Educare al possibile e al futuro: intervista con Alberto Robiati
di fondazionecomunitadimantova
Al Festival ConEduca si parla di educazione al futuro
Il Festival ConEduca sta per scoccare dando vita al suo ventaglio articolato di eventi, tutti gratuiti, ai quali poter partecipare attraverso una dinamica che intreccia conoscenza, confronto e dialogo.
Il sipario dell’iniziativa si alzerà a Mantova l’ultimo fine settimana di marzo e proprio nella città virgiliana si terrà l’evento dal titolo che è già tutto un programma “Comunità futurizzanti: educare al possibile”. L’incontro si svolgerà sabato 29 marzo nella sede della fondazione Comunità Mantovana onlus (via Portazzolo n. 9), dalle ore 16:30 alle 18:30. Alla fase denominata “piazza di dialogo” parteciperà anche il Consiglio comunale dei ragazzi e delle Ragazze di Mantova.
In veste di relatori interverranno Cristina Bertazzoni, consulente scientifica del festival e docente all’università di Verona, e Alberto Robiati, direttore di ״Forwardto – Studi e competenze per scenari futuri״, organizzazione non profit che svolge ricerca, formazione e consulenza su processi trasformativi. Specializzato in innovazione e in foresight, ossia ״previsione״, da oltre 20 anni è consulente e formatore sullo sviluppo strategico e organizzativo, il team building, la crescita personale e professionale, l’attivazione di capacità di leadership e creatività.
Proprio con Alberto Robiati ci siamo confrontati per riflettere sul tema protagonista dell’evento e che abbraccia un aspetto cardine, quello del futuro.

Educare al possibile e al cambiamento
Immergendoci subito nel cuore tematico dell’evento, che cosa significa educare al possibile?
“Per la mia prospettiva, che è quella lavorare con gruppi, organizzazioni e in generale comunità, significa prima di tutto innescare processi di trasformazione e al contempo considerare che questi cambiamenti, sia intenzionali che non, rientrino appunto nella sfera della possibilità”, riflette Alberto Robiati. “Ciò significa comprendere che, sia attorno a noi ma anche dentro noi stessi, abbiamo le risorse affinché questi cambiamenti possano avvenire e le cose possano andare bene. Una riscoperta di ciò che definiamo ottimismo e autostima.”
Credi che questo sia utile anche per scardinare un certo timore diffuso e al contempo una sorta di resistenza nei confronti del cambiamento, che non sempre è connotato positivamente, quasi che ci si debba “salvare” da esso?
“Sì, è vero, questa resistenza è presente eppure se ci pensiamo bene il cambiamento è la condizione di tutta la nostra vita e noi stessi siamo immersi nel cambiamento di continuo” sottolinea. “Ricordo la frase di uno dei miei maestri durante un ritiro spirituale, ossia che non esiste alcun fenomeno in natura che duri più di un nanosecondo. Persino la materia, che sembra ferma e statica, in realtà non lo è. Spesso c’è la tendenza a costruire “mondi” e narrazioni che ci fanno credere alla staticità ma poi i test di realtà delle nostre giornate ci fanno toccare con mano che non è così. Come dicevo, il cambiamento è la vita stessa.”
Educare al possibile: ostacoli e opportunità
Quali sono gli ostacoli con cui ci si confronta più spesso riguardo all’educare al possibile e ciò che invece promuove questo aspetto?
“Ci sono ostacoli differenti a seconda dei vari livelli”, spiega Alberto Robiati. “Si parte da quella sorta di indisponibilità individuale a stare dentro la vita che evolve e si trasforma di continuo. In questo caso si tratta di attivare delle competenze del sé per essere disponibili prima di tutto da dentro ad accettare differenti aspetti come ad esempio la casualità dei percorsi, il fatto di tornare indietro e riprovare un’altra strada, nonché la diversità delle persone che ci circondano e i punti di vista differenti. Poi ci sono gli ostacoli rappresentati dall’ortodossia dei sistemi culturali e dalla loro mancata comprensione che il cambiamento sia già avvenuto. Ciò che accade, pensiamo al caso emblematico della pandemia, richiede infatti alle organizzazioni di ripensarsi e di cambiare. In questo caso l’ostacolo è quindi proprio l’abitudine al consueto: frasi come “abbiamo sempre fatto così” oltre ai paradigmi ancorati al passato e con cui si prendono le decisioni. Si crea così un gap tra il mondo mutato e noi che agiamo come se fosse sempre lo stesso. A livello di macrosistemi gli ostacoli sono tipicamente legati ai sistemi di potere ma veniamo comunque tutti spronati a educarci al cambiamento. Parliamo infatti delle grandi trasformazioni globali, come i cambiamenti climatici, la dinamica demografica e il progresso tecnologico, che impattano in maniera trasversale e su chiunque, indipendentemente che lo si voglia o meno e che ci obbligano a cambiare.”
Sogni e aspirazioni: educare i giovani al possibile senza temere gli errori
Viviamo in un mondo di stratificazioni, complessità e richieste continue. Sempre ragionando sull’educare al possibile, pensando in particolare alle nuove generazioni ma non solo, come possiamo conciliare la bellezza dei sogni con la concretezza dei bisogni, le necessità e le aspirazioni?
“Innanzitutto allenando la capacità dei giovani a darsi il permesso di sbagliare, di apprendere attraverso gli ostacoli e a procedere per prove di errori, imparando dall’errore stesso”, evidenzia. “Si tratta di un approccio diverso da quello delle generazioni precedenti, cresciute spesso con la mentalità di rimuovere l’errore e di rifiutare il fallimento. Ho avuto la possibilità di condurre articolate ricerche che hanno coinvolto il mondo accademico e quello delle organizzazioni in cui abbiamo messo a fuoco una serie di aspetti specifici che riguardano questo tema. Il sogno e il desiderio che devono passare attraverso il test di realtà si configurano come l’esatta definizione che noi diamo alla capacità di aspirare. Si tratta infatti di un costrutto antropologico che ha a che fare con la capacità collettiva di immaginare futuri possibili e auspicabili nei quali anche i progetti personali possano abitare. In pratica ci si allena a pensare a un futuro che sia di tutti e in cui io stesso mi possa realizzare. Questo è l’esatto contrario del modello delle generazioni passate per le quali il focus era sulla spinta a realizzare prima di tutto se stessi, ossia l’ambizione. Ma l’ambizione è qualcosa di fortemente diverso dall’aspirazione: quest’ultima riguarda ciò che è collettivo, senza dimenticare la realizzazione personale.”
Gli ingredienti delle comunità futurizzanti
Dopo questa riflessione, quali sono quindi gli ingredienti cardine delle cosiddette comunità futurizzanti?
“Le comunità futurizzanti sono prima di tutto composte da persone e da una dimensione umana imprescindibile. Questo è un aspetto dato spesso per scontato mentre invece è fondamentale. L’autentica dimensione umana implica infatti un lavoro relazionale di riconoscimento reciproco, di costruzione di legami sociali e di manutenzione di questi legami, altrimenti non possiamo parlare di comunità ma di semplice aggregato di individui. Altro aspetto è la condivisione dell’uso del futuro come strumento e non come fine: il sogno come visione e aspirazione che nutre e poi i percorsi che determinano le pre-condizioni, nel corso del tempo, per costruire quel futuro desiderato, tenuto conto del mondo che cambia. Il futuro si configura così non come un esito ma come un mezzo per dare significato al presente. Le comunità futurizzanti sono quindi le comunità in grado di generare futuri auspicabili.”
Articolo di Sara Bellingeri – Responsabile Ufficio Stampa Festival ConEduca
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