Triste tigre di Neige Sinno. Vivere dopo l’abuso durante l’infanzia

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Triste tigre è il successo letterario del momento, vincitore di numerosissimi premi tra cui, in Italia, il Premio Strega Europeo 2024. In Francia il libro di Neige Sinno, in cui l’autrice prende per la prima volta parola sull’esperienza di abusi sessuali subiti da parte del patrigno per molti anni durante l’infanzia, sul processo pubblico che portò alla sua condanna e sulla sua vita come sopravvissuta a quella “esperienza avversa infantile”, ha scatenato un ampio dibattito sul fenomeno degli abusi all’infanzia.

Non è un caso.

Neige Sinno scrive infatti un testo politico, che fa propria la pratica femminista del “partire da sé”, da quello che le è stato fatto, e dalle domande che per tutta la vita ha continuato a farsi, per dimostrare in circa 230 pagine (nella versione italiana pubblicata da Neri Pozza) la pervasività e l’invisibilizzazione sistemica della violenza e degli abusi nei confronti dei/lle minorenni.

Copertina del libro Triste Tigre di Neige Sinno

Così fa spazio a un soggetto – politico, sociale, culturale – che vede Artemisia impegnata da sempre affinché venga tenuto in considerazione e sul quale comincia ad esserci, come dimostra il successo di questo libro, un’attenzione crescente: le persone diventate adulte dopo avverse esperienze infantili, una espressione che comprende situazioni di trascuratezza fisica ed emotiva, condizioni dei genitori che impattano sui figli quali la malattia mentale, la tossicodipendenza, l’alcolismo, il carcere. E abusi veri e propri: cose terribili che gli adulti fanno ai bambini, come stuprarli, una prima volta e poi ancora e ancora e ancora, per anni. Come è successo a lei.

Per farlo, utilizza un gran numero di opere letterarie e artistiche, film e serie TV che hanno affrontato questo tema, a volte solo per ravvivare una trama un po’ stanca e tenere gli spettatori incollati allo schermo. Attraverso l’uso di citazioni che spaziano da Virginia Woolf a Céline Sciamma, da Annie Ernaux a Vladimir Nabokov, Virginie Despentes, Jacques Prévert, Arthur Rimbaud, David Foster Wallace (per citarne solo alcuni) e la sapiente tessitura con cui le inserisce nel racconto, emerge il ruolo che la cultura – patriarcale e adultocentrica – ha avuto, e continua ad avere, nello sminuire la sofferenza, alleggerire il peso della responsabilità del dolore causato da adulti in prevalenza di sesso maschile su bambini e bambine, ragazzi e ragazze, schiacciando le vittime in un silenzio assordante e marchiandole con il pregiudizio: se sono sopravvissute, non è stato poi così grave.

Invece no, è grave, gravissimo. E chi l’ha subito non ne esce davvero mai, afferma ripetutamente Sinno. Che sa bene di cosa parla.

Non ne esce, ma può interrompere il ciclo della violenza con cui troppo spesso – anche nel suo caso – chi abusa un bambino o una bambina spiega e giustifica il proprio comportamento, spingendo la società, la cultura e spesso anche i sistemi giudiziari a sminuire la gravità degli abusi, tollerandoli dietro una coltre di silenzio perché anche l’autore è stato a sua volta abusato da piccolo. “Come migliaia di altre persone, io sono stata stuprata, sono stata oltraggiata e tradita nell’età in cui non si ha altra scelta se non fidarsi, eppure da adulta non ho né stuprato, né oltraggiato né tradito nessuno a mia volta”.

Per portarci fin qui, ovvero a riconoscere le centinaia di “eroi ed eroine” come lei, che conducono vite apparentemente comuni, ci prende per mano e ci immerge, pagina dopo pagina, nell’arrovellarsi costante della Neige ragazza e poi donna che si confronta ogni giorno con il ricordo di quello che ha subito tra i 7, o i 9, e i 14 anni. Ovvero per 5, 6 o 7 anni di seguito, più o meno… perché Neige non è in grado di dire quando il patrigno ha cominciato: tanto i ricordi dei fatti nel loro svolgersi sono nitidi, tanto è difficile a volte collocarli in una data, un anno precisi. Effetto del trauma.

Così ci ritroviamo nel clima soffocante della sua famiglia disfunzionale, guardiamo con i suoi occhi di bimba il nuovo compagno della madre che pretende di farle da padre, ma “io ce l’ho già un padre”, l’inizio degli abusi sessuali e le altre violenze – controllo pervasivo, aggressività verbale, pretesa di obbedienza, ordini e punizioni crudeli. Maltrattamenti che impallidiscono sullo sfondo quando c’è di mezzo il sesso, ma che impattano anch’essi sulla vita, e la crescita, di Neige.

Con l’adolescenza arriva la progressiva consapevolezza della sua condizione, quella di “preda” di fronte alla “triste tigre” del titolo, che altri uomini adulti con cui entra in contatto sembrano individuare benissimo, ovvero “la mia grande vulnerabilità. Se mi fosse capitato qualcosa non sarebbe accorso nessuno”. Una vulnerabilità che, ipotizza Sinno, è comune a tutte le vittime delle diverse forme di abuso sull’infanzia.

“Un processo non permette di stabilire la verità” è l’incipit folgorante del paragrafo intitolato Esplorare il baratro, che introduce al racconto di quello che è successo con la decisione, a 19 anni, di denunciare il patrigno. Il suo è uno dei pochi casi di denuncia di abusi su minorenni che è arrivato a un processo in Francia – uno su 100 denunce, secondo le stime citate da Sinno. Processo che si è concluso con una condanna, cosa altrettanto insolita. Perché l’autore, il suo patrigno, ha ammesso il fatto. Reo confesso. Altrimenti “sarebbe stata la mia parola contro la sua” e l’esito molto meno scontato. Anche per questo si stima che le denunce siano appena il 10 per cento dei casi.

