5 storie per raccontare Le Case Speciali: La foto di M. (5 di 5)

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i ragazzi e le ragazze delle Case Speciali in scena credit: foto di Ileana Tesoro

Un racconto delle “Case speciali dei Ragazzi e delle Ragazze” attraverso  5 storie – redatte dal Centro di produzione teatrale Koreja – che narrano il vissuto emotivo dei e delle giovani coinvolti/e nel progetto, le loro personali esperienze di vita che si intrecciano, quotidianamente, con quelle di tutti gli altri generando
una nuova narrazione condivisa.

La quinta storia.
La foto di M.
di Carlo Durante – Teatro Koreja

M. è nel buio su una sedia di legno e metallo, una sedia presa in prestito dalla scuola.
La luce dello schermo del suo smartphone le illumina appena il volto, si sente un canto a bocca chiusa, è il suo canto.
Lentamente la luce si alza lasciando dapprima intravedere il profilo del suo corpo, poi le fattezze del suo volto.
Ha gli occhiali M., occhi e capelli chiari, la carnagione biancastra sporcata dal fondotinta, sempre un rossetto di un rosso poco acceso, il rimmel, la mezza coda e mastica una chewingum.
Scorre col dito sulle foto del suo telefono, si sofferma su una di queste, gira il telefono per farmela vedere:

Loro sono A. F. e R.

Loro sono le mie migliori amiche.
Sono tre persone importantissime. Mi proteggono, mi difendono, mi aiutano e per me ci sono sempre.
Loro non mi giudicano, gli basta uno sguardo e capiscono se sto bene o se sto male.
E a me capita di stare male, soprattutto per colpa dei maschi.
E’ che io mi innamoro, mi piace avere qualcuno con cui parlare, messaggiarmi, scambiarmi le foto e baciarlo pure. Ma poi, i maschi, mi deludono sempre, perché sono scemi, sono piccoli i maschi.
Poi sono egoisti, pensano prima a loro, poi al pallone, poi, forse, alla ragazza.
Sono immaturi i maschi.
Una volta mi stavo messaggiando con uno da un po’ di giorni. Ci scrivevamo: mi piaci, vorrei stare con te adesso, mi manchi e poi da un giorno all’altro… sparito. Spa-ri-to!
Un’altra volta, ad una festa, stavo ballando con un ragazzo, bello era questo, bono proprio, con gli occhi neri, i capelli neri…mamma mia bono proprio e ci eravamo pure dati un bacio. Poi non lo vedo più e dopo un po’ vedo che si stava baciando con un’altra. Ma vaffanculo!
Sono immaturi i maschi, proprio.
E un’altra volta ancora con uno, di questo ero innamorata, l’uomo delle mia vita poteva essere, lo stavo chiamando:
– “Peppe…Peppe” e non mi rispondeva ma io sapevo che stava nell’altra stanza. Ho pensato che mi voleva fare uno scherzo.
– “Peppe?”
Ma è scemo, il solito; mo mi fa spaventare, mo vedi.
– “Peppe non fare lo scemo”.
Allora ho deciso di andare io nell’altra stanza a stanarlo. Zitta zitta mi sono avvicinata e dal corridoio ho spiato nella cucina.
Lui era seduto su una delle sei sedie del tavolo da cucina, quelle di legno scuro con la paglia intrecciata e sulla paglia i cuscini della nonna.
– Peppe ti ho visto, ma perché non mi hai risposto?
Aveva le gambe leggermente divaricate, e la schiena poggiata pesantemente.
– Non si fa così Peppe, non ti eri nemmeno nascosto. Mi potevi rispondere che così se no poi io mi spavento.
La braccia pendevano lungo i fianchi
– Peppe dai che mi spavento scemo.
Le sua testa era reclinata all’indietro in modo innaturale.
– Peppe…Peppe, perché hai quella busta bianca in testa? Peppe?… Pe..P…papà? Così non mi diverto più papà. Questo gioco non mi piace più papà. Toglitela papà, ti prego papà, togliti quella busta. Dai papà.
Così sono i maschi. I soliti immaturi, non crescono mai.
La mamma glielo aveva detto mille volte di lasciare stare alcool ed eroina, che ormai era tempo di diventare grande, che aveva famiglia e che doveva crescere e pensare alle figlie adesso. Gli aveva detto anche che gli perdonava tutte le botte e le offese che le aveva fatto fino a quel momento, ma che però doveva smetterla con quei vizi. Che quei vizi lo stavano rovinando e lo facevano diventare ogni giorno più triste e debole.
Ma i maschi così sono, scemi. Tu ti innamori e poi loro se ne vanno e ti lasciano sola.
Ma meno male che ci sono loro tre: A. F. e R. Le mie tre migliori amiche.
Sono sempre state accanto a me nei miei momenti bui. Per esempio quando Peppe mi ha lasciata.
Loro sono per me come una luce che si accende sul palcoscenico.

M. mi mostra di nuovo la foto sul cellulare.

Questa foto ce la siamo fatta nel bagno del bar Coffee.
Era di giovedì, me lo ricordo perché il giovedì, al Coffee, fanno il karaoke e io amo cantare.
Mi piace cantare perché posso sfogarmi, posso esprimere un pensiero cantando, paure, gioie…cantando mi racconto agli altri.

Io non posso fare a meno di cantare.

M. si alza dalla sedia e ricomincia il canto a bocca chiusa, sposta il peso da una gamba all’altra. Pian piano il canto si fa sempre più forte. Adesso si capisce. Sta cantando “If I Ain’t Got You” nella versione di Alicia Keys. Ha davvero una gran bella voce M.
Ha più di cinquanta sfumature la sua voce. E’ bello ascoltarla. E’ vero che sembra che ti stia raccontando se stessa, la sua vita.
Sulla sua voce parte la traccia audio originale di Alicia Keys “If I Ain’y Got You”.
Le loro voci si impastano, non le distingui più. Tutta la potenza vocale di M. viene fuori e ti trapassa i timpani e il cuore.
Adesso M. e Alicia sono sul palcoscenico insieme e duettano.
Ho la pelle d’oca, io un concerto così non lo avevo mai visto.

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