La relazione educativa

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Non a caso si utilizza il binomio relazione educativa, poiché alla base di ogni processo pedagogico c’è, innanzitutto, una relazione, un legame tra due persone che diventa educativo nel momento in cui entrambi i soggetti in esso coinvolti ne traggono insegnamenti funzionali alla propria crescita individuale e sociale. In questa ottica nessun rapporto educativo va inteso come un processo a senso unico, bensì come un percorso fondato sulla reciprocità. Parlare della relazione educativa non significa analizzare semplicemente un aspetto dell’educazione, ma affrontare il cuore dell’educazione stessa come esperienza umana che accade tra persone e, quindi, è incontro che si realizza nel rapporto interpersonale dei soggetti coinvolti, soggetti storici che subiscono i condizionamenti biologici, sociali e culturali dell’ambiente di cui fanno parte.

Attraverso la relazione educativa avviene il processo di socializzazione, di trasferimento delle conoscenze e di trasformazione del sapere in competenze. Essa è caratterizzata da componenti affettive (affiliazione, adozione, eros, dipendenza, controdipendenza, accettazione, rifiuto) e sociali (asimmetria, autorità o autorevolezza, reciprocità o unidirezionalità), commisurate ai bisogni, alle caratteristiche del singolo, agli obiettivi dell’intervento educativo, flessibili alle circostanze e ai cambiamenti che via via la relazione stessa produce. La relazione con l’educatore, genitore e/o insegnante, segue un percorso dinamico e si traduce in possibilità perennemente aperta ad una molteplicità infinita di altre relazioni: con le persone, con i prodotti culturali, sociali e politici, con il mondo intero.

Aspetto fondamentale della relazione educativa è il suo procedere, in maniera graduale e progressiva, verso una sempre maggiore autonomia del ragazzo. L’educatore deve rendere il ragazzo capace di farcela da solo, senza la sua supervisione e guida costante. Trattandosi di persone, ovviamente, questa articolazione non può e non deve essere rigida, né tanto meno la sua progressione verso l’ultima fase è da considerarsi definitiva. Il soggetto in evoluzione può vivere nuovi momenti di confusione e di squilibrio che richiedano un ritorno all’accentramento e quindi un nuovo intervento educativo da parte del genitore o del docente, che dovrà ricreare un nuovo ordine, e ricostruire nuovi percorsi verso l’autonomia e la cogestione del rapporto educativo. Tali squilibri possono dipendere dall’intervento di svariati fattori nella vita del singolo ragazzo che siano interni alla propria famiglia (perdite, problematiche familiari, malattie) oppure relativi al gruppo dei pari (ingresso di nuovi elementi, abbandono da parte di altri). Risulta fondamentale quindi la capacità di gestire questo percorso con flessibilità ed elasticità, prestando attenzione alle situazioni specifiche e ai vissuti personali e collettivi.

La riflessione sulle dinamiche della relazione educativa deve tenere conto della specificità dei contesti in cui si realizza, in primo luogo famiglia e scuola.

La famiglia svolge un ruolo indiscusso sulla formazione della personalità del soggetto poiché, dalle esperienze affettive vissute in famiglia e dai modelli educativi ricevuti, dipendono identità e socializzazione, acquisizione dei valori e modalità di interpretazione del mondo circostante. Nello spazio domestico lo stile educativo e il clima relazionale creano o negano la cura autentica.

Le trasformazioni che hanno travolto la famiglia e sviluppato nuove identità di genere hanno modificato i vecchi ruoli e soprattutto i padri sono chiamati ad una rielaborazione della genitorialità e ad esplorare le dimensioni dei sentimenti e dell’affettività. Si è parlato di maternalizzazione del padre, tuttavia non è “il genitore unico” che va costruito, ma una paternità e una maternità vissute conformemente alle differenze di genere. La genitorialità richiede da parte del padre e della madre la condivisione del progetto educativo che non si esaurisce nella spartizione dei compiti domestici. La condivisione educativa implica corresponsabilità e coinvolgimento affettivo, un pensare e un aver cura insieme e quindi un incontrarsi con l’altro. I genitori, riservando attenzione ai propri figli, svolgono un compito altamente educativo e definiscono una comunicazione intenzionale perché, esplicitando la motivazione dei propri comportamenti, educano i figli alla reciprocità attentiva. La cura del sé implica l’aver consapevolezza di ciò che si è, della propria interiorità e delle proprie difficoltà. La cura che da sé si sposta all’interno della famiglia ai singoli componenti garantisce alle nuove generazioni il senso profondo dell’esistenza e diviene tramite per sviluppare nuovi valori di solidarietà e comprensione.

La base di una relazione che si definisce educativa è dunque costituita dalla: disponibilità ad uscire dalla propria singolarità per incontrare l’altro in nome della comune umanità; accettazione della diversità riconoscendola come valore inestimabile; comprensione di tale differenza e messa in atto di una ricerca continua di strategie e percorsi migliori, sostenuti dall’impegno e dalla passione per aiutare gli allievi ad intraprendere il percorso verso la conquista della propria umanità.

Per la funzione docente sono perciò necessari un sapere pedagogico, metodologico-didattico, culturale e relazionale, e competenze comunicative. Il docente deve sia saper leggere tra le righe, interpretando silenzi, azioni e provocazioni attraverso l’ascolto e l’empatia, sia attivare comunicazioni consapevoli ed intenzionali perché siano facilitate le acquisizioni delle finalità educative, nella consapevolezza che non esistono comunicazioni neutrali o momenti di disimpegno educativo. La comunicazione analogica (gesti, espressione del volto, cinesica e prossemica) è meno controllabile ed è capace di rafforzare o smentire quanto viene espresso verbalmente. La complessità del sistema comunicativo scolastico richiede agli insegnanti flessibilità e capacità di riconoscere le variabili che costituiscono la situazione comunicativa di un evento: contesto, argomento, ruolo dei partecipanti, scopi dichiarati e non, atteggiamenti psicologici, uso adeguato di tutte le funzioni della comunicazione. Una comunicazione educativa aperta richiede di dare maggiore spazio agli aspetti emotivo-affettivi, soggettivi e interpersonali affinché la persona si senta coinvolta.

Non bisogna educare alla cieca obbedienza e alla competizione, ma per la formazione di persone attive, responsabili, capaci di autocritica e disponibili alla condivisione e alla partecipazione.

Dare indicazioni certe e diventare punti di riferimento sicuri ed autorevoli sono due elementi che creano all’interno della famiglia un clima di fiducia punto di partenza perché si sviluppi l’autostima che richiede il riconoscimento non solo dei bisogni fisiologici, ma anche di quelli psicoaffettivi: stima, affetto, autorealizzazione.

L’educazione socio-affettiva ha per scopo, a livello individuale, lo sviluppo dei sentimenti di accettazione, di sicurezza, di fiducia in sé e negli altri, delle capacità di risolvere problemi interpersonali e affrontare situazioni di stress emotivo. A livello interpersonale mira a promuovere comportamenti e atteggiamenti di collaborazione, solidarietà, mutuo rispetto, accettazione delle differenze, capacità di mediazione, riconoscimento delle diverse modalità di interazione. Viene a essere, quindi, un efficace strumento di formazione della personalità e un valido mezzo di prevenzione di ulteriori comportamenti devianti.

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