#andràtuttobene

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Abbiamo sempre iniziato gli incontri con le famiglie del progetto STEM- Storie Emozionali spiegando il senso di unire in uno stesso progetto due “anime” apparentemente così lontane:

l’educazione emotiva e relazionale e l’educazione digitale e il coding.

Ai genitori incuriositi, spesso perplessi, qualche volta scettici, ma sempre interessati, abbiamo spiegato la nostra idea: i nostri figli non potranno prescindere dall’utilizzo del digitale nella loro vita quotidiana, nel lavoro, nelle relazioni; occorre quindi che imparino e trasformare i device digitali in strumenti di relazione (non solo di connessione) e di espressione di sé e delle proprie emozioni, idee, potenzialità, aspirazioni, che imparino a fruirne in modo attivo, creativo e relazionale, utilizzando l’intelligenza emotiva che ci permette di avvicinarci all’altro e condividere la nostra esperienza comprendendo la sua. 

Quando facevamo questo discorso, solo pochi mesi fa, nessuno di noi immaginava che saremmo tutti rapidamente precipitati in una realtà in cui questi due aspetti – emozionale e digitale – si sarebbero fusi diventando centrali nell’esperienza di tutti noi.

Ora che “restiamo tutti a casa” il digitale è l’unico canale di comunicazione con il mondo fuori dalla nostra famiglia, l’unica strada attraverso cui condividere le nostre emozioni con amici e parenti che non possiamo incontrare dal vivo ed abbracciare. E questo non vale solo per noi adulti, ma anche per i bambini che erano abituati a vedersi ogni giorno, a giocare insieme, a stare seduti per ore l’uno accanto all’altro, ad utilizzare una comunicazione molto più paraverbale (in cui cioè gli aspetti più salienti sono i gesti, la vicinanza fisica, la condivisione dell’attenzione).

I bambini e soprattutto i ragazzi hanno spesso più dimestichezza degli adulti con i supporti digitali (tablet, smartphone, pc), aiutati da un intuito da nativi digitali che la generazione dei genitori non ha. Ma sarebbe un errore scambiare questa dimestichezza, quasi istintiva, con una competenza emotiva e relazionale nella gestione dello strumento. Possiamo rendercene conto proprio in questi giorni, osservando come i bambini gestiscono le videolezioni, le videochiamate, i contenuti online.

Cosa possiamo fare noi genitori per aiutarli?

Per prima cosa possiamo entrare in contatto con le nostre emozioni. Essere consapevoli di cosa “ci accade dentro” ci permette di avere uno sguardo più lucido sui nostri bambini e di “accendere l’empatia”. Che effetto fa a noi genitori il fatto che tutta l’affettività di relazioni importanti è esprimibile solo attraverso il digitale. Come ci sentiamo? Siamo portati a ritrarci e isolarci oppure, al contrario, a moltiplicare le occasioni di connessione? Proviamo sollievo nel poterci sentire vicini ai nostri cari fisicamente lontani oppure (o magari “e contemporaneamente”) avvertiamo di più la nostalgia?

Dare un nome alle emozioni che proviamo, anche quando sono dolorose o scomode, ci permette di riconoscerne la legittimità e quindi di tollerarle meglio, aumentando la consapevolezza che prima o poi il nostro stato emotivo cambierà.

Quando abbiamo dato un nome alle emozioni che proviamo, possiamo aiutare i nostri figli a fare altrettanto, partendo dall’osservare come si avvicinano alla comunicazione attraverso il digitale (es. videochiamate, videolezioni, chat, social) e, con delicatezza e discrezione, aiutarli a riflettere sull’esperienza che stanno facendo. Per molti bambini è gratificante vedere insegnanti e compagni in videochiamata poiché questo contatto permette loro di riprendere il filo della relazione, rassicura rispetto al fatto che l’amicizia e l’affetto non sono stati spazzati via dall’impossibilità di vedersi e toccarsi e che insegnanti e compagni si ricordano di loro, li “tengono nella mente”.

Può sembrare banale, ma a livello emotivo per i bambini (e spesso anche per gli adulti) non sempre c’è un senso di sicurezza nel fatto che le relazioni possano sopravvivere alla distanza, che “gli altri pensano a me anche quando non ci vediamo”. Questa mancanza di sicurezza può portare ad avere dei comportamenti di distanziamento da questi vissuti, evitando tutte le situazioni in cui si entra in contatto con la nostalgia, la perdita di abitudini, spazi e tempi condivisi, insomma, con il dolore dell’essere separati. Ecco allora che alcuni bambini potrebbero reagire rifiutando le occasioni di incontro online (non solo le videolezioni ma anche le videochiamate con nonni ed amici che le mamme hanno magari faticosamente concertato tra i mille impegni giornalieri) perchè li costringono ad entrare in contatto con questi sentimenti dolorosi e con la paura che le cose “non torneranno mai più come prima”.

Noi genitori possiamo aiutare i bambini a domandarsi cosa stanno provando, a riconoscere e legittimare anche questi vissuti dolorosi, aiutandoli a trovare parole per raccontare le proprie emozioni, dicendo semplici frasi come “forse ti senti un po’ triste, ti mancano…” “può succedere, succede anche a me, forse succede anche a loro. Ma siamo insieme e insieme possiamo affrontare questo periodo così strano e difficile”.

Questo creerà in primo luogo un momento di comunicazione profonda ed emotiva tra noi e il nostro bambino e contemporaneamente lo aiuterà a sviluppare la propria intelligenza emotiva e ad utilizzarla anche nel vasto e sconosciuto mondo digitale.

 

Irene Castellina, psicoterapeuta, responsabile Progetto STEM STorie EMozionali.

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