Non per questo le viene risparmiata l’esperienza della vittimizzazione secondaria, del victim blaming – quell’insieme di interrogatori sfinenti volti a screditare la vittima, a minare la sua credibilità, a costruire tutte le possibili attenuanti per il reo, a ribaltare sulla vittima la responsabilità di aver provocato e innescato la violenza – che sperimentano fin troppo spesso le donne e ragazze che denunciano uno stupro.

Sinno trova le parole, nitide e precise, per dire cose quasi indicibili pensando a una bambina stuprata da un adulto, come quando affronta la questione del piacere e del consenso. “Per me era evidente che non ero mai stata consenziente, e il mio patrigno lo ha confermato. Allo stesso tempo lui non smetteva finché anche io non avevo un orgasmo. Ricordo che mi concentravo per venire, sennò la cosa durava un’eternità. Lui provava piacere nel darmi piacere contro la mia volontà”.

Ovviamente la denuncia fa deflagrare la famiglia. La madre scrive alla Procura insieme a Neige – nel libro sono riprodotte le due lettere – ma non si era accorta di nulla per tutti gli anni in cui la bambina era stata abusata: “quello che è successo a mia madre è forse ciò che di peggio può succedere. (…) Lo stupro, la tortura ripetuta, per anni, della bambina che hai messo al mondo”. Il fratellino e la sorellina (tecnicamente, il fratellastro e la sorellastra) vedono andare in pezzi il nucleo familiare in cui sono cresciuti, ignari, fino a quel momento. La responsabilità di tutto questo ricade su Neige. Sulla denuncia. Non sull’autore, sulla violenza. La fatica di ricomporre questi pezzi con il tempo, che Neige racconta, è un altro aspetto dell’abuso di cui poco si sente parlare.

La seconda parte del libro, intitolata significativamente Fantasmi, esplora l’impatto della predazione sessuale e il convivere con questo ricordo costante. “La dominazione sessuale è una forma di dominazione che intacca le fondamenta stesse dell’essere” scrive Sinno. E più avanti: “Le conseguenze dello stupro vanno dunque ben al di là dell’ambito circoscritto della sessualità, minano tutto, dalla capacità di respirare fino a quella di rivolgersi alle persone, ma anche di mangiare, lavarsi, guardare immagini, disegnare, parlare o tacere, di percepire la propria esistenza come una realtà, di ricordare, di imparare, pensare, abitare il proprio corpo e la propria vita, sentirsi capaci di, semplicemente, essere”.

Neige Sinno illustra il trauma e la (propria) dissociazione, meccanismo psichico che agisce per sopportare la violenza. Ricostruisce – per noi e con noi – la progressiva consapevolezza di quanto certi tratti della sua personalità, certi suoi comportamenti irrinunciabili, il suo sguardo costantemente vigile e allerta nei confronti di ogni bambino o bambina, si spieghino con una frase: “perché sono stata stuprata”. “Damaged for life”, danneggiata a vita, mentre il suo stupratore, dopo 9 anni, ha “espiato” la sua colpa. “Tutto il mio carattere è opera sua. La parte buona e quella cattiva. Quella geniale e quella terribile.”

Ripercorre l’irrefrenabile arrovellarsi intorno alla domanda: perché? fino a quando trova in uno storico, esperto delle due guerre mondiali, una possibile risposta, agghiacciante: “perché possono farlo”. Era riferito agli stupri di guerra, ma Sinno ci dimostra come calzi perfettamente anche per l’abuso su bambini e bambine, che avviene nella maggior parte dei casi nel chiuso di spazi domestici, familiari, rassicuranti, edificanti: le case, la propria e quella di parenti o persone di fiducia, la scuola, la palestra, la parrocchia. Spazi dove sulla tutela delle vittime prevale sempre o quasi sempre l’ingiunzione sociale e culturale a salvare le apparenze. Dunque, possono farlo.

Cita la ricerca sulle Adverse Childhood Experiences (esperienze avverse infantili) condotta negli Stati Uniti, con i suoi risultati impressionanti rispetto all’impatto che gli abusi, la trascuratezza e il maltrattamento nell’infanzia hanno sulla vita adulta. E le neuroscienze, che “hanno dimostrato come il trauma incida sulla produzione di ormoni, sul circuito neuronale, ma anche sul sistema immunitario e, da ultimo, anche sul Dna”, raccontando del tumore all’ovaio per il quale è stata operata e della morte per tumore del suo amico Christian, anche lui maltrattato da bambino.

Racconta di come ha parlato per la prima volta con sua figlia di quello che ha vissuto, forse una delle sfide più grandi.

E se pure per Sinno non è possibile Venirne fuori, come titola un altro paragrafo, e lasciarsi definitivamente alle spalle il “mondo in cui vittima e carnefice sono insieme”, una possibilità c’è. “Impariamo a vivere sapendo che quel mondo ci sarà sempre, appena dietro l’angolo”. “Però si può rimanere sul bordo, senza entrarci. Imparare a rimanere sul ciglio di quel mondo, ecco la sfida, camminare come funamboli sul filo dei nostri destini. Inciampare ma, ancora una volta, non cadere. Non cadere. Non cadere.”

Ed è proprio quello che lei fa, pagina dopo pagina, con questo libro.

 

Cristiana Scoppa

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