Videogiochi violenti: quali rischi?
di unitiinrete
Lo abbiamo senz’altro sentito dire in qualche occasione: giocare con videogiochi violenti rende violenti. Quanto c’è di vero in questa affermazione?
Come prima cosa, è utile distinguere tra il concetto di violenza e quello di aggressività. Questi due aspetti non sono infatti completamente sovrapponibili, essendo possibile un’aggressività violenta e una non violenta. L’aggressività, infatti, è un impulso e una forza vitale, e può essere sana e creativa, ad esempio nell’essere diretta verso il cambiamento di una situazione di ingiustizia. La violenza, invece, contiene in sé l’intenzione di provocare sofferenza.
Questa prima distinzione è necessaria per sottolineare come gli studi che hanno preso in esame il comportamento di persone dopo aver giocato per un breve periodo di tempo ad un videogioco violento in un setting sperimentale come una stanza di ricerca hanno misurato un piccolo aumento dell’aggressività dopo i minuti o le ore di gioco. I videogiochi violenti aumenterebbero quindi i comportamenti di aggressività, e lo farebbero per un periodo di tempo abbastanza breve. Passate alcune ora, l’aggressività della persona tornerebbe a un livello standard.
Non abbiamo invece dati a sostegno dell’idea che giocare a videogiochi violenti sia la causa di forme estreme di aggressione, come il mettere in atto crimini. Negli ultimi 30 anni la diffusione dei videogiochi negli USA non è stata correlata a un aumento della violenza, così come non ci sono stati picchi dopo il rilascio di giochi violenti celebri, anzi il tasso di questi crimini decresce due mesi dopo.
Consideriamo infatti che è possibile che il videogiocare con contenuti violenti abbia anche un effetto inverso, potremmo dire “catartico” e di sfogo di impulsi violenti attraverso una simulazione.
In conclusione quindi, non c’è videogioco che, da solo, possa causare comportamenti violenti in bambini e adolescenti.
Ma esistono minori che vivono in contesti che propongono la violenza come un comportamento possibile (a casa o tra i pari) e che, giocando con videogiochi violenti, possono rinforzare questa convinzione.
Che fare dunque?
Come sempre, è il contesto generale in cui il bambino o il ragazzo vive a fare la differenza: chiediamoci come si parla, a casa, a scuola, o nel gruppo di amici, di aggressività, come di violenza, e se abbiamo posto un confine chiaro tra questi due comportamenti, non censurando rabbia e assertività, ma aiutando il minore ad accorgersi di quando si rischia di ferire un’altra persona.
Senz’altro, inoltre, è importante conoscere il metodo di classificazione PEGI, usato per classificare i videogiochi attraverso cinque categorie di età e otto descrizioni di contenuto, che dà una misura dell’età sopra la quale un determinato gioco è adatto, attraverso il numero riportato di solito sul retro della copertina del gioco stesso. Va però tenuto conto che il sistema PEGI è uno strumento non risolutivo e a cui non è consigliabile delegare in toto la scelta dei giochi più adatti, ma va considerato piuttosto come un’utile mappa da utilizzare all’interno di una relazione educativa.
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