Quanto vale una vita?
di behind
Ieri in strada, assieme a un collega, ho incontrato un giovane, che già conosciamo da tempo e di cui non starò a raccontarvi la storia.
Girava attorno a noi e inizialmente non si avvicinava. Ha incrociato il mio sguardo, ne ho approfittato per salutarlo. Lui mi ha risposto, poi si è allontanato un po’, lo sguardo a cercare qualcosa o qualcuno.
È andato avanti; poi è tornato. Ancora ha incrociato lo sguardo; ancora ne ho approfittato, chiedendogli stavolta come stava.
Si è avvicinato, ha reso possibile il nostro incontro. Si è seduto lì con noi, ha iniziato a riversarci addosso tutti gli ultimi avvenimenti; reali o frutto della sua mente e immaginazione non l’abbiamo capito; anche perché, in fondo, in questi casi non importa cosa è reale, ma qual è la sua percezione. È andato avanti a raccontare, fino a che non ci ha chiesto a chi importasse realmente di lui.
Ho pensato molto a questa domanda, provando davvero a darmi una risposta. Su di lui sono state investite, e continuano ad esserlo, risorse economiche della società, non ultime le stesse azioni degli educatori.
In una società efficientista come la nostra, mi sono cinicamente chiesto quale potesse essere il valore della sua vita e che cosa potesse ritornare alla società di quanto investito per lei.
Credo che il cambio, se mai ci sarà, non potrà essere calcolato in termini economici.
Mi rimangono le sue lacrime, quelle sì certamente reali, che scendevano in un momento di lucidità accompagnando queste sue parole: “sono nato per soffrire”.
La domanda iniziale rimane aperta.
T.C.
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