“Home visiting”: il sostegno a domicilio del progetto Essere all’altezza. Intervista alla case manager Alberta Maria Lopez
di progescoop
L’azione di Essere all’altezza, progetto selezionato dall’impresa sociale “Con i Bambini” nell’ambito del fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile, non si esprime solo attraverso la sperimentazione di un modello di “nido di montagna” visto come hub che possa garantire ulteriori opportunità anche a quelle famiglie che non usufruiscono dei servizi educativi, perché non ne riconoscono la valenza pedagogica o riscontrano difficoltà logistiche nell’accedere ai servizi esistenti. La progettualità portata avanti si estende anche al lavoro di sostegno a domicilio con una attività di “home visiting” nel territorio del distretto sud-est, che comprende località quali Lagrimone e Tizzano. Una iniziativa nata dal confronto e dalla collaborazione tra Servizi Sociali, Neuropsichiatria, Centro per le famiglie e figure di sistema del progetto “Essere all’altezza”.
A parlarne è Alberta Maria Lopez Losi, case manager di Essere all’altezza.
“Riconoscendo la famiglia e la casa come l’habitat privilegiato per la crescita di bambine e bambini, gli obiettivi del nostro intervento sono quelli di promuovere una relazione positiva tra bambini e adulti di casa, supportandoli nell’interpretare e riconoscerne i bisogni, rafforzando nei genitori la fiducia in sé stessi, e individuando insieme a loro risorse e servizi presenti sul territorio. Il lavoro in rete con i Servizi Territoriali ci sta permettendo di entrare in situazioni isolate rispetto al contesto e che esprimono bisogni diversi. In particolare, stiamo costruendo relazioni con famiglie straniere residenti in piccole frazioni dell’appennino e i cui bambini o non frequentano nessun servizio, o frequentandolo stanno incontrando alcune difficoltà, che in determinati casi hanno richiesto un invio ai servizi di neuropsichiatria”.
Quanto è stato complesso attivare questo tipo di servizio?
“In realtà non si è rivelato complicato, ad aiutarci nel primo contatto è stata la Neuropsichiatria di Langhirano, poi un vero e proprio passaparola utile per farci conoscere alle altre famiglie, a cui si è aggiunto un ulteriore approfondimento da parte nostra attraverso la rete dei Servizi Territoriali”.
Come si è sviluppata la relazione con la famiglia?
“Tutto è nato in collaborazione con la famiglia stessa, quando li abbiamo conosciuti non ci erano chiari i loro bisogni se non in minima parte. Piano piano, attraverso il dialogo, sono emerse diverse informazioni che ci hanno permesso di costruire un cammino insieme.
Siamo entrati in casa in punta di piedi, con grande rispetto, dedicandoci prima di tutto all’ascolto e all’osservazione e poi spiegando, pur con le difficoltà di una mediazione linguistica non facile – si tratta di famiglie di origine straniera – gli obiettivi del progetto. Siamo così riusciti a farci raccontare dai genitori quali siano i problemi che affrontano, ma anche i loro desideri”.
Oggi la situazione come si presenta?
“Attualmente sono due le famiglie seguite in modalità ‘home visiting’: mi fermo per chiacchierare, cerco di capire come stanno, la fatica che fanno a vivere in un paese di montagna. Perché non c’è una rete che li supporti. Nel tempo trascorso insieme, parlando e giocando coi bambini, si sta costruendo un rapporto di fiducia in particolare con le madri. Ne è emersa una maggiore apertura e curiosità da parte delle donne, mentre spesso i padri sono più diffidenti e preoccupati, interpretando la partecipazione al progetto come una valutazione di problematicità della famiglia o addirittura una specie di segnalazione ai servizi sociali”.
Quali sono i prossimi step in previsione?
“Speriamo di mettere in contatto mamme e bambini del paese realizzando attività da condividere. È un progetto che si crea di volta in volta. L’esigenza che emerge da tutte le famiglie è quella attivare una “scuola di italiano” per le mamme; questa sembra essere la strada per fare accettare anche ai padri il nostro lavoro, dal momento che anche per loro è importante che le mogli imparino la lingua.
In un caso, si è concordato di incontrarsi con le insegnanti della scuola dell’infanzia al fine di comprendere meglio le difficoltà di inserimento, e aiutare la famiglia a vivere positivamente la relazione con la scuola stessa.
Quindi il nostro prossimo obiettivo sarà individuare il luogo e le persone per realizzare “la scuola di italiano”, che dovrà essere, secondo le nostre intenzioni, il primo momento di aggregazione e attività comune per queste famiglie”.
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