La mission del laboratorio FabLab: imparare in maniera diversificata utilizzando la stampante 3D

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Michele Ivan Pizzuto - vicepresidente associazione FabLab Palermo

«Svolgere esercizi con la stampa 3D per studiare senza accorgersene – dalla geografia alla tecnologia, dalla matematica alla storia – e imparare in maniera diversificata». Tutto ciò è possibile grazie al laboratorio FabLab, nell’ambito del progetto “Obiettivo 4C”. Queste sono le parole di Michele Ivan Pizzuto, trainer del laboratorio FabLab condotto da Accademia IRSEI (Istituto di Ricerca per lo Sviluppo, l’Economia e l’Innovazione), nonché vicepresidente dell’associazione FabLab Palermo. Il progetto prevede la sperimentazione di metodologie didattiche innovative nei percorsi curriculari e la messa a punto di percorsi extracurriculari, con due obiettivi: valorizzare gli studenti e le studentesse come risorsa e motivarli nella crescita educativa e culturale. Coinvolge gli alunni e le alunne dell’Istituto di Istruzione Superiore “G.Ugdulena” di Termini Imerese (Liceo classico e Liceo artistico di Termini Imerese e Alberghiero di Caccamo).

Chi è FabLab?

«FabLab Palermo è un’associazione che opera da quasi undici anni. Fa parte di una rete mondiale di laboratori e il primo di questi è nato in America. Si tratta di laboratori di fabbricazione digitale che utilizzano le nuove tecnologie in chiave di “artigianato digitale”. Le tecnologie più diffuse sono: la stampa 3D, il taglio laser, la scrittura in 3D, la montatura in CNC, la programmazione e tutto ciò che può essere collegato al mondo del digitale. Vorrei aggiungere un presupposto fondamentale legato sia al progetto sia al periodo che stiamo vivendo».

Cioè?

«Nell’ultimo ventennio abbiamo assistito a uno sviluppo tecnologico spaventoso, nel senso sia positivo che negativo del termine: da una parte le potenzialità sono aumentate in maniera esponenziale, dall’altra sono aumentati i rischi legati a una fruizione spesso passiva, negativa o, addirittura, controproducente delle tecnologie, sia per quanto riguarda l’uso del web, che delle app o dei videogiochi. Lo smartphone, soprattutto tra le nuove generazioni, ha quasi “soppresso” tablet e pc. Tant’è che tra i giovani a volte notiamo difficoltà a gestire il mouse».

Quali conseguenze?

«Tutto ciò ha portato a una comunicazione sempre più rapida, legata soprattutto ai social network, e a un impoverimento lessicale. La comunicazione ormai è fatta di emoji, di parole senza le maiuscole, senza una sintassi precisa o senza punteggiatura».

Di cosa vi siete occupati nel Progetto 4C?

«Gran parte del progetto ha riguardato la modellazione e la stampa 3D. Gli alunni e le alunne hanno svolto esercizi sia tramite coding che procedura aperta di modellazione, quindi, in alcuni casi, accorpando più materie STEM. Siamo partiti da piccoli oggetti, come un semplice portachiavi, fino ad arrivare a oggetti che riproducevano esercitazioni fatte a scuola con i docenti o un tema libero. I manufatti sono stati regalati ai ragazzi e alle ragazze. Un aspetto importante e molto performante nel mondo delle materie STEM è proprio il concetto di raggiungere l’obiettivo e ottenere un riconoscimento che, nel caso della stampa 3D, è fisico. C’è stata la parte che ha riguardato il coding, quindi, un primo approccio per capire cosa vogliamo raggiungere e come farlo tramite la programmazione. In questo caso, si cerca di sviluppare il cosiddetto pensiero computazionale: partire da un problema complesso, frazionarlo in sotto problemi, risolvere le singole parti e, successivamente, assemblare il tutto per ottenere la soluzione finale corretta».

Cosa hanno imparato i ragazzi e le ragazze?

«Nozioni poco conosciute o non conosciute ancora in ambito matematico e geometrico, come gli assi cartesiani o la tridimensionalità, i collegamenti storici o quelli legati al territorio. Spesso gli esercizi di stampa 3D li abbiamo collegati a quello che potrebbe essere un merchandising della zona o con il tessuto artigianale. Il liceo artistico di Termini Imerese è dotato di una macchina a taglio laser. Abbiamo spiegato il suo utilizzo anche se difficilmente può essere utilizzata considerando la complessità. Abbiamo cercato in ogni modo di distogliere studenti e studentesse dalla tecnologia passiva, imperante al giorno d’oggi. Alcuni ragazzi e ragazze hanno deciso di acquistare una stampante 3D per iniziare a modellare e disegnare in vista degli studi futuri».

Qual è stata la risposta degli studenti e delle studentesse?

«Abbiamo avuto un monte ora abbastanza importante: circa novanta ore per Istituto scolastico. In ogni scuola abbiamo avuto una classe in orario curriculare e una in orario extracurriculare. Per quanto riguarda le prime, la risposta è stata del 100%, un po’ meno o in percentuale minore, per quelle pomeridiane perché i ragazzi ogni giorno a livello scolastico hanno molti impegni. In questo caso entriamo anche nell’ambito della programmazione. Secondo me deve essere svolta con più precisione».

Quanto sono importanti oggi, questi progetti per combattere la dispersione scolastica?

«Molto. La scuola che vuole organizzarli per mettere a disposizione spazi congrui e attrezzature adatte. Faccio un esempio molto semplice e banale. Le scuole hanno centinaia di tablet e spesso hanno problemi di connessione perché le reti internet non vanno bene. L’Istituto che vuole portare avanti dei progetti esterni deve assicurare una buona connettività e avere buoni dispositivi. L’ideale sarebbe il computer dotato di mouse. Poi ci sono altri paradossi. Capita che ci sono i computer e i mouse no. Perché si pensa spesso all’utilizzo della videoscultura o di altri programmi dove il mouse non è importante. Invece è fondamentale nella modellazione 3D. Avere a disposizione i giusti device rendono i progetti e, di conseguenza la scuola, più appetibile per i ragazzi e le ragazze. È importante per i soggetti più a rischio, avere punti di riferimento. La dispersione scolastica non è necessariamente legata a difficoltà cognitive dei ragazzi o delle ragazze. Spesso le difficoltà sono riguardano l’aspetto sociale. Ho visto alunni e alunne con potenzialità enormi ma non sono supportati dalle famiglie. C’è un altro fattore da sottolineare».

Quale?

«Si fa poca leva sull’educazione dei dispositivi tecnologici utilizzati dai bambini e dalle bambine in ambito familiare. Vedo genitori che si vantano dei figli che già a due o tre anni usano molto bene il cellulare. Però capita che non svolgono attività manuali. Queste persone non hanno capito che hanno rovinato il proprio figlio».

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