Co.Di.C.E. – da “mettere” a “connettere”

di

Photo by Van Tay Media

di Chiara Lanini e Elia Mascherini

Co.Di.C.E. è l’acronimo di “Connessioni di Comunità Educanti”: un progetto di sistema per il contrasto alla povertà educativa minorile che si sviluppa nell’arco di due anni.

Nelle nove municipalità di Genova e nei comuni di Sori, Rapallo e Arenzano vengono proposte azioni educative a medio e lungo-termine, rivolte a 1600 studenti tra scuola primaria e secondaria, 600 famiglie, 150 insegnanti, 20 assistenti sociali, 10 enti di Privato sociale.

Un progetto che ambisce ad essere di sistema deve coinvolgere gli Enti Locali e le Amministrazioni: in questo senso, fin da subito, è stata coinvolta la regione Liguria (responsabile dell’assetto istituzionale dei servizi socio educativi della regione) e, A.Li.Sa. (Azienda Ligure per la Salute) referente della programmazione e della gestione dei servizi sociosanitari liguri. Il coinvolgimento di questi due enti va nella direzione di incidere concretamente nei processi a lungo termine di programmazione e intervento dei servizi sociali, educativi e sanitari della regione.

Le azioni educative si sviluppano in tre direzioni, distinte e coordinate: laboratori a sostegno dello sviluppo delle competenze cognitivo-digitali, percorsi sull’affettività e sulle competenze relazionali, rigenerazione urbana e cura dei beni comuni e figura chiave del progetto è il facilitatore: un professionista che nei vari territori diventa “rilevatore” di bisogni e “connettore” di competenze, “care giver” e promotore di iniziative di comunità.

 

Il cambiamento del paradigma: da “mettere a “connettere”

Il progetto Co.Di.C.E. è figlio del nostro tempo. Ne rappresenta le necessità e le nuove emergenti consapevolezze, l’urgenza e il valore di fare tesoro delle risorse, non soltanto non sprecarle, ma produrre le condizioni migliori per farle funzionare, individuando la strategia generativa che inneschi un effetto moltiplicatore. Negli scorsi decenni la parola d’ordine è stata mettere. Quando gli operatori sociali pensavano ai problemi sociali, di natura individuale, familiare o collettiva, la direzione spontanea (perché culturalmente fondata) del loro pensiero andava verso l’indagine puntuale, a volte maniacale, dell’ingrediente mancante, della carenza, dell’assenza, e sul calco di questa assenza, di risorse, di competenze, di luoghi, contesti, ambienti, funzioni si costruiva la protesi necessaria, l’aggiunta che, secondo una logica un po’ meccanicistica, avrebbe contribuito sostanzialmente a rendere sufficiente la misura ed efficace la soluzione. Contesti socializzanti, ambienti idonei, funzioni competenti, legami riparativi.

Di questo modello qualcosa funzionava, era virtuoso, utile ed efficace e qualcosa meno, ma questo è vero per diversi contesti. Ciò che si vuole qui sottolineare non ha intento valutativo (o svalutativo), ma vuole piuttosto introdurre un discorso culturale, di paradigma. Il paradigma contemporaneo, per mille ragioni anche molto generali, ampiamente trattate, tende a costruire un nuovo framework, che dà altra forma al pensiero. Non più mettere, ma connettere, non solo aggiungere, ma soprattutto valorizzare; dall’analisi della carenza emerge la risorsa, intorno al dettaglio si evidenzia il sistema, che è un organismo, qualcosa di più della rete. Nel concreto, ad esempio, vuol dire non investire tutte le risorse a supporto relazionale all'”utente” ma utilizzarle per far diventare la persona coinvolta il nodo centrale, consapevole, di una rete capace di sostenere, valorizzare e promuovere le competenze nel tempo.

Nel caso di Co.Di.C.E. si evidenzia come i progetti realizzati grazie a risorse integrative diano la possibilità di una concentrazione specifica, innanzitutto sul metodo che il nuovo paradigma promuove. Metodo che, per essere implementato, richiede tempo e, effettivamente, risorse straordinarie che vadano non tanto a strutturare nuove soluzioni ma nuovi modi per pensarle e metterle in campo. Si potrebbe dire che Co.Di.C.E. contribuisca ad innovare il come ancora più che il cosa.

Chi lo ha pensato racconta che il progetto nasce da un’idea tanto ambiziosa quanto folle: connettere non solo soggetti diversi, ma soprattutto la molteplicità di soggetti omologhi presenti sul territorio della città metropolitana di Genova: i Centri servizi per le famiglie, che nell’assetto genovese comprendono tutto il sistema educativo diurno diviso per territori municipali. L’ambizione di Co.Di.C.E., da cui l’ampia e varia compagine del parternariato, è quella di attivare l’intero complesso dispositivo che costituisce il sistema educante cittadino, articolato in unità territoriali: servizi sociali ed educativi, scuole, famiglie. Un sistema composto da attori dalla natura eterogenea: attori naturali e istituzionali, ma anche inter-istuzionali (Scuola e Servizi sociali), dalla struttura burocratica e organizzativa più rigida (Scuola), o più flessibile (Servizi educativi), che per alcuni aspetti parlano lingue diverse, utilizzano sistemi di significato diversi e logiche diverse, seppur orientati allo stesso oggetto e alla stessa finalità generale: il benessere e la crescita dell’individuo in formazione.Tali soggetti lavorano insieme nel sistema ordinario, ma non sempre si realizza la sinergia che sarebbe ottimale. L’aspetto peculiare di Co.Di.C.E. è proprio l’azione su questo livello, quello della fisiologia del sistema, attraverso l’introduzione di funzioni catalizzatrici, di connessione, l’attivazione di canali di funzionamento, sia interni che esterni ai singoli elementi del dispositivo.

