Giufà allo Spazio Paspartù

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𝘚𝘦𝘤𝘰𝘯𝘥𝘰 𝘢𝘭𝘤𝘶𝘯𝘪 𝘎𝘪𝘶𝘧à 𝘯𝘰𝘯 è 𝘮𝘢𝘪 𝘮𝘰𝘳𝘵𝘰, è 𝘳𝘪𝘶𝘴𝘤𝘪𝘵𝘰 𝘢 𝘴𝘤𝘢𝘱𝘱𝘢𝘳𝘦 𝘢𝘭𝘭𝘢 𝘮𝘰𝘳𝘵𝘦 𝘵𝘢𝘭𝘮𝘦𝘯𝘵𝘦 𝘵𝘢𝘯𝘵𝘦 𝘷𝘰𝘭𝘵𝘦 𝘤𝘩𝘦 𝘢𝘯𝘤𝘰𝘳𝘢 𝘴𝘵𝘢 𝘴𝘤𝘢𝘱𝘱𝘢𝘯𝘥𝘰 𝘦 𝘢𝘯𝘤𝘰𝘳𝘢 𝘨𝘪𝘳𝘢 𝘱𝘦𝘳 𝘪𝘭 𝘮𝘰𝘯𝘥𝘰. 𝘘𝘶𝘢𝘭𝘤𝘶𝘯 𝘢𝘭𝘵𝘳𝘰 𝘪𝘯𝘷𝘦𝘤𝘦 𝘳𝘢𝘤𝘤𝘰𝘯𝘵𝘢 ‘𝘴𝘵𝘢 𝘴𝘵𝘰𝘳𝘪𝘢…
Martedì 27 giugno alle ore 18.00 allo Spazio Paspartù va in scena “Giufà” – con la regia di Marzia Ciulla e Ambra Denaro e la recitazione straordinaria di ragazzi e ragazze del laboratorio di Spazio al Teatro!
Qual è la storia di Giufà?

Le divertenti avventure del personaggio di Giufà appaiono in Sicilia in quella che potremmo definire un’epoca moderna. Il termine stesso, infatti, appare nel 1845, in una storia adattata all’italiano dal siciliano, originariamente scritta dal poeta e scultore acese Venerando Gangi.

I racconti, poi, vengono riportati alla luce dall’etnologo palermitano Giuseppe Pitré. Nella monumentale opera in quattro parti Fiabe, novelle e racconti popolari siciliani, pubblicata nel 1875, troviamo il Saggio d’una grammatica del dialetto e delle parlate siciliane, dove è possibile trovare anche le Storie di Giufà.

Nella tradizione siciliana, l’eroe di queste piccole favole è un personaggio fondamentalmente bonaccione, spesso descritto come un ragazzino. Senza malizia, irrimediabilmente cade vittima di tranelli, gli vengono rubati galline, maiali, fino ad oggetti di uso comune come le pentole.Celebre è la storia legata all’espressione “tirati la porta!”, di uso comune per chiedere di chiudere la porta una volta usciti. Giufà, invece, cade nel misunderstanding: il giovane scardina davvero la porta una volta uscito per andare a messa, portandola sulle spalle e suscitando l’ilarità di chi lo osserva. Questo personaggio, però, esisteva già da molto tempo nella tradizione di altri paesi, soprattutto di quelli arabi.

Il Giufà siciliano deriva da Giuha (o Jochà), allo stesso tempo eroe ed antieroe popolare, presente nella cultura araba sin dal IX secolo. L’autore (o gli autori) sono anonimi; è grazie alla diffusione orale che il personaggio va radicandosi nella cultura tradizionale.

Si sposterà poi, grazie a delle famiglie ebraiche, dalla Turchia ad Israele, dalla Grecia fino al Marocco. Proprio in quest’ultimo paese, ancora oggi si sente parlare di Djehà: il personaggio condivide molti punti in comune con quello presente nella tradizione siciliana.

Se caratterialmente Giufà e Djehà sono simili, il ciclo arabo mira a trovare, alla fine delle disavventure del personaggio, una morale: lo stesso Djehà ha anche modo, durante i racconti, di usare l’astuzia, e di criticare i comportamenti negativi di chi lo circonda, dai vicini agli amici più stretti.

Un’altra differenza importante sta nello stesso personaggio: se Giufà viene descritto come un bambino, al massimo un ragazzino, Djehà è un uomo di mezz’età. I racconti lo descrivono con lunghi baffi, un grande naso, con indosso una djellaba, la tunica tradizionale nordafricana, di origine marocchina. Djehà, inoltre, ha una moglie: una donna spesso descritta come chiacchierona, casalinga, che però, grazie al marito, impara ad essere saggia e astuta.

Curiosa, infine, è l’interpretazione di Giufà secondo la cultura turca. È lì che si afferma, infatti, che potrebbe essere esistito davvero, con il nome di Nasreddin Khoja, vissuto intorno al XIII secolo. Considerato come saggio e filosofo, egli appare anche nella letteratura del tasāwwuf (o del sufismo, la dimensione mistica dell’Islam).

Khoja, che secondo la tradizione pare aver esercitato la professione di qadi (o magistrato musulmano), viene ricordato non solo per aver raccontato, in vita, storie e aneddoti, ma per apparire in almeno un centinaio di favole popolari con scopo didattico o morale. Il personaggio è talmente famoso che ogni anno, tra il 5 e il 10 luglio, viene celebrato in quella che dovrebbe essere la sua città natale: Akşehir, dove si troverebbe anche la sua tomba.

La cultura siciliana, araba e turca: sono solo esempi di tradizioni legate profondamente ad un personaggio che, in fondo, ha un’unica origine. In realtà, Giufà esiste in tantissime altre culture popolari: lo si ritrova come Jugale in Calabria, come Vardiello in Campania. Il grande autore Italo Calvino, infine, dà il soprannome Giufà a Gurdulù, scudiero di Agilulfo ne Il cavaliere inesistente.

Giufà, Khoja, Djehà, Jochà: tanti nomi per un personaggio solo che, piccolo o grande che sia, fa ridere grandi e piccini da generazioni intere. Una sagoma buffa ma allo stesso tempo educativa; una testimonianza vera e propria della cultura popolare, che tramite la tradizione orale, come già fatto in passato, si assicura così di sopravvivere nei secoli a venire.

Chissà come sarà la nostra versione di Acate?
Lo scopriremo tra pochi giorni e siamo molto emozionati! Non vediamo l’ora: viva Giufà e lo Spazio Paspartù!

 

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