Mirko: Un Percorso di Rinascita e Speranza

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Un racconto autentico e profondo di Simona Nicotra, operatrice del progetto Navigazioni, che ci parla di Mirko (nome di fantasia) e del suo percorso.

Il primo ragazzo che ho conosciuto, lavorando come operatrice al progetto Navigazioni, ha lasciato nella mia esperienza la traccia di una storia bella, una specie di promemoria ogni volta che ho avviato altri percorsi con ragazzi nuovi, spesso ragazzi simili a lui per il taglio di capelli e la cerniera sempre chiusa del giubbotto e il cappuccio rigorosamente in testa, ma con storie e voci talmente diverse da aspettarsi sempre l’imprevedibile. La voce di Mirko (nome di fantasia) la ricordo contemporaneamente impulsiva e ingenua, come è la voce dei 18enni, se da una parte il suo passato raccontava il desiderio di contrastare il mondo, di riprendersi quello che non aveva avuto, dello stesso mondo sembrava non capirci molto, facendo confusione a volte anche con le cose semplici come le email del cellulare o il call center della scuola, e con le cose più difficili, come il percorso MAP che stava affrontando e tutta la gente che man mano conosceva con ruoli e richieste che faticava a decifrare e di cui quindi, per sicurezza, intanto si spaventava e cercava di assecondare.

All’immagine di ragazzo superbo che era stato si alternava una specie di paura anche solo di ricordarla questa superbia, come se a nominarla soltanto qualcuno potesse punirlo ancora. Per arrivare al punto in cui era arrivato il tempo era trascorso velocissimo e lui quasi non se ne era accorto: dopo un pomeriggio a Milano si era ritrovato in questura e in carcere, poi a casa, dopo in comunità, poi di nuovo a casa insieme ai suoi genitori e ai suoi fratellini. La prima volta che ho incontrato Mirko siamo andati a mangiare le caramelle gommose nel bar dell’oratorio vicino l’ufficio, su quelle sedie di plastica rosse un po’ sbiadite, settimana dopo settimana,

Mirko ha cominciato ad essere meno scettico, ha smesso di ricordarmi quanto fosse adesso distante da come era stato un tempo, si è allontanato dall’ansia da prestazione nell’apparire “uno che non fa più casini”, e si è lasciato andare a racconti spontanei e sinceri, in cui comunque ribadiva quanto volesse essere una persona migliore, ma non più per compiacermi e assicurarsi il mio appoggio.

I suoi racconti, fatti di poche parole o pieni di particolari minuziosi, passavano per gli anni del “prima” di cui ricordava le notti a dormire fuori casa, per strada, dietro le panchine dei parchi, senza un motivo preciso se non quello del gruppo e del vagare; i mesi in comunità, gli educatori opprimenti, la mancanza della mamma e del cibo di casa, il ramadan interrotto e il pentimento per questo; la prima notte in questura, lo sguardo deluso di suo padre, le lacrime di suo fratello. Ed è da quello sguardo deluso che il padre gli ha rivolto subito dopo il reato commesso che Mirko ha ricominciato: “non voglio mai più deludere i miei genitori così tanto” mi ha ripetuto dall’inizio della nostra conoscenza e poi sempre fino alla fine.

Aveva sentito di essere stato un peso, una fatica, un dispiacere per i suoi genitori, che tanto avevano investito, con le loro risorse, per lui, e adesso voleva essere lui utile a loro, voleva dare qualcosa di buono, diventare un esempio e un supporto, soprattutto per i fratellini più piccoli. Dal suo telefono ogni tanto mi mostrava una foto insieme alla sorella più piccola che adorava o insieme alla madre, in un selfie che gli piaceva molto con la madre c’era su una citazione di una canzone che Mirko non sapeva più tradurre perché non aveva mai imparato a leggere l’arabo, cercando insieme la traduzione avevamo scoperto che il significato era “Mi hai insegnato come recuperare la mia anima”, Mirko aveva sorriso e poi aveva commentato che gli sembrava la frase più giusta da associare a sua madre.

Questo nuovo processo di costruzione, dove Mirko si rendeva conto di aver imparato dagli errori, si è composto di esaltazione, dei desideri a volte un po’ precipitosi ma pieni di speranza, dei sogni di un ragazzo (come quello di diventare un parrucchiere o di imparare a cucinare), di rifiuti, di possibilità negate, di scuole serali e diurne non disponibili, di corsi non accessibili, di sconforto e noia, di apatia, poi di colloqui e di lavori duri con turni da 8 ore la notte e altrettanti caffè quante le ore di lavoro, di lavori con la sveglia alle 4 del mattino per andare nei campi della periferia veneta, poi di una proposta insolita da parte di un falegname con una piccola azienda vicino casa, stavolta questa persona non gli aveva proposto solo un lavoro ma una relazione: si sono incontrati, si sono conosciuti, hanno mangiato la pizza assieme e una sera Mirko ha conosciuto la moglie del titolare e i suoi figli, da lì altre cene assieme e altre mattine di lavoro assieme, a volte sulle impalcature anche sotto il sole cocente e sotto la pioggia. Di lavorare il legno Mirko non aveva mai pensato, ma a furia di chiedere e parlare con la gente per cercare lavoro qualcosa prima o poi si trova e le giornate assumono un senso e si scopre che lavorare il legno non è solo limatura e segatura ma è imparare, prendersi cura, dedicarsi, è , appunto, dare forma, al legno come al proprio futuro.

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