Il Work Lab Formazione: come accendere una luce

di

(Di Serena Baldari, Associazione Pisacane 099)

Il 26 e 27 giugno il Work Lab Formazione del progetto Galassia Torpigna dedicato a insegnanti, educatrici e educatori ha concluso il suo percorso e ha dato l’avvio a una nuova fase, nella cornice suggestiva della Casa Laboratorio di Cenci.

Cenci è un luogo dove si pratica la ricerca educativa ed artistica sull’ecologia, l’intercultura e l’inclusione. Oltre a ospitare campi scuola e attività per ragazze e ragazzi di ogni età, ospita anche stage residenziali per persone adulte. 

Fondata nel 1980 dal maestro Franco Lorenzoni, Cenci si trova in Umbria, in aperta campagna, lontano da strade transitate. Intorno ai casolari che ospitano le stanze per le attività, la cucina e le camere, si aprono ettari di prati e boschi a perdita d’occhio. 

Cenci si è dimostrato il luogo perfetto per la conclusione del Work Lab, un percorso dedicato alla riflessione, al confronto e allo scambio tra docenti, educatrici e formatrici su temi pedagogici e didattici centrali nei nostri contesti educativi: la valorizzazione del multilinguismo e dei repertori linguistici individuali, le metodologie didattiche e il translanguaging, l’interlingua e la narrazione, la relazione tra scuola, ambiente e città.

Il Work Lab si è svolto nella sede di Asinitas, nelle stanze che quotidianamente ospitano le scuole di italiano per adulti e diverse attività educative e artistiche; attraverso 8 incontri le persone partecipanti hanno compiuto un percorso per scoprire la ricchezza del plurilinguismo, prima di tutto partendo da se stesse, attraverso la propria autobiografia linguistica, dando valore a tutte le lingue, i dialetti, le reminiscenze familiari e personali che arricchiscono e caratterizzano i lessici individuali. 

Abbiamo esplorato anche le modalità di comunicazione, non solo verbale, ma anche espressiva, corporea, sonora o silente. Con un esercizio molto complesso è stato sperimentato lo spaesamento linguistico: come possiamo cavarcela in un contesto in cui non capiamo cosa significano le parole, in che lingua sono scritte e come si pronunciano? Trovarci in una situazione complessa ha stimolato la collaborazione tra noi, e la condivisione delle strategie e le soluzioni possibili per raggiungere un obiettivo. Abbiamo avuto tempo per osservarci, per capire come occupiamo un’aula, come stiamo, fisicamente, in uno spazio di lavoro e nell’esecuzione di un compito; abbiamo accorciato le distanze tra di noi e accolto le differenze, sperimentando la mediazione, che non è un mero rapporto in cui chi capisce di più aiuta chi capisce di meno, ma una relazione di scambio e sostegno reciproco. Ci siamo confrontate su metodi di lavoro, sulla gestione delle situazioni più complesse e infine ci siamo interrogate su cosa sia un rifugio, e se anche la scuola, in quartiere, la città possano diventare per chi le attraversa luoghi familiari e accoglienti, in cui sentirsi al sicuro, come in un rifugio, appunto.

I giorni di residenza erano previsti nel percorso di formazione sin dall’inizio, ma ricordo che a febbraio, ai primi incontri del Work Lab, quando le formatrici facevano riferimento a questo appuntamento conclusivo, le insegnanti erano un po’ scettiche, sembrava una cosa davvero impossibile per 30 insegnanti di scuole diverse partecipare a una sorta di campo scuola, ma senza alunne e alunni. Quindi la prima sensazione che abbiamo provato ritrovandoci lì, in una calda giornata di fine giugno, sotto il porticato con i lunghi tavoli allestiti per i pranzi, la colazione e la cena, è stata una specie di emozionata incredulità. 

Dopo abbiamo avuto il tempo di immergerci nella formazione, iniziando dal ricapitolare quanto fatto negli incontri ad Asinitas. Poi ci siamo spostate sotto la grande quercia in giardino per ascoltare la lezione della professoressa Mari D’Agostino dell’Università di Palermo, che ha tracciato un percorso che è partito da un’analisi degli usi politici repressivi delle norme linguistiche e del monolinguismo, che hanno orientato le nostre pedagogie tradizionali e le nostre presenze coloniali nel mondo, e dei modi in cui tali dispositivi continuano oggi a riprodurre diseguaglianze anche nei contesti scolastici. 

