Le storie di Comunità in Crescita: la guerra, l’infanzia e la forza di tornare a ridere

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La guerra toglie. Distrugge, spezza, cambia per sempre cuori, vite e anime. Lo sanno bene i ragazzi e le famiglie afghane costrette a cercare una via di fuga dagli orrori della guerra, nella speranza che ciò che hanno visto possa prima o poi diventare un ricordo sbiadito.

Ai ragazzi, ai bambini, la guerra toglie soprattutto la spensieratezza e il diritto ad essere piccoli, per mettergli addosso le responsabilità degli adulti. Rende il percorso di crescita di questi ragazzi più complesso e lascia lividi che hanno bisogno di supporto e tempo per poter guarire.

Il progetto Comunità in Crescita, aiuta i giovani rifugiati afghani a riprendersi la loro infanzia, a costruire nuovi ricordi e continuare la vita da dove si era interrotta. A fare parte di una nuova comunità dove sentirsi a casa e abbandonare le paure. In questo articolo ti raccontiamo le storie di tre giovanissimi afghani che grazie al supporto di questo progetto stanno imparando come essere di nuovo bambini.

 

Il piccolo soldatino 

Gul e la sua famiglia sono arrivati in Italia insieme ad altri pochi sopravvissuti alla presa dei talebani.

Unico figlio maschio di un generale delle forze speciali dell’esercito afghano, Gul è un bambino minuto, con il corpo esile, ma la postura e la forza di un piccolo generale. Sembra un soldatino in miniatura, senza elmetto e senza uniforme

Gul già a cinque anni sapeva come si ricarica un’arma e quando vedeva un’auto diceva alle sue educatrici “in Afghanistan macchine boom”, mimando l’esplosione. Il piccolo soldatino giocava alla guerra, la conosceva e camminava come se dovesse andare a combatterla.

Gul è arrivato in Italia che sapeva già leggere e scrivere nella sua lingua. Anche in quello rimaneva un piccolo soldatino: svolgeva i suoi compiti con grande precisione e meticolosità. Con la sua espressione spesso seria e impegnata, quasi sempre intento a portare a termine qualche compito,il piccolo soldatino sembra più grande dei suoi cinque anni. Ma quando sorride il suo viso si illumina e lui dimostra finalmente la sua età.

Gul è preciso, puntuale, molto bravo, ma a volte sembra una pentola a pressione pronta ad esplodere: non riesce a stare fermo, ha bisogno di muoversi, di scaricare, di tornare a correre libero sulle montagne della sua terra. E quando rimane troppo tempo fermo, seduto, in luoghi chiusi che lo costringono troppo, scoppia in pianti disperati, diventando tutto rosso in viso, come se davvero stesse per esplodere.

La guerra ha un lasciato difficile da abbandonare per il piccolo soldatino, ma grazie al progetto Comunità in Crescita, oggi Gul ha la possibilità di contare sugli strumenti necessari a sfogare tutto quello che si porta dentro.

Può giocare a calcio, correre al parco, andare in spiaggia a fare il bagno con I suoi amici. Questo progetto è quella ventata di aria fresca che gli serviva per tornare a correre libero e leggero. Fuori e dentro di sé. 

 

La guerra con gli occhi di Bibi

Bibi ha dieci anni, ma ne dimostra molti di più. Non solo per il suo corpo slanciato e snello, il portamento fiero, e il velo nero che le copre il capo, Bibi sembra più grande soprattutto per il suo sguardo. 

Gli occhi di Bibi sono quelli di una bambina che ha visto la guerra, quelli di chi ha perso troppe persone, sono occhi che conoscono la morte. Bibi ha uno sguardo che ti entra dentro, uno di quelli a cui è difficile sottrarsi. Quando è arrivata in Italia, ad otto anni, una parte di lei era rimasta in Afghanistan: mostrava alle educatrici video dell’Afghanistan, immagini dei talebani, le foto dei suoi cari che non ci sono più. Bibi era la memoria di quello che era successo, per gli educatori e per i fratelli.

Disegnava ovunque bandiere dell’Afghanistan.

Non sapeva leggere né scrivere.

Non era mai andata a scuola.

La prima volta che ha preso una matita in mano e ha provato a scrivere ha lasciato il compito dicendo che non era capace. La prima volta che è entrata a scuola non voleva staccarsi dal corpo dell’educatrice. E così la seconda, e la terza.

“A me la scuola no piace”

“Le bambine in Afghanistan no scuola”

“Io non tolgo la mascherina, io sono nera, io sono brutta.”

“Io non mangio”

“Io voglio tornare in Afghanistan”.

La guerra ha tolto a Bibi molto, il lavoro fatto dagli operatori di Comunità in Crescita è stato incentrato sul ridarle autostima, sul motivarla costantemente, sul restituirle un’immagine di sé diversa, sul ridarle in mano la matita ogni volta che lanciava frustrata, e sul dirle costantemente “ce la puoi fare”, “sei bellissima”, “va tutto bene”.

Ora Bibi mangia felice con i compagni di classe, prova a fare i compiti anche se non le piacciono, ha degli amici con cui ride e scherza. Inizia a vivere la vita di una normale bambina di dieci anni. 

 

Tornare ad essere piccoli

Quando è arrivato in Italia Mir sapeva mimare, con il gesto delle braccia, i morti.

Mir ricaricava armi immaginarie e prendeva la mira prima di “sparare” agli elicotteri in cielo e quando indicava gli aerei o le macchine  diceva “in Afghanistan boom”.

Nel suo paese era figlio di un militare importante, andava a scuola con macchine di lusso ed era considerato uno degli studenti migliori della classe. In Italia non capiva una sola parola.

A scuola sbadigliava perché si annoiava.

Vedeva i suoi compagni di classe cantare le canzoni per bambini e alzava gli occhi al cielo.

Vedeva i suoi compagni avvicinarsi per aiutarlo con i compiti e li mandava via.

Trascorreva i giorni a scuola con la giacca e il cappuccio in testa. Protetto, nascosto, arrabbiato.

Arrabbiato con le maestre che spiegavano cose troppo difficili, con i compagni che capivano molto più di lui, con i genitori che lo hanno portato via dalla sua amata terra, con sé stesso per la sua incapacità di adattarsi a quel mondo così diverso. E l’unico modo che aveva per comunicare era facendo dispetti o infastidendo gli altri bambini.

Comunità in Crescita gli ha permesso di avere educatori dedicati a scuola che gli hanno permesso di migliorarsi. Che lo hanno sostenuto nei compiti aiutato a capire meglio le lezioni e, soprattutto, che gli hanno permesso di sentirsi meno diverso, meno solo.

Oggi Mir parla bene e capisce tutto.

Si è tolto il cappuccio, ride e scherza con gli altri bambini.

Ora Mir si permette un’infanzia.

 

Ringraziamo Il Sentiero di Arianna Cooperativa Sociale ONLUS per queste incredibili storie.

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