Genitorialità migrante
di Cooperativa Sociale Mondo Aperto
Durante la formazione organizzata dal Centro Studi Med dedicata agli operatori formali attivi sul quartiere umbertino abbiamo ascoltato l’intervento della dottoressa Giada Prisco.
La dottoressa Prisco ha curato numerose pubblicazioni legate all’immigrazione dominicana alla Spezia ed è sicuramente un’esperta del contesto in cui stiamo operando. Le sue parole e i contributi che ci ha lasciato sono stati linfa vitale su cui riflettere per costruire le nostre azioni.
Le domande da cui parte nel suo saggio “Percorsi al femminile. Famiglie ricongiunte e genitorialità migrante” sono quelle che hanno mosso anche noi a interrogarci sul nostro operato soprattutto in considerazione della vasta presenza di famiglie dominicane immigrate residenti nel quartiere.
«Come si ridefiniscono i ruoli famigliari nel nuovo contesto? Come si evolve la famiglia dopo la migrazione? Cosa significa essere madri nell’immigrazione? Quali sono i bisogni delle madri nel nuovo contesto? Come si ristruttura il rapporto madre-figli nel paese di arrivo?»
Il processo migratorio infatti ridefinisce la struttura della famiglia: la decostruisce e la ricostruisce in modi nuovi, determinati da una vasta serie di variabili. Questi cambiamenti modificano e destabilizzano le relazioni interne al nucleo famigliare e, spesso, indeboliscono i legami genitori-figli.
La dottoressa Prisco ci ha raccontato di come i tratti odierni della famiglia dominicana sono il risultato della storia ultima del paese. Nella recente dittatura di Trujillo (1930-61) in cui la popolazione viveva in un clima di terrore costante, era imposta la concezione tradizionale della famiglia di stampo patriarcale in cui il padre era l’autorità assoluta. Con la caduta del regime anche le famiglie hanno iniziato a sperimentare un lento processo di democratizzazione anche se, nella cultura dominicana (come nelle altre culture latinoamericane) perdura sempre l’idea machista in cui l’elemento maschile prevale su quello femminile. Questo si mette in pratica con una divisione dei compiti in cui la sfera pubblica è di stretta pertinenza del maschile mentre quella privata è riservata alla figura femminile.
A partire da queste basi la migrazione è diventata, per la donna, il terreno di emancipazione e liberazione da modelli tradizionali ormai ingombranti e anacronistici.
In Europa, infatti, le prime ad arrivare sono le donne dominicane, vere protagoniste di questo fenomeno migratorio. Le donne arrivano, trovano lavoro, si mantengono economicamente e mandano i soldi a casa. Si inseriscono nella vita del paese ospitante per chiedere, dopo anni, il ricongiungimento famigliare. In questo modo i ruoli all’interno della famiglia si riequilibrano: la donna diventa il capofamiglia che provvede alle necessità economiche.
Le comunità dominicane si iniziano a differenziare: se quelle nel paese di origine risultano ancora di stampo patriarcale, quelle emigrate risultano di stampo matriarcale. Le donne diventano il punto di riferimento della famiglia, acquistando peso e autorità decisionale.
Al tempo stesso però la madre rimane la figura di riferimento nell’educazione dei figli e questo causa, con la migrazione, dei vuoti educativi. I figli vengono spesso lasciati nel proprio paese per anni dalla madre, che li affida ai nonni o ad altri parenti, e il ricongiungimento avviene solitamente verso l’adolescenza. Dunque dopo anni di separazione e di lontananza causati soprattutto da ostacoli materiali, lavorativi e burocratici. L’assenza della figura materna può causare ripercussioni sulla crescita e sull’educazione dei minori che si trovano poi a ritrovare la figura materna dopo anni e a dover ricostruire un rapporto familiare in una condizione nuova (l’adolescenza, la madre che lavora e sta fuori casa per molte ore al giorno, lo sradicamento dal contesto di origine e dalla rete amicale, il nuovo spazio geografico, culturale, linguistico, ecc.)
Interrogarci sulla natura del nucleo famigliare del migrante equivale a porre le basi per ideare e pensare gli interventi pedagogici necessari per migliorare la condizione educativa dei minori che abitano la nostra città.
In un contesto di questo tipo i genitori sono spesso lasciati soli, e ne consegue l’aumento della sensazione di vulnerabilità e inefficacia genitoriale.
Le famiglie hanno dunque bisogno di un sostegno alla genitorialità, attraverso interventi educativi di accompagnamento al ruolo di genitori e all’educazione familiare.
La comunità educante in questo si prefigge questo obiettivo: non lasciare le madri migranti da sole nel difficile compito di dividersi tra famiglia e lavoro e dar loro un sostegno attraverso percorsi ludici, educativi e creativi studiati ad hoc per i minori a rischio povertà educativa.
Bibliografia:
Prisco, G. (2018): Percorsi al femminile. Famiglie ricongiunte e genitorialità migrante, in RIVISTA ITALIANA DI EDUCAZIONE FAMILIARE, vol. 2, pp. 193-207.
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