L’intervento di D’Agostino ha poi fornito una preziosa sollecitazione spostando il focus sul multilinguismo “spontaneo” dei giovani che arrivano in Italia percorrendo le rotte migratorie dall’Africa sub-sahariana. Ha così voluto rimettere al centro della discussione una nozione più ricca di multilinguismo, svincolata da gerarchie fra le lingue e da rigidi standard d’istruzione, che consideri il muoversi, anche imperfettamente, fra molteplici repertori di lingue e idiomi come una competenza esistenziale complessa, una risorsa che consente ai parlanti di ri-tradurre di continuo il proprio bagaglio culturale e le proprie esperienze in nuove forme comunicative in rapporto ai contesti, e in nuove relazioni. 

Uno spunto per le insegnanti a fare più attenzione a quanta ricchezza c’è nelle nostre classi “multiculturali” e plurilingue.   

È stato poi il turno di una lezione di Cecilia Bartoli di Asinitas, che ha voluto avvalorare la proposta didattica laboratoriale e multimodale della due giorni di Cenci iscrivendola nel contesto del suo sviluppo storico e della sua riflessione teorica fondamentale, ripercorrendo le riflessioni dei grandi autori della pedagogia attiva, cooperativa e libertaria (Freinet, Freire, Montessori, Rogers, Dolci e tanti altri), restituendole  alla loro complessità e ambizione pedagogica originaria, ed evidenziando quanto esse siano ancora oggi dei riferimenti imprescindibili per azioni educative che vogliano essere significative, consapevoli e non occasionali.       

Dopo la pausa, il pomeriggio di formazione è continuato con il racconto del laboratorio dei Susurrador condotto da Asinitas durante l’anno scolastico con alcune classi della primaria Pisacane, il gruppo di narrazione delle mamme e la scuola di italiano con adulti insieme a ragazzi e ragazze di scuola media. 

Il Susurrador è un lungo tubo di cartone rigido, che si può utilizzare per raccontare, sussurrando, piccole storie, poesie, canzoni all’orecchio di una persona, preferibilmente in luoghi chiassosi e insoliti. Il racconto di Behts Ampuero e Alessandra Smerilli ha ripercorso le tappe del laboratorio, ha descritto il lavoro fatto in classe sulla voce e l’ascolto, con le narrazioni autobiografiche dei partecipanti incentrate su episodi della propria infanzia, la costruzione e decorazione da parte di ciascuno del proprio strumento, e la scelta attenta del proprio racconto da sussurrare. Il racconto, con l’ausilio di un video, ci ha infine restituito le emozioni dell’uscita finale per le strade del quartiere, nei negozi, tra la gente in fila all’ufficio postale, per incontrare le persone a cui sussurrare le proprie storie.

E’ stato sorprendente vedere quanto una pratica così semplice possa essere tanto coinvolgente, capace di creare insospettate vicinanze, curiosità, perfino intimità, fra persone che non si conoscono, in uno spazio di cura per la parola e l’ascolto sottratto al rumore del ritmo quotidiano della vita.  

 Il primo giorno di formazione si è concluso con un intervento a cura del maestro Franco Lorenzoni, che ci ha offerto una piccola esperienza di didattica laboratoriale, sollevando domande pedagogiche essenziali. 

Io credo che la conoscenza non si possa trasmettere, si può solo creare e ricreare, ognuno deve ri-crearsela per entrarci dentro”. Si tratta di fare, a partire da una domanda concreta, per esempio: “Come hanno fatto gli esseri umani a scoprire che la terra è una sfera?”. All’inizio incertezza e perplessità, non siamo in grado di rispondere facilmente…che razza di domanda è?! 

Da lì, un’ipotesi dopo l’altra, il gruppo di insegnanti ha pian piano ricostruito i tentativi dei primi astronomi egizi e greci per dedurre questa ipotesi, come fossero domande ancora tutte aperte e in questione, non nozioni che si leggono facilmente aprendo qualsiasi manuale scolastico. Alla fine giungiamo alla risposta e Lorenzoni ci racconta come ha compiuto questo percorso con la sua classe di quinta elementare a Giove, costruendo sagome e plastici dei corpi celesti per simulare le eclissi e le proiezioni sferiche della Terra sulla Luna, disegnando mappe e facendo osservazioni e misure sul campo.   

Un piccolo saggio che ci ha dato lo spunto per riflettere su che cosa vuol dire “conoscere”, per rimettere in questione il nostro modo consueto di acquisire e assimilare le informazioni, evidenziando quanto su un dato di cui non si è fatto in qualche modo esperienza non si possano acquisire conoscenze davvero durevoli e significative. 

