DUCCIO DEMETRIO E L’AUTOBIOGRAFIA. Prendersi cura di Sé e della terra in contesti interculturali
di asinitas
Duccio Demetrio, filosofo dell’educazione e fondatore della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari, scrive: “Mettiamo ordine, riorganizziamo le esperienze attraverso il pensiero narrativo, così che possa essere condiviso con gli altri, ma anche compreso per se stesse/i. È quella forza propulsiva a sostenere il bisogno di raccontarsi, di scrivere di Sé, che porta alla nascita delle produzioni autobiografiche” (Demetrio, 1996).
In un racconto autobiografico, la voce narrante coincide con il personaggio protagonista. In quella ricerca di parole e significati, per riuscire a “venire fuori”, accade che si diventa chiaramente “visibili a se stesse/i”. Il processo di “tessitura” che porta a costruire la propria trama-storia si trasforma in una pratica autoriflessiva e autoconoscitiva. Per Demetrio, l’autobiografia significa prendersi cura di Sé. La scrittura autobiografica “porta, un prendersi per mano ripercorrendo i momenti felici e anche le fratture della vita” (Demetrio, 1996).
Da distinguere dal diario, dove si riversano eventi che seguono un ordine cronologico, trasformandosi a volte in sfogatoio, e dove non è pretesa una rielaborazione del proprio vissuto per renderlo condivisibile, l’autobiografia porta alla scoperta della propria storia. Anche quando “chi racconta ha il diritto di omettere e di mentire: la bugia intesa come difesa della propria privatezza è la prima dimostrazione dell’esistenza di un’interiorità segreta. Ad essere importante non è l’oggettività del ricordo, quanto la trama di significati che da esso emerge”.
Ivano Gamelli, pedagogista e docente presso la Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari, evidenzia come l’autobiografia non sia più definibile esclusivamente come un genere letterario. Secondo Gamelli, un laboratorio autobiografico in un contesto scolastico può significare:
- “Creare occasioni per sviluppare nei ragazzi/nelle ragazze momenti di consapevolezza e autostima rispetto alla loro identità (di ‘esseri pensanti’), favorendo l’espressione a scopo orientativo di interessi, punti di vista, propensioni e bisogni di apprendimento personali”;
- “Abituarle/i a prendere la parola, ad ascoltarsi e ad ascoltare gli altri/le altre – a metariflettere – sul rapporto che sentono di avere con il sapere scolastico e con altre forme di sapere, sui personali modi di ricordare, capire, imparare: collegando il pensiero alle emozioni, il vissuto scolastico a quello soggettivo”.
Nelle classi plurilingue, “un’attività autobiografica spinge la studentessa/lo studente a cercare nel proprio vissuto parole, filastrocche, storie che sono entrate dentro di lei/lui attraverso la lingua madre, a prenderne consapevolezza, a valorizzarle. Questo esplorare il vissuto linguistico individuale porta la studentessa/lo studente a scoprirsi come essere portatore di significati e di storie” (Sofia, Favero; 2018).
Nel testo del Movimento di Cooperazione Educativa Alfabeto Lingua MCE n.1 si sottolinea l’importanza di prendere consapevolezza che “c’è un punto di vista nel proprio linguaggio in quanto appunto incarnato in una storia, e tutti ne hanno una, leggibile in quei suoni, in quei gesti, in quei segni”.
Gamelli parla della necessità di sensibilità e apertura per “raccontarsi” e come ciò può essere facilitato andando oltre il codice verbale, creando autobiografie composite che comunichino in maniera variegata attraverso più canali multimodali (visivo, motorio, auditivo).
Riconoscersi come “portatrici e portatori di una storia unica” genera stima ed emancipazione, usando le parole del pedagogista Paulo Freire. “Sentire” la propria storia sensibilizza alla dimensione dell’ascolto verso sé stesse/i e verso l’altro/a, allontanando da una possibile condizione di indifferenza.
Ma accade anche che in un’autobiografia raccontiamo la nostra storia e la terra non è mai solo uno sfondo. Scrive Demetrio che la relazione tra chi narra e la terra emerge in una pratica narrativa di Sé, è una presenza viva, fatta di luoghi, sapori, odori, profumi e incontri con animali, alberi, oltre che con persone.
“Si diventa così ecologiste/i narrative/i per fare in modo che la terra si racconti tramite ciascun essere umano” (Demetrio, 2021). Significa dare visibilità nelle nostre storie ad esempio ad eventi naturali che ci hanno accompagnato, come l’odore della terra dopo una pioggia, o altre forme di vita che ci hanno sostenuto, ad esempio, quando durante un’attesa abbiamo poggiato le spalle alla corteccia di un albero. Questi elementi non sono semplicemente dettagli, ma parti integranti del nostro racconto e bisogna farli emergere .
La pratica autobiografica, secondo Demetrio, significa cura di Sé, grazie a un ascolto più vivo verso di noi, nonché cura della terra, per una sensibilità amplificata e può rispondere alla domanda “Quanta parte delle nostre vite e che forma assume la nostra relazione con la terra?”.
In un contesto interculturale ogni storia personale diventa connessione di una storia più vasta, quella dell’umanità e della terra.
“Il racconto è presente in tutti i tempi, in tutti i luoghi, in tutte le società; il racconto comincia con la storia stessa dell’umanità; non esiste, non è mai esistito in alcun luogo un popolo senza racconti; […] il racconto è là, come la vita” (Barthes et al., 2002)
Demetrio, (1996), Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sé, Raffaello Cortina Editore, Milano.
Demetrio D. (a cura di), (2012), Educare è narrare. Le teorie, le pratiche, la cura, Mimesis, Milano.
Duccio Demetrio, (2021), Raccontare la terra Per un’ecologia narrativa
Sofia V., Favero E., (2018), L’autobiografia linguistica nella pratica didattica, Una proposta per valorizzare la madrelingua e il plurilinguismo, Aracne, Roma.
http://www.pedagogiadelcorpo.it/formazione_IV_esempio.htm
https://parolepercostruire.webnode.it/l/alfabeto-lingua-mce-n-1/