Costruire una cultura pedagogica comune

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“Non uno di meno. La scuola senza cattedra” è stato più di un progetto, ma un’esperienza di sana e robusta cooperazione tra enti dei tre territori per il sostegno socio-educativo di adolescenti fragili.

Capofila la Fondazione di Comunità di Mantova, nel partenariato numerose cooperative ed enti pubblici e privati operanti nelle province di Brescia, Cremona e Mantova, territori che stanno già collaborando su diversi fronti nella programmazione delle politiche educative e di welfare.

Il tema centrale è stato la dispersione scolastica, sia come causa che conseguenza delle povertà educative.

L’analfabetismo funzionale per una fuoriuscita precoce dal percorso formativo determina infatti una condizione di marginalità rispetto al mercato produttivo e ne è una conseguenza nella misura in cui la vulnerabilità dei contesti relazionali e culturali di vita dei ragazzi (familiari, abitativi…) non è “protettiva” per un successo formativo.

I beneficiari delle azioni progettuali sono stati i ragazzi di età 14/17 anni, emblematica sia per gli apprendimenti cognitivi, sia per le appartenenze e l’integrazione alla comunità, elementi fondanti la cittadinanza e la coesione sociale.

Il progetto ha raggiunto una duplice finalità: costruire una cultura pedagogica comune tra le diverse figure e funzioni in ordine al contrasto della dispersione scolastica, promuovendo interventi sistematici, capaci di tenere conto delle diverse aree e dei diversi livelli di azioni; coltivare e rinforzare in tutti gli operatori la capacità di pensare la rete, pensarsi in rete e operare in rete, sperimentando e agendo nelle prassi la comunità educante.

Gli obiettivi, e quindi le azioni messe in campo, sono iscrivibili in 2 aree, che puntualizzano la definizione di dispersione: dispersione di esito, tecnicamente intesa come il non raggiungimento di una qualifica/titolo, e dispersione di processo, intesa come la discontinuità nel percorso scolastico.

In Lombardia e nei territori interessati la dispersione scolastica è al 13,8 %, superiore alla media europea del 10%.

I dati locali (serie storiche) rilevati in questi ultimi anni sui tassi di bocciature in I media e in I superiore ci restituiscono un quadro preoccupante sul tema delle competenze basilari, la cui scarsità determina in prospettiva una grave povertà culturale.

L’obiettivo della grande comunità educante che si è attivata è stato accompagnare e rinforzare il processo dell’istruzione dei ragazzi, quale questione pedagogica, in cui istituzioni diverse hanno la stessa dignità formativa della scuola.

Rispetto alla dispersione come esito, la metodologia utilizzata è stata quella dei “laboratori di mestiere”, rispetto alla dispersione come processo, quella della “didattica laboratoriale”. In entrambi i casi, i principi-base sono: centralità delle singole persone, responsabilità sociale delle risorse economiche e professionali attivate, coinvolgimento delle famiglie, la cui condizione di alta fragilità/marginalità spesso è causa di difficili biografie giovanili.

Il laboratori di mestiere è un percorso dove il beneficiario si sperimenta in un contesto simile al lavoro, in attività specifiche da realizzare in piccolo gruppo (4/6 ), condotte da un operatore detto “mastro/a” con un profilo non obbligatoriamente educativo. I luoghi di accoglienza si identificano anche formalmente quali luoghi propriamente produttivi, dove l’attività pratico operativa e si alterna con momenti di approfondimento teorico che consentiranno, in base al profilo/obiettivo.

La didattica laboratoriale è un approccio integrato, che coinvolge più attori, studenti, docenti, famiglie, educatori e più contesti di intervento, quali scuola, CAG, ambienti sportivi, singoli domicili. Si attivano laboratori motivazionali e di sostegno allo studio, con metodologie innovative che affiancano attività di educazione formale ad attività non formali, da svolgersi in orario scolastico ed extrascolastico, con collaborazioni strategiche ed operative tra diversi ordini di scuola.

Accanto a queste due esperienze non poteva mancare la “didattica espressiva”: arte ed educazione sono veicoli nella lotta all’esclusione sociale e motori possibili di trasformazione e di partecipazione sociale. Si sono attivati laboratori dentro la scuola, per sperimentare una forma alternativa di didattica con l’arte come medium per rinforzare risorse personali e di gruppo e ri-scoprire approcci cognitivi altri (ma complementari) a quelli lezione tradizionali.

È stato realizzato uno spettacolo che ha coinvolto ragazzi/e “già persi/e” dalla scuola, nella produzione totale, con aree di lavoro performative, tecniche, scenografiche e di costumi. L’approccio è quello della danza e del teatro di comunità e in generale dell’arte sociale, che riattiva competenze legate all’apprendere e alla cooperazione.

Trasversale a tutto quanto narrato, si è attivata una formazione per gli adulti attivi nella comunità educante: il rinforzo alle competenze degli adulti, in primis quelli impegnati in funzioni educative e formative, è la sfida dell’inclusione delle giovani generazioni e della coesione delle comunità.

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