Il racconto di Alessandro Alioto, giovane tutor sportivo di “Giocare per Diritto” a lavoro con i ragazzi e le ragazze del rione Danisinni, Palermo.
di metaintelligenze
Di Stefano Edward – referente comunicazione per la cabina di regia Giocare per diritto a Palermo
- Alessandro, com’è iniziata questa avventura sportiva?
“Tutto è iniziato quando Martina di Marco, psicologa e coordinatrice del progetto “Giocare per diritto” su Palermo, mi ha parlato di questo progetto spiegandomi nel dettaglio le finalità e gli obiettivi previsti. Il target di età dei soggetti coinvolti va dagli 8 ai 17 anni nel rione Danisinni, una realtà che si trova tra piazza Indipendenza e il quartiere Zisa. Come inizio, avevamo pensato, insieme alle altre operatrici, di fare delle manifestazioni conoscitive per permettere alla comunità di Danisinni di interagire con noi, spiegargli il progetto e farci conoscere sia dai ragazzi che dalle famiglie, per instaurare un rapporto di fiducia e reciprocità e costruire insieme il percorso di attività sportive come da progetto”.
- Qual è l’importanza e il valore di lavorare in team?
“Il lavorare in team porta numerosi punti di forza. C’è una forte sinergia tra le diverse figure professionali come psicologici e tutor sportivi che hanno partecipato in maniera assidua e costante alla vita di questi ragazzi, dall’inizio ad oggi. Anche nei momenti in cui vi erano delle difficoltà, si è riusciti a lavorare con uno spirito di problem solving e fornito crescite non solo ai soggetti fruitori delle attività, ma anche a ciascuno di noi nella nostra vita professionale”.
- Inclusione sociale, inclusione di genere e apertura a nuove opportunità di dialogo con realtà esterne. Come avete agito nell’implementazione di tali azioni strategiche?
“Dopo una prima parte, legata a delle attività ricreative e sportive finalizzate a creare dei gruppi sociali molto variegati, il fine è sempre stato quello di creare dei momenti di cooperazione tra ragazzi e ragazze. Abbiamo avuto la possibilità di iscrivere dei ragazzi ad un torneo di calcio cittadino. Da qui è nata l’idea di creare una squadra mista di ragazzi e ragazze, di presentarla, di allenarla e di farla partecipare ad un torneo cittadino, in modo da farli uscire dal loro quartiere e permettere di conoscere anche altre realtà presenti sul territorio palermitano. Inizialmente, non è stato facile far comprendere ai ragazzi di accettare, in uno sport che per definizione è erroneamente visto come rivolto ad un target maschile, la presenza di giocatrici di sesso femminile, ma, grazie alla collaborazione delle figure come quella di Patrizia Maione e Martina Di Marco, entrambe psicologhe, che stanno svolgendo un lavoro magistrale, ci hanno permesso attraverso una comunicazione d’impatto, di far capire fin da subito le nostre idee, le nostre finalità a tutti. In questo momento la squadra, consta di 13 componenti di cui ben 6 sono ragazze. L’obiettivo, mi permetto di dire, è stato raggiunto, non è stato facile, anzi, ma sicuramente hanno maturato la consapevolezza che l’essere ragazza non è assolutamente un limite perché sono parte attiva della squadra, danno anche loro un prezioso contributo. Dopo un anno di lavoro si è fatto un lavoro di inclusione ottimale.
- Quali sono le emozioni che provi?
“E’ molto emozionante lavorare con loro, vederli crescere, vederli superare anche le sconfitte calcistiche perché dal punto di vista sportivo ci sono stati dei risultati che, rispetto all’impegno e alla dedizione dei ragazzi sono stati pesanti e ingiusti ma fa parte anche del calcio. Io dico sempre ai ragazzi che nel calcio la maggior parte delle volte si perde, quindi se si riesce a gestire la sconfitta siamo giunti a più del 60% del lavoro, ed è quello che volevamo insegnare. Riuscire a lavorare in situazioni di difficoltà, come una sconfitta, può dare quindi emozioni forti e negative, trasformandole in emozioni positive, emozioni che veicolano appunto la crescita del singolo individuo. Questo è l’inizio di un percorso più ampio che noi chiamiamo vita, e, per questi ragazzi, attraverso il calcio devono trovare la gioia e le motivazioni per far meglio e portarsele nella vita. Se qualcuno vuole continuare a lavorare nel mondo del calcio e intraprendere una attività sportiva come questa sicuramente sarebbe una vittoria, ma quella più grande, sarebbe quella di lasciare a questi ragazzi degli ideali che attraverso lo sport, riescono a trasportarsi nella vita quotidiana che sono il collaborare con il compagno, tra ragazzi e ragazze, il lavoro di team, e soprattutto gestione della rabbia e del conflitto che nel calcio sono delle tematiche presenti e costanti che portano emozioni forti che vanno gestite. L’augurio più grande che questi ragazzi possano continuare a vivere la loro gioventù nel migliore dei modi affrontandola attraverso lo sport. La metafora migliore della vita è lo sport, dove si vince e si perde ma l’importante è appunto imparare!”
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