Ci piacciono così
di behind
Il parco è di quelli chiusi, che ci devi passare davanti per forza e sai che sarai sotto i riflettori dal momento in cui entrerari a quello in cui varcherai la soglia del cancello per uscire.
La strada, poi, ti porterà dritto da loro.
Nel momento in cui scendi, sai che non potrai tornare indietro e proseguirai, obbligato dal tuo ruolo, dalla strada stessa, dalll’istinto, che forse è l’unica cosa che conta.
Sono in tre, ci avviciniamo e ci presentiamo, dicendo chi siamo e cosa facciamo.
Uno riceve una provvidenziale (per lui) chiamata che lo costringe a distogliere la sua attenzione da noi al suo interlocutore, l’altro rimane nascosto, testa bassa sotto i riccioli, il terzo, maglia verde arrotolata sopra la testa, continua a fumare dell’erba, guardando un po’ noi e un po’ altrove. Sorridono, tra il sarcastico e l’ironico, quando sentono la parola educatore.
Ce ne andiamo poco dopo, salutando cordialmente. Qualcuno dirà che forse sarebbe stato meglio aspettare, che il momento non era buono, che abbiamo invaso i loro spazi. Magari hanno ragione.
Ma mentre vado sorrido.
Perché dopo tanto cercare li abbiamo trovati, quelli che piacciono a noi.
Quelli che non ti salutano, che non ti degnano di uno sguardo, che non dicono il loro nome, che lo capisci da lontano che hai fatto centro, quelli che li devi andare a stanare. Quelli che si illudono che il loro silenzio non sia eloquente, quelli che ti dicono, senza parole, che la sfida è cominciata. Quelli che lì troverai la magia.
Sorrido, perchè mi ricordano che “il fiuto” ce l’ho ancora e che il mare si fa difficile.
Sorrido perchè mi fanno sentire come Capitan Billy Tyne quando al timone della sua Andrea Gail trova finalmente gli Spada, dopo aver attraversato il suo sconforto tra i Banchi di Terranova.
Sorrido perché dovremo cavalcare onde alte, perché è solo così che riusciremo a rientrare in porto.
E quindi torneremo, varcheremo di nuovo il cancello, ci sentiremo obbligati fino a che, fra molto tempo, alla fine, sentiremo la loro voce.
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