Il “lavoro di strada”: riflessioni e sollecitazioni da un incontro con Matteo Aigotti

di

di Ismahan Hassen*

 

Il lavoro educativo di strada, ma in generale gli interventi di prossimità, devono essere capaci di tenersi in equilibrio, tra l’informalità delle relazioni di prossimità e la necessità di parlare e relazionarsi con i livelli istituzionali e con il sistema dei servizi di secondo livello. Questa la cifra dell’intervento di Matteo Aigotti, assistente sociale, coordinatore dei progetti di Educativa di strada all’Oratorio San Luigi di Torino, in una giornata di formazione e riflessione sul cosiddetto “lavoro di strada”con la della rete campana di Bella Presenza.

 

 

Dal brainstorming su cosa sia il lavoro di strada e cosa comporti farlo, è emerso che un buon servizio di prossimità se da un lato deve il più possibile abbassare le soglie di accesso, allo stesso modo deve essere aperto e saper guardare alla rete di secondo livello, per non correre il rischio di diventare auto-referenziale. Legata a ciò, è stata la riflessione su come e quanto il lavoro di prossimità, ma più in generale il “lavoro sociale”, non può quindi essere pensato o agito in modo slegato dalla dimensione politica e culturale, dalla capacità di riflettere sul “qui ed ora” immaginando una prospettiva di cambiamento e non solo di contenimento. Appare fondamentale inoltre la necessità di dare ai servizi la certezza di potersi muovere in un ambito di continuità, con tempi adeguati non solo a porre in essere interventi su situazioni quasi sempre complesse, ma anche comprendere i “contesti e gli attori” su cui e con cui si lavora.

 

Così Matteo ci ha riassunto le caratteristiche principali per fare un buon lavoro educativo e sociale di strada:

 

  1. Un buon lavoro educativo e sociale di strada si pone in un’ottica di dono, perché offre riconoscimento, ascolto, servizio, spazi di orientamento e protagonismo senza chiedere nulla in cambio…
  2. Riesce a proporsi non solo come ambito di risposta ai bisogni e alle mancanze, ma anche come luogo teso a dissodare le risorse, i talenti e le capacità delle persone
  3. Aiuta gli operatori e gli educatori a farsi vedere, farsi capire, farsi percepire come utili e perfino divertenti, perché cambiando la cornice della relazione di aiuto, cambiano le percezioni che gli operatori, i destinatari hanno su di essa.
  4. Aiuta gli educatori e gli operatori a uscire dagli eccessi di professionismo che ci fanno perdere attenzione al livello empatico gli interventi e le nostre relazioni.

 

Illuminante è stato, anche in questo caso, il racconto che Matteo ha fatto del servizio di prossimità “Spazio anch’io” di Torino, raccontando come, attraverso la presenza di prossimità, un luogo di aggregazione di tantissimi disastri è diventato uno spazio dove tali fragilità si incontrano con positività con altri pezzi di città, rompendo le separazioni, attivando risorse che servono a curare e mantenere lo spazio, i suoi strumenti, il suo sistema di relazioni. Si è arrivati così a ragionare su come Bella presenza, con la sua azione “strada facendo”, se da un lato esiste perché ha fatto incontrare pratiche già in essere che si sono riconosciute come simili nelle finalità e nell’impianto metodologico proposto dal progetto, dall’altro ci sta aiutando a riflettere su quello che stiamo facendo per costruire innovazione e per sperimentare nuovi metodi. O, forse, a mettere a sistema metodi già esistenti nelle nostre pratiche ma che il quotidiano o la nostra disattenzione non ci permette di integrare.

 

*Operatrice della Cooperativa Dedalus

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