Il ruolo e la figura dell’educatore e dell’educatrice di prossimità
di ancescaobologna
Il progetto Community Schooling entra nel vivo con una serie di incontri rivolti alla comunità educante, finalizzata a condividere i riferimenti di una metodologia efficace e replicabile, in funzione di un modello di intervento sociale in grado di tenere insieme il pubblico e il terzo settore, il formale e il non formale. Si intende mettere a sistema una modalità di lavoro che già esiste, soprattutto nel territorio di Bologna, ma che necessita di una approfondita riflessione in vista delle sfide presenti e future nel contrasto alla povertà economica ed educativa di cui si sentono già i movimenti sussultori. Il punto di partenza e di arrivo è il potenziamento di un lavoro di rafforzamento della coesione sociale, a cui tutti i soggetti attivi nella sfera educativa sono chiamati a dare un contributo ragionato, integrato, interconnesso.
Per intraprendere tale percorso abbiamo sentito l’esigenza di coinvolgere Michele Marmo, esperto di animazione sociale e culturale e fondatore della cooperativa piemontese Vedogiovane, specializzata in gestione di servizi socio-educativi e di progetti di animazione sociale e di comunità.
L’attività del nostro progetto si rivolge a tre segmenti specifici del territorio bolognese, i Quartieri Navile, Savena e San Donato-San Vitale, tra loro confinanti e accomunati da urgenze e domande.
Punto di partenza è il ruolo che l’educatore/educatrice di prossimità deve assumere in relazione a un percorso di crescita collettiva, che miri a rinforzare il senso di appartenenza alla propria comunità.
Ma esiste ancora la comunità? Se questa è la domanda, la risposta da agire riguarda il processo di ridefinizione di questo concetto tenendo conto dei cambiamenti socio-economici e culturali in corso e di lavoro di ritessitura dei legami sociali che sono la base di questa articolata entità ridefinendo anche il volto di chi presidia tale processo.
Per incidere sulla propria comunità di riferimento occorre che le persone con le proprie spinte, visioni, aspettative ed esigenze avviino un confronto all’interno del proprio gruppo di riferimento per operare in modo generativo. Detto in altre parole: la costruzione di contesti di gruppo e la vita dei gruppi è l’essenza del fare comunità; lo scambio, il confronto, la partecipazione attiva sono i valori di misurazione della sua efficacia. Fare gruppo implica mediare le singole soggettività, condividere di conseguenza le soddisfazioni, ma anche le fatiche e le difficoltà.
Una volta definiti questi passaggi preliminari, occorre individuare le prospettive a breve, medio e lungo termine che il processo di ricostruzione e definizione di comunità deve porsi.
L’animazione ha da un lato un’anima fortemente politica mirata al cambiamento sociale fondato sull’orizzontalità, i cui cambiamenti hanno delle tempistiche molto dilatate e talvolta impercettibili tanto da dare l’impressione dell’immutabilità; dall’altro impone azioni concrete e immediate come la definizione di contesti ad alta densità relazionale. Le Case di Quartiere e in generale gli spazi di prossimità assumono un ruolo cruciale, non meri luoghi dove erogare prestazioni, ma punti nevralgici per la costruzione di legami di vicinanza che rendano più sostenibile l’esistenza e la quotidianità delle persone.
Collegare la comunità educante a tutta la Comunità mette al centro l’animazione sociale e avvia un processo di trasformazione delle persone da soggetto individuale a soggetto collettivo: ecco il senso della partecipazione!
Diventa dirimente a questo punto la ricerca sul campo e la definizione degli obiettivi. L’empirismo è fondamentale, purché si traduca nella frequentazione della strada, nell’attraversamento dei luoghi comuni, nell’incontro delle persone. Perché questa ricerca azione sia possibile occorre rompere la distanza fissata dai ruoli professionali, individuare dunque un terreno comune che tragga forza dall’avvicinamento, parlare lo stesso linguaggio, trovare modalità condivise, condividere i contesti.
Come afferma Marmo a proposito del setting emotivo da avviare: “la distanza è interna, la vicinanza è fisica”.
Bisogna andare nei quartieri capire quali siano i bisogni reali, non trincerarsi dietro fredde analisi sociologiche, perché l’operatività ha una funzione euristica.
Il fare insieme delle cose, i progetti, è il senso più intimo dell’animazione. Questo movimento è duplice, da un lato gruppale, laddove la crescita dell’individuo matura nell’esperienza di gruppo; dall’altro la crescita è di comunità, quindi il gruppo non è più somma delle parti, in quanto assume soggettività sociale, non riconducibile a un unicum indistinto, bensì costruito su un terreno in cui individualità distinte si sentono parte di un “noi”.
La funzione educativa non è dell’ente pubblico, seppure ne abbia il ruolo, ma la responsabilità e la spinta è di tutti quanti perché quel soggetto si costituisca come comunità. Quindi il processo educativo è frutto di una coralità di soggetti (formali, informali, non formali), di conseguenza deve esserci l’accettazione di una parzialità del compito, commisurato alle competenze, ovviamente è fondamentale trovare e stabilire connessioni e comunicazioni con ciò che realizzano le altre parti della comunità. Solo attraverso questo equilibrio si lavora a obiettivi a lunga gittata, in una dimensione prospettica e non emergenziale.
Come avviene dunque il cambiamento sociale? Innanzitutto attraverso un cambiamento positivo del soggetto che si rappresenta, migliorando la propria azione e portando risultati che non possono essere ignorati dall’Istituzione per esempio, perché i risultati restituiscono potere a chi li ottiene. Lo scopo è di creare consenso intorno alla propria azione e per farlo occorre concentrarsi in primis sul proprio operato.
La partecipazione perché possa definirsi tale e non si riduca al mero coinvolgimento, implica che ogni soggetto/gruppo prenda parte attiva al processo di ricerca (come già detto sopra a contatto con le persone) e analisi dei bisogni, in seconda battuta che prenda parte alla progettazione e messa in opera delle azioni.
Tutto il percorso inoltre va costantemente valutato e rielaborato, affinché il progetto stesso diventi luogo di apprendimento, interrogandosi continuamente, in itinere, sul senso e i risultati del processo avviato.
Per ultimo vi è la restituzione al pubblico di quanto realizzato durante il processo, in tal modo i gruppi diventano soggetti sociali e il prodotto culturale che ne scaturisce diventa non solo riconoscibile, ma produce un cambiamento collettivo.
Stando tutte queste premesse, la formazione ha come obiettivo specifico la definizione di una metodologia condivisa per un’equipe che operi all’interno dei contesti educativi, e Bologna intende essere un laboratorio dove sperimentare siffatto percorso. Agli incontri hanno aderito sia gli animatori e le animatrici dei centri socio-educativi, delle Case di Quartiere, delle associazioni coinvolte, ma anche referenti dei Servizi Educativi Scolastici Territoriali del Comune: il nucleo dell’equipe che in parte già esiste e che, grazie a Community Schooling, intende perfezionarsi.
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