Adolescenti, non più bambini ma non ancora adulti

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*Contributo a cura degli esperti dello sportello “Ascoltarsi” nei territori del Lazio – “Il rapporto con mio figlio è sempre stato tranquillo, sereno, affettuoso…improvvisamente non lo riconosco più…è diverso, silenzioso e quando provo a parlargli spesso mi risponde TU NON MI PUOI CAPIRE! E finiamo per discutere”.

Molti genitori ci raccontano che il tentativo di dialogo con i propri figli si trasforma puntualmente in lite, pur con le migliori intenzioni da parte di entrambi. Capiamo insieme perché.

Nel periodo adolescenziale il rapporto genitori – figli cambia, si trasforma e non di rado presenta una certa conflittualità, un muro contro muro che può degenerare in scontro. Entrambi sperimentano la strana sensazione di non riconoscersi più. Il giovane, percepito come ribelle dagli adulti, da una parte rinnega l’infanzia, dall’altra ricerca faticosamente il suo status di adulto, non ancora maturo, ed esprime con le parole, così come con i fatti, l’esigenza di autonomia e al tempo stesso il bisogno di dipendenza.

Cerchiamo di capire meglio cosa sta accadendo nella mente e nel corpo del nostro adolescente. L’adolescenza è una fase di vita percorsa da profondi sconvolgimenti interiori ed esteriori. Come vive l’adolescente queste modificazioni così radicali? Partiamo dal presupposto che l’esperienza che vive è perlopiù ambivalente, infatti, se fino a poco tempo prima i continui cambiamenti e mutamenti erano contenuti all’interno della cornice dell’infanzia e della dipendenza dai genitori, con l’arrivo dell’adolescenza questa cornice si rompe e non basta più a contenere il corpo e la mente che si estendono a dismisura; i vincoli di dipendenza si sciolgono e il giovane si ritrova a fare i conti con nuove libertà, nuove possibilità da gestire, come quella di un diverso rapporto con l’altro sesso e di una nuova capacità generativa. È la vita che diviene e con essa, l’adolescente deve trovare una nuova coerenza che gli permetta di mettersi in rinnovata relazione con sé stesso e con gli altri.

Può questa “rivoluzione copernicana” rimanere indifferente ai genitori? Impossibile! E non solo perché l’adulto si trova a relazionarsi con una persona che sta fronteggiando dei profondi cambiamenti, ma anche perché egli stesso sta portando avanti la propria personale “battaglia” contro la separazione da modi di essere non più aderenti alla propria età cronologica da un lato, e l’individuazione in una rinnovata identità dall’altro. Quindi non una sola rivoluzione interiore-esteriore (quella dell’adolescente), ma ben due (o tre o quattro e così via, in base alle caratteristiche del nucleo familiare) che si intersecano e si influenzano vicendevolmente.

Ma da chi o da cosa cercano di ribellarsi i figli adolescenti? Da un modello genitoriale, il più delle volte. È la cosiddetta “caduta degli dei”: i genitori che sono stati sempre il centro del loro mondo, percepiti come onnipotenti e infallibili, vengono messi in discussione nel tentativo di prendere le distanze e costruire un rapporto alla pari. È il difficile compito di differenziazione psicologica dell’adolescente dai suoi genitori. In questa fase di transizione, queste due componenti a volte si confondono ed è necessario un enorme sforzo di riorganizzazione e ricerca di un nuovo equilibrio.

E sono molti altri i compiti di sviluppo che gli adolescenti devono affrontare con la crescita, dalla trasformazione fisica alla costruzione della propria identità. Cosa possono fare i genitori, disorientati e confusi, e qual è il loro compito evolutivo? Guardare al proprio figlio non come ad uno “sconosciuto “, ma come ad un essere vivente in trasformazione. Questo processo richiede prima di tutto di modificare l’immagine interna del figlio e di trovare un modo nuovo di stare in relazione, necessariamente diverso da quello dell’infanzia. Un atteggiamento iper-protettivo generalmente non è efficace, in quanto può far emergere nel giovane una decisa opposizione al mondo degli adulti e a tutto ciò che lo rappresenta.

Come genitori proviamo a contattare in modo autentico tanto le nostre emozioni quanto quelle di nostro figlio. Rendiamole esplicite, poiché non è tanto l’esistenza di turbamenti interiori a costituire un limite nel rapporto, quanto il loro disconoscimento. Un primo passo allora può essere quello di ascoltarsi ancor prima di parlare, riconoscere i propri movimenti emotivi e, partendo da questi, avvicinare quelli dell’altro con cui stabilire un contatto emotivo, grazie al quale nostro figlio – non più bambino ma non ancora adulto – potrà sorprenderci!

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