi di supporto all’apprendimento rivolti ai bambini nella fascia d’età che va dal nido al primo anno della scuola primaria.
Allora TED, come definiresti il tuo rapporto di collaborazione con Valentina Grasso?
«Beh, ci diamo un supporto reciproco. Lei si occupa dell’ideazione dei progetti, come il concorso #conibambiniallafinestra, la serie “Arte in gioco” incentrata sulla scoperta del mondo dell’arte e dei personaggi che lo abitano, e il percorso “Saltaversi. Rime animali in movimento”. Io la aiuto a tradurre le sue teorie complicate in parole comprensibili ai bambini e, speriamo, anche agli adulti. Non partecipo ai percorsi di formazione che Valentina svolge con docenti e genitori su tematiche riguardanti metodologie espressive ed educazione all’aria aperta. In quel lavoro lei se la cava benissimo anche senza di me. Mi piace questa collaborazione. Certo, lei è una che parla coi pupazzi, ma nessuno è perfetto, no?».
Giusto Ted, ma dimmi, pensi che per te e Valentina lavorare al progetto “Dappertutto” abbia costituito un arricchimento in termini professionali e umani?
«Non capisco cosa intendi per “arricchimento in termini umani”. Certamente siamo cresciuti moltissimo, grazie alle relazioni che abbiamo instaurato con così tanti bambini, coi genitori, con gli educatori e con i partner di progetto. All’inizio ci sentivamo come due semi lasciati cadere in un campo quasi per caso. Poi ha piovuto, poi c’è stato il sole, poi il vento, poi c’è stato il virus e siamo finiti sotto terra, ricoperti dal fango, poi abbiamo tirato fuori la testa e c’erano sopra due germogli. Abbiamo scoperto di essere piante. Di poter mettere radici e fare fronde. E abbiamo scoperto che quando diventi pianta, quel certo campo in cui stai smette di essere un campo qualsiasi, e diventa il tuo campo. La tua casa, il tuo nutrimento».
È una metafora molto efficace. Ricordi alcuni momenti particolarmente intensi vissuti nell’ambito del progetto?
«Una metafora? Cos’è? Ricordo tanti, tantissimi minuscoli, microscopici frammenti di un immenso mondo bambino che ho avuto la fortuna sfacciata di poter esplorare. Pezzetti morbidi e perfetti come solo certe molliche di pane possono essere e cocci così acuminati che al solo sfiorarli devi succhiarti il polpastrello che già sanguina. Con questi pezzetti ho riempito una scatola e la tengo nascosta sul fondo di un cassetto, nella mia tana di pelouche. Un po’ ne sono geloso, un po’ me ne vergogno. Non so perché la tengo lì, quella scatola: se qualcuno sollevasse il coperchio ci troverebbe dentro solo inutili cianfrusaglie: erba secca, una pietra bitorzoluta, un guscio vuoto di lumaca, un pennello rotto, un pezzetto di spago. I bambini hanno profondità e spessore tale da non poter risiedere in nessun luogo fisico… eh, però le cose dei bambini sono anche magiche.
Tante altre cose le ho conservate nella mia memoria: il fratellino appena nato che G. mi ha mostrato in cielo quel giorno che eravamo sdraiati sull’erba a guardare le nuvole, il dipinto gigantesco di M. quando ha scoperto che sì, il colore si può spruzzare, la tela si può colpire, il pennello si può lanciare, si chiama arte e non si sa bene né come né perché, però è evidente che funziona. Poi c’è lo sguardo di C.: i suoi passi di danza mi hanno raccontato cose che non aveva voce né parole per dire».
Come avete affrontato la situazione critica dovuta all’emergenza sanitaria?
«Ci siamo ritrovati, dall’oggi al domani, in una situazione nuova e complicata. Abbiamo dovuto sviluppare nuove competenze, spostare molte attività sul canale Youtube del progetto Dappertutto. Secondo Valentina l’emergenza sanitaria ha puntato un riflettore grosso quanto una casa su aspetti che troppo spesso vengono lasciati in ombra quando si parla degli interventi rivolti ai più piccoli: la necessità di costruire una cultura educativa condivisa, l’importanza fondamentale della relazione nella pratica educativa, l’aspetto emozionale che sottende tutti i processi di apprendimento. Se ho capito bene quello che vuole dire, credo che abbia ragione. Ma spero che questo “riflettore”, quando l’emergenza sarà finita, resti inceppato su ON e continui a farci da faro».
Un’ultima domanda, Ted, puoi raccontarmi un aneddoto vissuto da te e Valentina durante il progetto?
«Avrei fantastilioni di aneddoti, ma in questo momento non me ne salta fuori nessuno, perché ho la mente ancora stranamente in fissa su quanto è accaduto a me e a Valentina giusto una ventina di minuti fa. Avevamo appena concluso la nostra prima “live” con i bambini della scuola dell’infanzia, fino ad ora avevamo solo avuto modo di inviare loro brevi video, senza sapere se, in che modo, e soprattutto con quale animo, questi video potessero essere effettivamente fruiti dai bambini. Una comunicazione cieca. Una “non comunicazione”, l’ha definita Valentina. Confesso che girarli è stato frustrante per noi. Immaginate me, un orso di pezza, che trascorro infiniti pomeriggi con una pedagogista davanti a uno smartphone… non è sano. Finalmente oggi, seppure attraverso uno schermo, abbiamo potuto vedere i bambini, ascoltare la loro voce, sentirli ridere, ingaggiare con loro conversazioni su Godzilla e crostate di scarabocchi e intonare insieme filastrocche scrocchiarelle. Oggi è stata una buona giornata. Lo è stata ancora di più quando i bambini, prima di chiudere il collegamento, sono spariti dall’inquadratura per riapparire poco dopo in compagnia dei loro pupazzi preferiti. Volevano farmi conoscere i loro amici di pezza. Insomma, volevano che facessimo amicizia! In quel minuto abbiamo provato un gran senso di sollievo, abbiamo istantaneamente realizzato che probabilmente infiniti pomeriggi dei bambini non erano stati poi così diversi dai nostri, e alla fine abbiamo avuto conferma che anche da dietro uno schermo, anche a distanza, i veri maestri di un educatore sono sempre e comunque loro, i bambini».
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