La violenza in gravidanza, un fenomeno grave e sottovalutato
di lorsamaggiore
Il tema della violenza sulle madri e, di conseguenza sui figli, è uno dei focus del nostro progetto. Una realtà con cui ci confrontiamo nel lavoro quotidiano di supporto alle mamme fragili che, in alcuni casi, ci hanno rivelato di essere state vittime di violenza anche prima del parto.
Infatti, contrariamente all’immaginario collettivo che vede la donna in gravidanza come oggetto di premure ed attenzioni, il fenomeno della violenza sulle future madri è invece tutt’altro che trascurabile.
Ne abbiamo parlato con il dottore Daniele Valsecchi, autore della tesi di Laurea Magistrale in Psicologia Clinica “Le violenze e gli abusi domestici durante la gravidanza: gli sviluppi traumatici sulle madri, i bambini/e e la relazione di attaccamento” (Università degli Studi di Bergamo – Dipartimento di Scienze Umane e Sociali), uno dei quattro vincitori della II edizione del premio “Anna Costanza Baldry” promosso dal CISMAI, nostro partner di progetto.
La violenza in gravidanza è qualcosa che si fa molta fatica a concepire. Eppure, esiste, e non sembra essere un fenomeno residuale.
“Le violenze in gravidanza sono riconosciute unanimemente come un problema di salute pubblica e una grave violazione dei diritti umani da appena un decennio, probabilmente a causa delle forti idealizzazioni socioculturali riguardo la maternità, la gravidanza e il parto. Ciononostante, l’OMS ci informa che almeno una donna in gravidanza su quattro è stata abusata nel corso della vita e che ogni ora una donna incinta è vittima di una tipologia di violenza. L’Osservatorio Nazionale sulla Salute della Donna evidenzia che, tra le donne di età compresa tra i 15 e i 44 anni, la violenza domestica è la seconda causa di morte in gravidanza, dopo l’emorragia”.
Nel suo lavoro di tesi afferma che, “contrariamente a quanto si crede, la gravidanza è un momento in cui la violenza può iniziare a peggiorare”
“I dati dell’Associazione Ostetrici, Ginecologi Ospedalieri Italiani ci informano di una cruda realtà: i maltrattamenti iniziano (30%), continuano (69%) o aumentano (13%) nel periodo di gestazione ed il perpetratore di tali abusi (90% dei casi) è il partner o ex partner nonché padre biologico del nascituro. Così, la transizione alla genitorialità unita alla maggior vulnerabilità e minore autonomia fisica e finanziaria delle madri, specialmente nell’ultimo trimestre di gravidanza, costituiscono un fattore di rischio per i comportamenti violenti nelle coppie perché rappresentano un’opportunità per il maltrattante di usare potere e controllo sulle future madri”.
Come si possono riconoscere le donne che subiscono violenza durante la gravidanza?
“L’American College of Obstetricians and Gynecologists definisce la gravidanza come una “finestra di opportunità” per il rilevamento precoce di violenza domestica dati i contatti assidui e regolari delle madri con i professionisti sanitari. Tra i campanelli di allarme rientrano ripetute visite al pronto soccorso o, al contrario, l’accesso tardivo alle cure prenatali e gli esami o perché il compagno le ostacola attivamente oppure perché trascurano la propria salute a causa dei traumi a cui sono sottoposte; in aggiunta, ricorrono più spesso all’aborto, dimenticano gli appuntamenti, non seguono le cure per le malattie sessualmente trasmissibili e mostrano comportamenti sessuali a rischio”.
E quali i fattori di rischio?
“Tra i fattori di rischio di violenza domestica rientrano il basso livello di istruzione della coppia neo-genitoriale, il basso reddito familiare, la giovane età e la disoccupazione del partner, la giovane età e lo stato civile (single, separata e/o divorziata) della donna. Poi, i fattori di rischio specifici per le violenze in gravidanza riguardano una storia di precedenti abusi, le preoccupazioni del partner per la paternità o per il nascituro, una gravidanza indesiderata, l’abuso di sostanze, il disagio psicologico del partner e l’appartenenza a un gruppo minoritario”.
Invece, quali le conseguenze sulla madre e sul nascituro della violenza in gravidanza?
“L’abuso in gravidanza compromette, direttamente e indirettamente, allo stesso tempo la salute fisica, emotiva, sociale di almeno due esseri umani: la madre e il nascituro, ma spesso anche di altri familiari. Le conseguenze degli abusi interessano non solo gli esiti a breve e lungo termine della madre, del feto e/o neonato, ma hanno anche un forte impatto sulla relazione di attaccamento.
Le madri possono subire danni fisici, dolori cronici, aumento dello stress, problemi che potrebbero interferire con la progressione fisiologica della gravidanza, insorgenza di problematiche psico- emotive quali la depressione durante e dopo la gravidanza che minano la loro fiducia come genitrici, nonché comportamenti a rischio come l’uso di droghe, alcol, sigarette e farmaci da prescrizione durante la gravidanza che possono compromettere il benessere psico-fisico del bambino.
Per quanto riguarda i nascituri, le conseguenze consistono nel rischio di lesioni e anomalie fisiche, di prematurità, di basso peso alla nascita, di morte a causa delle percosse al ventre materno e di comprometterne lo sviluppo neurale ed il benessere emotivo a causa dell’aumento di cortisolo nella madre. Un ulteriore aspetto riguarda il rischio di trasmissione intergenerazionale della violenza; infatti, i figli maschi che assistono o subiscono abusi da parte dei genitori hanno maggiori probabilità di abusare delle loro partner, mentre le ragazze di essere vittime”.
Come poter prevenire questa particolare forma di violenza?
“Ritengo che per il raggiungimento dell’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile (SDG) 5.2 sull’eliminazione della violenza contro le donne (comprese le madri) entro il 2030, sia indispensabile l’implementazione di corsi di sensibilizzazione e formazione rivolti ai professionisti sanitari, dal momento che l’assistenza prenatale offre l’occasione di intercettare le vittime al fine di sostenere la future madri e aiutarle ad uscire dalle dinamiche invischianti e apparentemente senza uscita degli abusi domestici. In aggiunta, sottolineo l’esigenza impellente di una maggiore disponibilità di misure di supporto in fase prenatale e postnatale insieme alle azioni di screening per la violenza domestica”.
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