Linee di indirizzo della Rete di Nicoletta: come e perché funzionano

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Marianna Giordano, presidente del CISMAI, Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l’abuso all’infanzia, ha collaborato alla stesura delle Linee di Indirizzo per la presa in carico delle donne e dei/lle minorenni vittime di violenza di genere messe a punto nel 2022 dalla Rete di Nicoletta, programma promosso dalla Regione Toscana e finalizzato a sviluppare sinergie tra istituzioni locali, servizi e il centro antiviolenza Artemisia sul territorio fiorentino.

Nel suo intervento in occasione della conferenza stampa che lo scorso 15 aprile ha fatto il punto sul primo anno di applicazione delle Linee di indirizzo, che qui pubblichiamo, Marianna Giordano ripercorre le caratteristiche principali di questo strumento.

 

Le finalità

Le finalità delle Linee di indirizzo sono la costruzione di processi efficaci per le donne, le bambine ed i bambini vittime di violenza maschile; il sostegno istituzionale, operativo ed emotivo alle operatrici impegnate nei servizi e nel Centro antiviolenza; l’alimentazione dei processi riflessivi e di integrazioni , indispensabili per interventi efficaci.

La complessità della violenza

Le Linee di indirizzo nascono dalla consapevolezza della complessità del contrasto alla multiforme violenza maschile, un fenomeno ancora sommerso, con tante sfumature diverse, a volte poco riconoscibili e quindi ancora più pervasivo.

La violenza ci coinvolge non solo come operatrici ma anche come organizzazioni, perché intimorisce, destruttura, confonde. Le Linee di indirizzo rappresentano un supporto per fare sentire meno soli e sole gli operatori dei servizi, ma anche sottolineare il valore di trovarsi all’interno di una importante cornice pubblica, che riconosce e legittima questo lavoro. Senza questa cornice il contrasto della violenza diventa molto difficile. La violenza colpisce le operatrici e le organizzazioni. Gli atteggiamenti minacciosi, denigratori, squalificanti degli uomini e dei loro avvocati minano il senso di competenza e sicurezza: solo un’organizzazione che legittima e sostiene l’agire delle operatrici può favorire interventi autentici di protezione e aiuto, contrastando le trappole del silenzio, della minimizzazione, della riduzione a conflitto, della neutralità.

Un aspetto evidenziato nelle Linee è la complessità data dalla evocazione della dimensione della neutralità: molto spesso nella nostra società si continua a confondere la violenza con il conflitto e ritenere che gli operatori dei servizi debbano essere neutrali. Questo è uno degli errori che comporta una vittimizzazione secondaria delle donne vittime di violenza e dei loro figli, proprio perché non c’è il riconoscimento di quello che sta loro accadendo. Le Linee di Indirizzo, attraverso una serie di esplicitazioni e passaggi, e soprattutto la cocostruzione di un metodo, permettono alle operatrici e agli operatori che incontrano le situazioni di violenza di potersi posizionare e di non sottostare a quest’obbligo di neutralità, che è assolutamente falso e contraddice la possibilità di allearsi con le donne e accompagnarle in un percorso di liberazione.

La complessità del contrasto della violenza è anche data dalla dimensione personale di ognuna di noi: la violenza interroga, oltre le competenze e i ruoli, la nostra soggettività e ci chiede ogni volta di vigilare, riconoscere, decostruire e mettersi in gioco per essere alleate delle donne e dei loro figli. I dispositivi previsti dalle LI vogliono sostenere anche questo spazio di riflessione.

Le responsabilità

Un aspetto molto importante delle Linee di indirizzo è la sottolineatura delle responsabilità, il gruppo ha lavorato molto su questa dimensione, anche sottolineando la diversità dei mandati professionali di assistenti sociali, psicologi/e, educatori e educatrici (che da poco hanno visto il riconoscimento di un ordine), ma anche di medici ed avvocati/e, tutti/e professionisti/e che sono implicati/e nel contrasto alla violenza con responsabilità diverse e con mandati molto spesso apparentemente contraddittori.

Nel Gruppo abbiamo lavorato su come la centralità della donna e dei suoi figli rappresenta il principio guida per affrontare quei dilemmi etici che molto spesso emergono quando si lavora a contatto con la violenza e su tutte quelle situazioni che sono grigie, perché in realtà solo alcune sono situazioni da Codice rosso, più evidenti. La maggioranza delle situazioni che accedono ai servizi sociali territoriali e al centro antiviolenza sono molto sfumate e pongono una serie di interrogativi rispetto ai quali il lavoro sulle responsabilità professionali e sulle competenze rappresenta una cornice importante che richiede però un’altra responsabilità, quella istituzionale.

Nelle Linee di indirizzo è stata sottolineata la necessità di condizioni e requisiti organizzativi e logistici che rendono possibile un lavoro qualificato e competente per l’agire degli operatori e operatrici, perché nonostante la più straordinaria competenza, anche il più bravo chirurgo del mondo non può operare a cuore aperto in un deserto senza una sala operatoria adeguata, e noi ci troviamo nella stessa situazione: è necessario che coincidano le responsabilità professionali con quelle istituzionali.

