Co-educare per promuovere comunità inclusive: intervista ad Anna Pileri

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ConEduca: al festival si parla di co-educazione

Il Festival ConEduca si avvicina e per immergerci al meglio nel suo cuore tematico abbiamo realizzato alcune interviste con protagonisti i relatori e le relatrici degli eventi del suo articolato programma. Ci siamo così confrontati con Anna Pileri, professoressa associata di Didattica e Pedagogia speciale del dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’università di Bologna.

Sabato 12 aprile, dalle ore 17 alle 19, Anna Pileri curerà infatti l’incontro focalizzato sull’argomento “Co-educare per promuovere comunità inclusive” che sarà ospitato nella scuola primaria “L. Gonella” (via Iotti, 2/a) a Suzzara. Attraverso la struttura della “piazza di dialogo”, a seguito dell’intervento, i partecipanti potranno riflettere e confrontarsi su disabilità e migrazione, inclusività, multiculturalità, collaborazione famiglie, servizi e comunità.

 

Anna Pileri: “L’educazione è una responsabilità condivisa”

Partendo proprio dal titolo dell’evento, che cosa significa co-educare per promuovere comunità educanti? “Penso che la nozione perno della co-educazione sia rappresentata dalla nota frase di un etnologo malese il quale affermava che ״Occorre tutto un villaggio per educare un bambino״”, spiega Anna Pileri. “Con questa frase viene infatti espressa la responsabilità condivisa da tutti i cittadini e insieme l’obiettivo di concretizzare un miglioramento regolato dagli attori stessi che s’impegnano a farlo succedere. Quando parlo di cittadinanza mi riferisco a tutte le parti che la compongono, ossia la scuola, le famiglie, i servizi e in generale le reti risorse. Si tratta di un paradigma che affonda le radici nel 1921, quando ancora non si parlava di co-educazione o di rete ma già c’erano autori e autrici pionieri su questo fronte oltre che della pedagogia speciale. In Italia possiamo ad esempio pensare a Jean Marc Itard, Maria Montessori, a Giuseppe Ferruccio Montesano e a tutto quel movimento di studi e ricerche che voleva mettere i bambini, con le loro possibilità e al contempo responsabilità, nel cuore di un contesto in grado di rispondere al loro sviluppo ottimale. Fondamentali sono inoltre gli studi dei professori Pourtois e Desmet, dell’università di Mons in Belgio, e la stessa attività della Rete Internazionale Delle Città dell’Educazione da essi diretta. In questa prospettiva si è sviluppato il progetto di ricerca-azione RICE – Rete Internazionale delle Città dell’Educazione, il quale mette al centro la costruzione di reti cittadine che possano supportare progetti di vita dei bambini, degli adolescenti ma anche degli adulti, perché è fondamentale ragionare su tutto l’orizzonte di vita. L’educazione, non va dimenticato, resta infatti un affare di tutti.”

Anna Pileri lavora proprio nell’ambito del progetto RICE attivato anche in Italia sul territorio di Treviso (2014-2019) che su quello di Belluno (2020-2024) con importanti riscontri e sempre con l’intento di costruire buone pratiche co-educative inclusive.

Gli ingredienti della comunità inclusiva

Ma quali sono i principali ingredienti che consentono di sviluppare una comunità inclusiva, considerando che l’inclusione è un processo che non si esaurisce mai?

“È fondamentale creare un assetto democratico e privo di gerarchie, aspetto fondamentale della co-educazione” riflette Pileri. “Un processo che abbia veramente a cuore l’inclusività crea infatti le condizioni stesse non solo di riuscita ma anche di accessibilità ai servizi e alle risorse per coloro che ne prendono parte, impegnandosi allo stesso tempo a superare i nodi che potrebbero creare condizioni di esclusione. Altro elemento è la continuità, perché appunto si parla di qualcosa in divenire. Inoltre una vera alleanza educativa deve sempre tenere conto del cambiamento che sta avvenendo.”

“Nella rete che si attiva resta importante rimboccarsi le maniche con umiltà e pragmatismo, senza ingerenze, ciascuno attraverso il filtro del proprio ruolo e possibilità e senza dimenticare il principio del bene comune che indica la riuscita di tutti e di ciascuno. Altro aspetto su cui porre attenzione è la questione del coinvolgimento di tutte le parti in gioco. Porto un esempio molto pratico: lo stesso ordine del giorno di un incontro di rete non va deciso da una sola persona o da una sola parte del gruppo bensì va ragionato insieme a tutti gli attori altrimenti l’esito è quello di focalizzarsi su un unico versante escludendone un altro. Infine un’autentica co-educazione deve assumere il principio della prospettiva biopsicosociale.” Anna Pileri inoltre sottolinea: “Quando le reti funzionano autenticamente diventano così solide da portare a un orizzonte di continuità”.

Partire dai bisogni per favorire una vera inclusione

Concretamente, come si può invece affrontare il problema spesso diffuso dello scollamento tra intento e pratica che rischia di far perdere fiducia nella vera inclusione e nella comunità fondata su di essa?

“Ancora prima di progettare occorre sempre partire da una lettura puntuale e attenta dei bisogni reali. Solo così si possono attivare tutte le strategie adeguate a rispondere a questi bisogni, compresa la costruzione di un partenariato attraverso alleanze orizzontali e verticali. Leggere attentamente i bisogni significa saperli tradurre in interventi efficaci e flessibili, poiché le esigenze possono modificarsi in itinere. Ad esempio, sempre nell’ambito del progetto RICE, è capitato che anni fa l’avvento del lockdown richiedesse di ridefinire tutto e noi lo abbiamo fatto perché rispondere ai bisogni significa anche cogliere le necessità del cambiamento.”

Articolo di Sara Bellingeri – Responsabile Ufficio Stampa Festival ConEduca

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