Bella Presenza: La rete campana tra campi di sovrapposizione e spazi di fiducia con le famiglie

di

“Ampliare gli spazi di fiducia e di considerazione reciproca tra i membri delle famiglie, i professionisti e le istituzioni.”

Un pezzo di Ismahan Hassen*

 

Un pomeriggio di formazione e di emozioni. Un pomeriggio in cui ritagliarsi del tempo prezioso per riflettere sul lavoro quotidiano: il nostro lavoro con le famiglie, che sono una parte importantissima di Bella Presenza sia per il rilancio del loro ruolo educativo, delle relazioni informali con il territorio, che per ampliare la loro considerazione e coinvolgimento in una rete complessa dove istruzione, cultura, educazione, aiuto, cura e controllo si “sovrappongono”.

Questa duplice dimensione emotiva e di riflessione è stata alla base dei lavori che la rete campana, sotto la guida esperta di Michele Caccavo (LABINS), ha provato a sviluppare. “Raccontatemi una vostra preoccupazione attuale, parlandomi di tutte le persone oggetto della vostra preoccupazione”.

Con questa domanda Michele ci ha immersi nella creazione di un “Sociogenogramma”, una rappresentazione grafica e codificata di una famiglia e dei legami familiari, che ha seguito le storie da noi raccontate. Realizzato quindi con la partecipazione di noi tutti professionisti presenti e disegnato dalla mano di Michele, in una sorta di terapia di gruppo, il sociogenogramma ci ha permesso di passare in rassegna tutti i legami sociali che una persona sviluppa sul piano personale e professionale, tutti evidenziati con colori molto precisi e frecce direzionali ad indicarci i nostri “campi di sovrapposizione”, ovvero quegli spazi che ogni operatore sociale e docente abita quotidianamente. Spazi creati da un problema da affrontare e dove si sovrappongono diverse e specifiche competenze.

Il discorso sui campi di sovrapposizione ci ha così portati a chiederci: Che fare? Si può passare il problema ad un altro operatore più “esperto” perché ciò che è emerso non rientra nelle nostre competenze? Oppure si può lavorare in questa zona di mezzo e costituire così un terzo campo di lavoro anche con la presenza di chi è portatore della difficoltà? Attorno a questi interrogativi hanno ruotato dubbi e incertezze ma non solo.

Nel condurci attraverso questo argomento, Michele ci ha aperto un nuovo orizzonte: quello della presenza attiva delle famiglie come alleate nella risoluzione delle problematiche di cui esse stesse possono essere portatrici, proprio attraverso l’attivazione di molteplici professionalità. Queste molteplici attivazioni, tra le quali Michele ci ha guidato, sono proprio create dalle famiglie e sono abitate invece dagli operatori sociali o di prossimità. Così siamo riusciti a ragionare su come questi spazi, all’inizio “scomodi” e “rischiosi” (perché impongono uno sconfinamento, un’intrusione reciproca nelle rispettive competenze e una diversa modalità di condividere le responsabilità e i meriti nel cambiamento delle situazioni di disagio) possono diventare spazi in grado di ampliare la fiducia e la considerazione reciproca tra i membri delle famiglie, i professionisti e le istituzioni.

Aprendosi gli uni a gli altri, abbiamo quindi osservato come è possibile creare spazi fertili di sostegno, di cura, di trattamento. Per spiegare al meglio tutto ciò, la storia di Franck (raccontata da Michele) è stata illuminante: Frank è un giovane che si assenta da scuola, consuma droga; dà delle preoccupazioni a uno dei suoi insegnanti che decide di attivare lo psicologo scolastico che, a sua volta, fa riferimento a un neuropsichiatra del Centro Ospedaliero dai quali Franck non si presenta mai. Oltre a Franck c’è Laetitia, sua nipote, una bambina di quattro anni cresciuta con la nonna. E che ha attirato le preoccupazioni di un’insegnante mossa dal fatto che Laetitia sembra denutrita, non è vestita in modo adeguato e si addormenta in classe, per la stanchezza. Una struttura sociale attivata dall’insegnante, prescrive l’intervento di un assistente familiare a domicilio ma l’offerta è rifiutata, la nonna non apre la porta all’assistente familiare, non risponde alle proposte di incontro.

Quando ad un certo punto è Franck ad accettare uno spazio di cura ma non per sé stesso dicendo «per me è finita» bensì per il futuro di Laetitia.

Così, ci spiega Michele, si crea un campo di sovrapposizione che, individuato dai professionisti e utilizzato, permette di vedere Franck non solo come un ragazzo “con problemi”, ma anche uno zio preoccupato per sua nipote, capace di aver il senso delle responsabilità.

Così si è aperto per noi un nuovo orizzonte: quello in cui un professionista sconcertato, che prova una sensazione di disintegrazione (perdita di riferimenti, impressione di insuccesso), fa l’esperienza di una ricomposizione progressiva proprio attraverso l’azione del “utente designato”. Questo permette di individuare le tracce lasciate dalle famiglie attraverso una logica che non corrisponda, necessariamente, a quella dei professionisti, ma che proprio per questo questo permette di aprire nuove modalità di lavoro.

 

*Operatrice culturale della Dedalus Cooperativa Sociale.

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