Lo specchio intrappolante: uscire dalla realtà per ritrovarsi con il laboratorio di cinema partecipato | Chieri

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Cos’è il cinema partecipato?

È un laboratorio di cinema che si basa sul metodo del “fare”, in cui i ragazzi imparano a stare su un vero set. Viene proposto un percorso che parte dalla pre-produzione che riguarda l’organizzazione del lavoro, la scelta dei ruoli per ogni ragazzo e del cast, per poi passare alla produzione vera e propria dove ognuno svolge il proprio ruolo come all’interno di una vera crew e dà il suo contributo alla riuscita di un cortometraggio. Infine c’è una piccola parte di post produzione che riguarda più che altro il doppiaggio.

Perchè proprio un laboratorio di cinema?

Perchè il cinema ci aiuta a percepire gli schemi di funzionamento della realtà che altrimenti faticheremmo a vedere. Mi spiego. Il nostro set era la scuola, un luogo vissuto quotidianamente dai ragazzi, ma in quel momento aveva delle regole diverse e dentro il film era ancora un’altra cosa. Stesso luogo tre realtà diverse. Questo aiuta i ragazzi a esplorare la dimensione del dubbio e vedendo diversi punti di vista pian piano realizzare che la realtà è semplicemente quella che tutti accettiamo, ossia socialmente condivisa. I ragazzi così cominciano a sperimentare le basi del pensiero critico.

Cosa facevano di preciso i ragazzi, quali ruoli?

Ricoprivano ogni tipo di ruolo: ciackista, tecnico luci, fonico, controllo inquadratura, segretario di produzione, aiuto regista, controllo vestiti, fotografo etc e se non ce n’erano abbastanza se ne creavano, ma ognuno poteva scegliere in base ai propri interessi. Ad esempio un ragazzo che era molto bravo a giocare a calcio si è occupato di tirare il pallone nelle scene dove serviva. Poi ovviamente ci sono gli attori protagonisti che sono stati sottoposti a un vero e proprio casting: si sono messi in gioco recitando le battute a caldo, senza preparazione.

Cos’è Specchi? Com’è nato?

Nasce dalla riflessione sui rischi e la fascinazione delle nuove tecnologie. Il cellulare moderno è la metafora dello specchio intrappolante che può trasportare in un altrove dal quale si può anche non uscire. L’ambientazione si ispira alle “backrooms” che girano sul web: delle stanze su più livelli di colore giallo e con una luce traballante che rimandano a un immaginario specifico, un altrove ammuffito. Il protagonista è un buono emarginato perchè gioca ancora “alla vecchia maniera” con il pallone e nonostante sia l’eroe di questa storia dopo essere uscito dallo specchio qualcosa di oscuro gli rimane dentro.

Quali sono i punti forti del metodo e del corso?

  • La definizione di un percorso complementare al corso di studi nell’ambito audiovisivo attraverso la dimensione pratica del “fare”.
  • Imparare a gestire la time pressure: la variabile tempo è la più complessa da gestire ed è richiesta in ogni lavoro perciò è un’abilità che ha un valore al di là della parte tecnica. Alla fine di ogni sessione di ripresa bisogna portare a casa la scena perchè il giorno dopo non si avrà tempo per girarla, quindi anche se ci sono imprevisti e non verrà perfetta bisogna ingegnarsi per consegnarla e questo insegna il valore della scadenza oltre a una buona dose di problem solving.

Qual è l’obiettivo ultimo?

Costruire una realtà produttiva aperta alla sperimentazione con i ragazzi in cui possano sperimentare le proprie potenzialità. È una sfida cercare di tirare fuori il potenziale artistico inconsapevole. A quest’età (11-13 anni) non si mascherano, sono più genuini e per questo è il momento giusto per stimolarli e far emergere una dimensione che altrimenti con la didattica tradizionale rimarrebbe inesplorata.  Specchi poi è stato un verso e proprio esperimento che ha dato il via al format ben accolto anche in altre scuole.

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