‘Disintossicazione’ da smartphone, la storia della piccola Rose

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Un inserimento molto difficile”. Così Tamara, la responsabile del Nido di Comunità di Lecce riferendosi al ‘caso’ di Rose, una bimba iraniana di appena un anno arrivata in Italia con mamma e papà, con un incarico come ricercatori all’Università del Salento. Una famiglia benestante, genitori dediti quasi esclusivamente al lavoro con una bimba piccolissima che ha trovato, nel corso del suo primo anno di vita, unico amico nel telefonino. “

La bimba – racconta Tamara – ha subito mostrato una vera e propria dipendenza del telefonino. Era abituata ad averlo sempre con sé, nient’altro attirava la sua attenzione. Quando le veniva tolto, la bimba si dimenava, piangeva ininterrottamente e nulla sembrava riuscire a calmarla se non la restituzione del cellulare. Persino per mangiare aveva ‘bisogno’ di avere con sé il telefonino”.

La riluttanza della bambina a prendere parte alle varie attività proposte al Nido era aggravata anche dalle preoccupazioni della madre che manifestava atteggiamenti quasi maniacali per la pulizia, l’igiene e il rischio di contrarre malattie. Un lavoro su un doppio binario, dunque, quello che hanno dovuto fare gli operatori della cooperativa sociale ‘L’Impronta’ che gestiscono il Nido di Lecce, alle prese anche con difficoltà comunicative legate alla mancata conoscenza della lingua italiana.

“Abbiamo impiegato del tempo per convincere i genitori dell’utilità, ai fini della crescita sana e del corretto sviluppo di Rose, di certe attività da noi praticate che comportano, certo, tra le varie eventualità, anche quella di sporcarsi con la terra o con la pittura, solo per fare qualche esempio. Alla fine – aggiunge Tamara – siamo riusciti a ‘convincerli’ e ad indurli a seguire i nostri consigli non solo sulla partecipazione ai laboratori che  proponiamo ma anche e soprattutto sull’uso che Rose faceva del telefonino”.

Per quanto riguarda la bambina, gli operatori hanno proceduto gradualmente riducendo poco alla volta l’uso del telefonino coinvolgendo la bambina in altre attività. Un modus operandi che gli operatori hanno consigliato di adottare anche alla mamma e al papà di Rose, così da portare avanti un unico modello educativo e comportamentale. Settimana dopo settimana la bambina ha cominciato a staccarsi dal cellulare fino a non usarlo del tutto.

“Grazie ai nostri stimoli – osserva Tamara – dopo mesi di lavoro intenso siamo riuscite a rendere la bimba autonoma, tranquilla anche senza il telefonino. Particolarmente complicato è stato il momento del pasto dato che appena arrivata la bimba non toccava cibo se non ‘distratta’ dal cellulare. Alla fine giocava tranquillamente con i suoi amichetti e, soprattutto, partecipava attivamente ed in modo entusiasta alle attività proposte”.

Sono passati 10 mesi dall’arrivo di Rose a Lecce che ora, a nemmeno due anni, si prepara a tornare in Iran con mamma e papà che hanno ultimato il loro incarico in Italia. Una storia che insegna molto, quella di Rose, una bimba che, come tanti suoi coetanei, purtroppo, è rimasta vittima di quella che è una vera e propria dipendenza. Come spiegano i pediatri, infatti, “quando il bambino ha tra le mani uno smartphone e riesce con un semplice tocco a far accadere qualcosa che gli piace e lo diverte, il cervello produce dopamina la cui produzione genera una sensazione positiva nel piccolo, che cercherà sia di mantenere quella situazione a lungo, sia di ricercarla in futuro. Ciò rischia di generare una vera e propria dipendenza, in quanto il cervello si sarà abituato al livello elevato di dopamina provocato dalle gratificazioni indotte dall’uso dello smartphone e ne chiederà un uso sempre più intensivo per mantenere il livello di piacere a cui è abituato”. Senza contare i danni, ai fini di una crescita sana, di successivi disagi psicologici ma soprattutto relazionali.

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