Da qui un invito agli insegnanti a “rallentare”, a prendersi il tempo e a fare una “lunga manovra di avvicinamento alla conoscenza”, perché più è lunga la manovra, più è aperta ai diversi linguaggi e intelligenze, più si include la classe nella didattica, perché ciascuno ha il suo modo di pensare e di fare proprio il lavoro. “Se io su quella cosa mi limito a fare una verifica o interrogare, c’è chi va bene e chi va male, ma gli sto chiedendo solo un esercizio di memoria”.

Il secondo giorno è iniziato con animazioni corporee, risveglio muscolare e poi l’esplorazione del bosco attorno ai casolari. La mattina è poi proseguita con un esercizio di ascolto e narrazione in gruppi, attività che Asinitas stessa aveva sperimentato con il maestro Lorenzoni anni fa.  A partire da un brano in cui Marco Aurelio racconta dei maestri e insegnamenti ricevuti nella sua vita, ognuno/a ha composto la propria “autobiografia educativa” di insegnanti e insegnamenti. Narrando e ascoltando poi storie legate ad essi ci siamo conosciute/i e riconosciuti/e, riflettendo quindi trasversalmente su quali siano le relazioni educative che lasciano il segno e permangono nel tempo. 

Nel pomeriggio è stato il turno di Roberta Passoni, che ha raccontato in maniera appassionante il percorso di avvicinamento alla lettura e alla scrittura in una prima classe di scuola primaria a Giove. Il titolo del suo intervento è “Leggere prima di saper leggere”, che esemplifica esattamente la proposta: avvicinare da subito Bambine e bambini alla lettura immersiva, partendo dalle immagini degli albi illustrati, appoggiandosi e sollecitando il loro desiderio di raccontare e ascoltare storie, costruendo poi la competenza strumentale della lettura su una lingua intesa come “casa comune”, significativa, condivisa e masticata lungamente in classe. 

“E’ bello imparare a leggere perché qualcuno ha qualcosa da leggere, è bello imparare a scrivere perché si ha qualcosa da scrivere”. 

Si impara a leggere innanzitutto ciò che per noi è importante, in primo luogo le storie che ci interessano o che inventiamo insieme. Perché a cos’altro serve la lettura, se non a conoscere le cose più importanti ed essenziali per noi?

I “bambini-libro” di Roberta Passoni ci ricordano come tutti  e tutte abbiano una storia da raccontare, e un loro modo di raccontare le storie degli altri. Ed è da quel desiderio di scambiarsi e costruire storie che si sviluppa la capacità di lettura. Allo stesso modo, Passoni ci ha descritto l’avvicinamento delle sue classi alla pratica della scrittura, secondo un metodo che Freinet (e l’MCE) definiva “naturale”, basato su passaggi graduali che valorizzano l’interlingua del bambino, intesa come uno stadio di competenza acquisita, in cui non si parla mai di errore e correzione, bensì di traduzione dal codice del bambino alla lingua dell’insegnante. 

Pian piano si apprende a scrivere, facendo un autonomo passo avanti dal proprio sapere, auto-correggendosi, imparando essendo immersi dalle produzioni corrette e via via più articolate che il gruppo classe produce e che l’insegnante traduce. Una visione dell’ambiente di apprendimento dove gioca un ruolo centrale la  collaborazione tra pari, dove ogni bambino e bambina è stimolato a contribuire con la propria competenza e il proprio stile di intelligenza, mettendosi al servizio dei compagni e del gruppo, man mano che si va rafforzando nella sua sicurezza di sapere e provando il piacere di mettere in gioco questa sicurezza.

Prima di lasciarci, accaldate ed emozionate, è stato il turno degli immancabili post it usati per raccogliere i buoni propositi sul secondo anno di attività del progetto, le perplessità e gli auguri. Condivisione, confronto, riflessione, dialogo, lentezza, arricchimento, complessità, stimoli, domande, coraggio, luce…le parole più ricorrenti delle partecipanti per racchiudere i due giorni trascorsi insieme…

Se dovessimo scegliere un’immagine metaforica a rappresentare queste due giornate di formazione, potrebbe essere la luce. La luce abbagliante della campagna umbra che ci ha accolte appena siamo arrivate, sotto i portici, tra gli alberi, nelle stanze essenziali e confortevoli.

La luce del falò acceso la sera dal maestro Lorenzoni, attorno al quale ci ha raccontato la storia di Castore e Polluce. 

La luce delle stelle, luminosissime in campagna, dove l’effetto della luce artificiale è contenuto e non ne offusca la visibilità. 

E soprattutto la luce delle lucciole, il cui avvistamento ci ha regalato una grande emozione, facendoci tornare all’infanzia e a luoghi che avevamo dimenticato.

 

 

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