 

Un nuovo patto tra persone, care givers e istituzioni

Un altro aspetto interessante è che il progetto è costruito per muoversi agilmente sia sul piano centrale che su quello locale, connettendoli attraverso l’azione di governance e di coordinamento e l’articolazione di funzioni mobili come quella dei facilitatori, che garantiscono la presenza territoriale capillare, mettendo insieme i vantaggi delle economie e delle azioni di scala e l’attenzione alle micro-economie territoriali, alle caratteristiche idiomatiche dei territori, ai contesti reali, nei loro aspetti non riducibili a categorie (e soluzioni) uguali per tutti. Troviamo quindi azioni ma soprattutto strumenti che hanno una definizione comune e generalizzabile (la formazione degli operatori, la definizione dei ruoli, le tipologie dei laboratori, il sistema di valutazione) e azioni e strumenti che, invece, entrano nelle pieghe degli aspetti inediti e poco prevedibili dell’accadere nello spazio e nel tempo (l’analisi dei bisogni, la declinazione conseguente delle azioni educative).

Quella del coordinatore e quella del facilitatore si rivelano quindi funzioni di sistema fondamentali, che nella loro articolazione garantiscono la salvaguardia del duplice fuoco di attenzione: sull’organismo complesso nel suo insieme e sulla singola parte specifica, territoriale e non generalizzabile. Sono contemporaneamente poli e ponti dello spazio che si estende dal centro alla periferia, in senso metaforico ma a pensarci bene non solo.

Il sistema di welfare istituzionale per lungo tempo ha fatto riferimento al paradigma sanitario, clinico e specialistico, consolidando un approccio che ha reso opaca la propria vocazione sociale. Tutto questo è utile, quando necessario, ma non sufficiente. Serve lavorare sul tessuto, riconnetterne la trama, fare in modo che sostenga e regga anche le soluzioni specialistiche, peraltro, in campo sociale, sempre più sobrie. Sullo sfondo, ma anche nelle premesse, ri-emerge uno dei valori antropologici fondativi della storia umana: il bisogno di comunità. Una comunità che va forse ripensata e rintracciata, nelle sue dimensioni naturali e in quelle istituzionali, nelle sue caratteristiche frammentate e frammentarie, rimessa in funzione oppure fatta emergere laddove abbia resistito o si sia autonomamente rigenerata. In un’epoca centrifuga, però, lavorare con la comunità e sulla comunità non va da sé, servono pensiero, nuove funzioni e nuove competenze, ma anche luoghi di laboratorio, di sperimentazione, da sottoporre a processi di validazione, per non rischiare di realizzare esperienze che si esauriscano in una facile, compiacente, quanto inutile, retorica. In questi termini la figura del facilitatore, uno per territorio, presente, in ascolto, capace di dare voce, tradurre, connettere e mediare, emerge come assolutamente caratterizzante, strategica e, si potrebbe dire, paradigmatica, nel senso che concentra in sé e realizza nella pratica gli assunti di fondo del progetto, le premesse e la cornice culturale che abbiamo descritto.

A qualche mese dall’attivazione del progetto, che ha richiesto il ripensamento di un’architettura organizzativa e operativa che si è rivelata ancor più complessa nella fase di avvio, la figura del facilitatore ha toccato con mano la propria necessaria vocazione. Dalla sua postazione mobile, interna-esterna ai luoghi dell’azione, introduce una funzione riflessiva che difficilmente i sistemi, da soli, riescono a realizzare, ancor più a mantenere. L’analisi dei bisogni fatta con le scuole ha, prima di tutto, aiutato le scuole a mettere a fuoco i propri bisogni, a porre le domande giuste da parte dell’interlocutore giusto (perché nella posizione giusta), ha favorito una riflessività che difficilmente trova spazio e tempo se non stimolata e facilitata da una figura dalla forma agile, a questo dedicata. Il facilitatore, però, non è un supervisore. Emersi i bisogni, quindi, il lavoro è quello di trovare il modo per connetterli con le risorse, del progetto, della scuola, del territorio, stimolando un pensiero proattivo, creativo e abduttivo, che sicuramente gode delle possibilità che il progetto aggiunge, ma prova anche a riqualificare quello che già c’è, agendo, come dicevamo, sulla fisiologia del sistema, facendolo funzionare meglio.

Co.Di.C.E. ha quindi l’ambizione di diventare un modello partecipato di intervento per moltiplicare e consolidare le opportunità educative rivolte alle fasce più fragili della popolazione scolastica, uno strumento per rafforzare la comunità educante costruendo connessioni forti ed efficaci, attivando processi partecipati di empowerment dove i più piccoli sono protagonisti anche nella gestione dei Beni comuni, un’opportunità per sperimentare e promuovere metodologie e strumenti educativi innovativi.

 

Per ulteriori informazioni: www.codicegenova.it

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