La rete

La terza dimensione è quella del lavoro di rete. La parola rete oggi è molto abusata, noi dobbiamo pensare che se non c’è un integrazione tra sociale, sanitario, educativo, giudiziario, se i percorsi di uscita dalla violenza non incrociano la dimensione terapeutica con quella lavorativa e dei percorsi di autonomia, con la dimensione abitativa e con l’offerta di opportunità reali per le donne e le bambine e bambini di potersi ricostruire la vita in contesti diversi, lontani dai loro iniziali affetti, è assolutamente impossibile contrastare veramente la violenza e c’è il rischio che le donne e i loro figli ritornino indietro perché si sentono non sostenuti in un percorso di vita nuova, libera dalla violenza.

Le fasi

La scelta di utilizzare l’articolazione in fasi è metodologicamente importante: si utilizzano le fasi che implicano una progettualità ed un’evoluzione del lavoro nel tempo. Le fasi non rappresentano solo una dimensione cronologica perché c’è anche un andamento a spirale, a volte quando si è in una fase avanzata di presa in carico emergono altri fatti per cui bisogna ritornare sulle motivazioni, sui passi precedenti. L’intervento in fasi è soprattutto la costruzione di un percorso che porta alla riparazione ed all’autonomia.

L’équipe

Le fasi di lavoro sono caratterizzate da alcune note metodologiche. Innanzitutto la necessità del confronto. Nel documento si fa spesso riferimento all’equipe dove non si intende una mega equipe, composta da tantissime persone, ma si esprime la necessità specifica che le operatrici di servizio sociale non siano sole a riflettere lì dove ci sono situazioni anche emotivamente attivanti e complesse.

Infatti nell’operatività, da un lato c’è l’attivazione per la gravità di ciò che la donna sta vivendo, ma dall’altro ci sono a volte anche delle perplessità e dei dubbi su come stanno i bambini/e e su quale sia la soluzione migliore per loro. Quindi la possibilità di un confronto innanzitutto con un centro antiviolenza, ma anche con tutti i soggetti che a volte in maniera frammentata, nonostante le buone intenzioni, ruotano attorno alla donna, rappresenta una caratteristica che deve attraversare tutte le fasi.

Anche dai focus group che hanno accompagnato il primo anno di sperimentazione delle Linee di indirizzo è emersa una situazione di frammentazione e la frammentazione fa il gioco dell’uomo violento perché è molto più facile triangolare, trovare dei varchi negli interventi di aiuto e protezione, lì dove manca la connessione tra Codice rosa, SEUS, servizi sociali e centro antiviolenza

Referente dell’intervento

Accanto all’aspetto del confronto e dell’integrazione, è centrale anche l’individuazione di una referente competente, non solo una figura burocratica, ma utilizzando un’espressione del servizio sociale una case manager autentica. La scelta di un’operatrice che sia in grado di gestire la complessità anche delle dimensioni di potere, di ruoli e di responsabilità diverse deve caratterizzare, come detto più volte nelle Linee di indirizzo, tutte le fasi, facendosi interlocutrice con i diversi attori e portavoce dei diritti delle donne e dei bambini e bambine.

Il processo di intervento

La rilevazione è l’inizio, la porta d’accesso per le donne al percorso di aiuto ed è il luogo in cui si gioca in prima battuta il rischio della vittimizzazione istituzionale e noi dobbiamo fare molta attenzione perché una buona partenza di solito determina un buon percorso. Un aspetto cruciale è fare attenzione ai diversi modi in cui si presenta la violenza e in particolare alla non emergenza, una situazione in cui a volte le donne non si agganciano. Al tempo stesso è da tenere a mente che l’uscita dalla violenza è un percorso che non si esaurisce con la rilevazione e con la valutazione del rischio, che sono fondamentali, ma richiede un grande investimento nella presa in carico e nella cura. È inutile mettere in protezione le donne e i figli se non le si può accompagnare in un percorso reale fatto di opportunità di ricostruzione della propria vita.

Gli incontri protetti

Le Linee di Indirizzo si soffermano sulla relazione dei servizi sociali con l’uomo, partner e padre: una relazione complessa in cui le assistenti sociali hanno diritto di essere supportate sul piano operativo ed emotivo, per quella pervasività della violenza di cui abbiamo già parlato e che non va mai data per scontata.

Gli incontri protetti sono uno dei punti di maggiore fragilità del sistema di tutela in tutto il nostro Paese, sono il punto in cui in una contraddizione tra il dispositivo giudiziario, la realtà della donna e il pensiero dei servizi, i bambini e loro madri vengono esposti di nuovo molto spesso a situazioni di violenza. Si offre una possibile protezione fisica nell’incontro tra il figlio e il padre, ma non si preserva da una grande violenza psicologica, perché gli incontri protetti vengono attivati molto spesso solo per assecondare il bisogno dell’uomo di affermare il proprio diritto sui figli e sulla sua partner, senza alcuna valutazione dell’impatto della violenza pregressa sui figli, senza alcuna attenzione all’ascolto dei bambini ed al significato simbolico oltre che concreto dell’incontro.

