Povertà educativa, come contrastarla al tempo del Covid19?
di Associazione genitori "Scuola Di Donato"
Educazione, diritto al gioco e superamento del digital divide, gli strumenti di Prima Infanzia.
La pandemia generata dal nuovo coronavirus è stata – e continua ad esserlo – uno tsunami inarrestabile che ha fatto emergere con prepotenza le più incallite differenze sociali della nostra contemporaneità. Tra i soggetti maggiormente colpiti, seppure spesso trascurati dalle analisi degli “esperti”, ci sono i bambini. In modo repentino si sono visti togliere il diritto alla socialità e all’apprendimento nelle scuole, privando le famiglie di quel sostegno fondamentale su cui potevano contare ogni giorno. La didattica si è così dovuta rimboccare le maniche e reinventarsi come poteva: per sapere in che modo, abbiamo intervistato Francesca Valenza coordinatrice del progetto Prima Infanzia e Giorgia Mariani, pedagogista ed educatrice presso la scuola elementare “Federico Di Donato” di Roma.
Francesca, che tipo di contesto avete dovuto affrontare a seguito della diffusione del virus Covid-19?
Questa pandemia ci ha colto d’improvviso e ci siamo ritrovati a chiudere delle attività importanti che erano di sostegno ai bambini con difficoltà, colpendo in modo particolare quelli che hanno dovuto affrontare il passaggio dalla scuola per l’infanzia alla prima elementare. Prima che arrivasse il virus si erano formati dei gruppi, alcuni dei quali sono riusciti ad andare avanti molto speditamente, mentre altri sono rimasti indietro poiché seguivano a fatica la didattica.
A cosa è dovuta questa differenza di apprendimento?
Le cause sono diverse, la povertà educativa fra tutte. Molti bimbi non hanno ricevuto i giusti stimoli, gran parte di loro sono stranieri e non hanno ancora una padronanza della lingua per creare le giuste relazioni; altri, sia stranieri che italiani hanno problemi emotivi e/o cognitivi. Pertanto, con gli educatori con cui collaboriamo, (pedagogisti formati all’Università Roma Tre, partner del progetto Prima Infanzia, ndr) abbiamo costruito delle strategie di apprendimento. A seconda dei casi si è cercato di lavorare in gruppi misti con figure di sostegno comuni a più ragazzi, in altri invece si è valutato il sostegno singolo. L’emergenza da nuovo coronavirus ha bloccato tali iniziative: per non lasciare i bambini con le loro difficoltà di apprendimento e di relazione abbiamo attivato una rete coinvolgendo i responsabili degli altri progetti attivi nella scuola – come il laboratorio teatrale – cercando di continuare a distanza il lavoro avviato con i 30 bambini.
Giorgia, tu sei tra le educatrici del progetto. Che tipo di attività avete previsto durante il periodo di quarantena?
In qualità di pedagogista aiuto le attività delle insegnanti, supportando i bambini a svolgere i compiti e ad andare avanti con il programma, soprattutto ora che sono lontani dai loro compagni e dalle maestre. Alcuni di loro non sono soggetti “facili”, hanno diverse problematiche sia a livello linguistico che comportamentale. Non tutti riescono ad esprimere le loro emozioni: perciò ho cercato di sviluppare delle attività che li stimolassero ad aprirsi verbalmente, cercando di capire gli umori della giornata, facendo una lettura divertente di un racconto o di una poesia, o rendendo più movimentata la lezione. Il mio metodo mira ad accompagnare i bambini fin dove riescono a seguirmi e a divertirsi, altrimenti è un sovraccarico di lavoro inutile.
Giorgia, come entra la tecnologia nelle tue lezioni?
Da quando le lezioni in presenza sono sospese, mi servo delle video chiamate whatsapp come fogli come lavagna: così riesco a mantenere un rapporto di empatia costante anche a distanza, seppure internet sia spesso assente nelle loro abitazioni. L’obiettivo, oltre a insegnargli a leggere, è quello di creare relazioni e rafforzare quei rapporti che si legano sia al sapere e alla didattica che alle loro emozioni e ai bisogni personali. La cosa più importante per loro è sapere che noi ci siamo in questo periodo buio, durante il quale sono costretti a stare da soli con la famiglia in casa. Un giorno per messaggio mi hanno scritto “quando ci sei tu, si ride sempre”. Ecco, queste per me sono le vere soddisfazioni.
I genitori vi aiutano a svolgere queste attività?
Nella maggior parte dei casi sì – comincia Francesca. I mediatori culturali cercano di far capire ai genitori l’importanza di seguire il percorso on line rivolto ai figli. Tuttavia in molti casi ci sono problemi di ordine economico, per cui non tutti possono contare su una rete internet o su un pc in casa o negli appartamenti delle case occupate in cui vive la maggior parte di loro. Grazie all’aiuto della rete dei genitori e della preside della scuola Di Donato, siamo riusciti a consegnare in comodato d’uso gratuito alcuni PC della scuola e ad attivare le connessioni internet.
Da parte delle mamme – continua Giorgia – la collaborazione c’è stata ma non da subito. Non tutte le mamme sapevano usare gli strumenti tecnologici e questo ha costituito un vero dramma per avviare velocemente il programma didattico a distanza. Ad oggi siamo riusciti a insegnargli come entrare all’interno della piattaforma online, così i bambini possono seguire le classi virtuali che tengo quasi tutti i giorni della settimana.
Francesca, hai parlato di stabili occupati. Avete organizzato iniziative particolari per i bambini che vivono in questi edifici?
Sì. Ad esempio presso un’occupazione vicina alla scuola, già prima del lockdown avevamo predisposto uno spazio molto grande destinato alle attività ricreative per i 104 bambini che vi abitano, trasformando la stanza adibita a biblioteca in una sala giochi. Abbiamo formato alcune mamme a gestire quello spazio in nostra assenza, fornendo loro ulteriori le indicazioni durante la quarantena per insegnargli a sanificare e utilizzare in tutta sicurezza la sala attrezzata. Le mamme possono inoltre consultare la ludoteca online gestita dall’Associazione Genitori e dagli educatori, e da lì prendere spunto per fare nuove attività con i propri figli.
Infine, c’è la rete solidale Portici Aperti che si è attivata per portare pacchi alimentari, vestiti, giochi e tutto quello che può servire al bambino: tra i progetti nati durante il lockdown, merito anche delle donazioni di ReFoodGees, c’è il kit educazione che contiene la cartoleria e gli accessori per la didattica che altrimenti alcune famiglie non potrebbero permettersi.
Come reagiscono le famiglie che ricevono questo tipo di sostegno?
La rete solidale di cui facciamo parte è molto importante, soprattutto per non lasciare sole quelle mamme che vivono senza affetti o parenti. Sentire una voce amica, qualcuno che gli “come stai?”, soprattutto in questo momento di isolamento, è ancor più importante di prima. In molte hanno richiesto questo aiuto e in tante hanno risposto con messaggi di gratitudine, c’è addirittura chi ha scritto “ci avete salvato la vita”.
Non facciamo fatica a crederlo, soprattutto dopo aver ascoltato a fine intervista l’esperienza di Francesca che, da inizio quarantena, ci racconta di aver ospitato sei persone (4 bambini e due mamme) in casa sua. Una scelta presa in modo naturale, consapevole che a fronte dell’interruzione delle attività delle case di accoglienza – sospese per timore dei contagi – l’unica alternativa per quelle famiglie sarebbe stata la strada. Così Francesca ha preferito rinunciare a un po’ di comodità, con la certezza però di aver salvaguardato se non la vita, almeno la loro dignità di essere umani.
Giulia Catania