S.Fi.De: ricostruire legami oltre le mura del carcere
di menatwork
All’interno delle mura del Carcere romano di Rebibbia, lontano dalla quotidianità e dai ritmi di chi vive in libertà, si sviluppa una realtà separata, regolata da confini e norme rigide. In questo contesto, dove la normalità sembra spesso un traguardo irraggiungibile, opera un progetto che intende offrire un contributo tangibile, promuovendo iniziative mirate non solo a spezzare l’isolamento dei detenuti, ma anche a ricucire i legami con le loro famiglie, riaccendendo così una scintilla di speranza e umanità. Il progetto S.Fi.De – Percorsi di Sostegno per i Figli di persone Detenute, selezionato da Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, nasce con un’idea chiara e profondamente umana: migliorare la condizione psicofisica dei figli minori dei detenuti, attraverso azioni concrete e individualizzate, creando ponti ideali con le loro famiglie, offrendo occasioni per ricostruire relazioni e ridefinire legami che la reclusione ha reso fragili. Lontano dai rumori del mondo esterno, si cerca di riscoprire una dimensione umana, costruendo spazi di dialogo e opportunità per un futuro migliore, sia dentro che fuori le mura del carcere.
Come fa un detenuto a presentare la sua candidatura per partecipare al progetto S.Fi.De?
Il processo di domanda è un piccolo viaggio di fiducia. L’interesse nasce spesso da un segno visivo: una locandina appesa nelle sezioni detentive, tra le notizie di quotidiana amministrazione. A volte è uno scrivano, figura fondamentale all’interno del carcere, che informa direttamente i detenuti. Quando un detenuto decide di aderire, il primo passo è compilare una “domandina”. Si chiama così in gergo, un diminutivo che però racchiude qualcosa di significativo: l’inizio di una richiesta di aiuto, di attenzione, di un cambiamento.
La domandina viene firmata e consegnata allo scrivano del reparto, che provvede a farla vistare al preposto, solitamente un agente della polizia penitenziaria come il caporeparto o il capoposto. Da qui, la richiesta prosegue il suo percorso: lo scrivano la inserisce in una cartellina apposita, riposta in una cassettiera vicino all’atrio del reparto. È una zona riservata dove gli operatori di S.Fi.De. possono accedere per verificare se vi siano nuove domande.
Il processo può variare a seconda del reparto. Ad esempio, nei reparti di precauzionali – dove i detenuti sono separati per motivi di sicurezza – lo scrivano conserva le “domandine” nel proprio ufficio e gli operatori di S.Fi.De. si recano direttamente lì per controllare. Altri reparti, invece, inviano le richieste direttamente all’Area Educativa, la cui responsabile avvisa gli operatori del progetto. Infine, in alcuni casi, sono gli stessi operatori dei servizi interni al carcere a segnalare i nominativi o, addirittura, accade che un detenuto si proponga direttamente vedendo gli operatori in reparto.
Il primo colloquio: il contatto iniziale
Una volta ricevuta la “domandina”, gli operatori del progetto chiamano il detenuto a voce per un primo colloquio conoscitivo. Tuttavia, questo compito può rivelarsi complesso. Gli spazi nelle sezioni detentive sono spesso occupati da altri operatori, (educatori, volontari o psicologi), impegnati in vari colloqui. Inoltre, può capitare che il detenuto convocato non sia presente nella sezione, perché coinvolto in un incontro con i familiari, o con l’avvocato o in attività scolastiche, il che comporta un prolungamento dell’attesa. Nonostante queste difficoltà, gli operatori di S.Fi.De. si impegnano a creare uno spazio autentico di ascolto e dialogo, assicurando che ogni incontro risulti il più incisivo e significativo possibile.
L’importanza del progetto S.Fi.De.
Partecipare al progetto non è solo un’opportunità per i detenuti di lavorare sulla propria relazione con i figli, ma è un’opportunità per tutta la famiglia. Ogni passo avanti nella relazione genitore-figlio, ogni parola che riesce a superare i muri del carcere, ha il potenziale di trasformare la vita di un minore e il suo futuro. È un lavoro complesso, che richiede sensibilità, costanza e l’impegno di tutte le persone coinvolte: detenuti, operatori, educatori, e non meno importante, le famiglie
S.Fi.De. è un progetto che prova a trasformare una situazione di separazione e difficoltà in un’opportunità per costruire nuove basi di fiducia e di crescita. E in questa complessità, una semplice “domandina” appoggiata su una scrivania può rappresentare l’inizio di un cambiamento reale.