Nelle Linee di indirizzo abbiamo messo in evidenza delle avvertenze che dovrebbero essere assunte, non solo dalla singola assistente sociale ma dal/la responsabile dei servizi sociali, con un’interlocuzione competente e determinata nei confronti degli avvocati e dell’Autorità giudiziaria. Questo è un aspetto fondamentale perché altrimenti gli incontri protetti, che tali non sono, spingono le donne a ritirarsi, a pensare che tutto sommato è meglio tornare a casa piuttosto che esporre se stesse e i/le figli/e alle umiliazioni e agli attacchi che vivono in quelle circostanze.

La cura

La cura psicoterapeutica competente da parte di operatrici esperte sul trattamento del trauma è un altro aspetto importante del percorso di liberazione. La enorme criticità è rappresentata dall’area sanitaria del nostro Paese, che è un’area scoperta in cui le psicologhe e psicologi devono far fronte a situazioni diverse e complesse e molto spesso senza una competenza specifica sul trauma. A causa di questa incompetenza e alla carenza di personale, le donne sono sottoposte a interventi di valutazione, da parte di professionisti che non sono in grado di riconoscere i danni che sono stati provocati dalla violenza sia nella donna che nei figli.

Il tema della cura terapeutica è quindi fondamentale come il percorso socio-educativo e di autonomia che permette la riparazione delle ferite e l’inizio di una nuova vita libera dalla violenza. Le Linee di indirizzo contengono una serie indicazioni in cui si rimanda alle responsabilità istituzionali perché la rete sia effettiva. In questo è richiesto anche ai servizi sociali di sviluppare nuove competenze e di essere in grado di accompagnare persone adulte, come sono le donne, e i/le loro figli/e nella costruzione e nell’accesso delle opportunità che rappresentano una possibilità di sperimentare se stessi in contesti di relazione e di vita diversi da quelli che hanno vissuto nella loro famiglia.

Gli/le assistenti sociali hanno molte competenze da sviluppare e nella cooperazione con Artemisia c’è tanto da imparare sui temi dell’autonomia, dell’indipendenza e della costruzione di un progetto di vita a tutto tondo.

La formazione e la supervisione

Dai focus group è emerso più volte ancora la necessità della formazione. Nonostante il Progetto abbia dato la possibilità di coinvolgere tantissimi operatori e operatrici, in questi anni per fortuna nei servizi ci sono state tante nuove immissioni e la competenza sul riconoscimento nell’intervento sul contrasto alla violenza non è solo un tema degli addetti ai lavori in modo specialistico. Qualunque assistente sociale e in qualunque servizio dall’inclusione alla disabilità, oltre ovviamente alla tutela, deve conoscere il multiforme fenomeno della violenza, saperlo riconoscere e saper attivare i percorsi adeguati, altrimenti diventa un fenomeno di nicchia, mentre invece sappiamo e dobbiamo essere vigili perché la violenza come un fenomeno trasversale.

La supervisione, che è stata già attivata in questi anni, va messa a punto non solo come supervisione metodologica ma anche emotiva. Nel focus group emerge la grande fatica che le operatrici fanno nel portare avanti un peso troppo grande, anche per le forti attivazioni personali: non ci dobbiamo dimenticare che la violenza ci rimette in gioco non solo come operatrici ma anche come donne, o come uomini, nelle nostre storie e nelle nostre vite personali.

La possibilità che queste Linee siano feconde, vadano avanti, possano essere anche modificate ma siano veramente un’opportunità per donne e bambini è data dal supporto della formazione e della supervisione, lavorando anche sulla capacità di comunicare con le donne, anche quando sono “antipatiche” come scritto anche nel focus group – dove emerge chiaramente che una donna vittima di violenza non è sempre la persona che noi vorremo che si ponga come un agnellino – e con una capacità di comunicare anche con donne straniere che hanno altri modelli culturali rispetto alle quali c’è tanto lavoro da parte nostra da fare.

Verso il futuro

Le Linee di Indirizzo mettono a sistema saperi ed esperienze che rappresentano una strada efficace per il contrasto alla violenza. La sfida da affrontare è la capacità di lavorare insieme sapendo integrare gli aspetti di responsabilità, competenza e potere: a volte i conflitti di potere tra le organizzazioni producono ancora una vittimizzazione delle donne e dei loro figli e bisogna riconoscerli e affrontarli.

Finora è stato fatto una grande lavoro, c’è ancora molta strada da fare ma avere un supporto metodologico è veramente prezioso.

 

Marianna Giordano
Presidente CISMAI

 

Sullo stesso tema è disponibile anche l’intervento di Elena Baragli, presidente di Artemisia : La Rete di Nicoletta a Firenze: criticità e proposte

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