L’orto che fa crescere la relazione

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Spesso mi viene chiesto in cosa consista il lavoro nelle Case Rifugio. Difficile è spiegare quanto sia importante lavorare nella relazione e con la relazione, con i nuclei che ospitiamo, per far nascere un nuovo “nucleo familiare” che possa ripartire con nuovi equilibri, bagagli emotivi, relazionali, comunicativi per affrontare insieme la società in maniera non violenta e far sviluppare alle donne e ai/lle minori che lo compongono la coscienza di come il vissuto di violenza abbia influito sul loro rapporto, sui loro comportamenti e sulle loro esperienze emotive.

Gli interventi messi in atto vengono programmati a seconda delle esigenze valutate rispetto alle caratteristiche dei nuclei: progettiamo e realizziamo diverse attività psico-educative mirate proprio a seconda dei loro bisogni specifici.

Una delle prime attività che realizziamo con i nuclei è la creazione di un orto sul balcone: ciò nasce dal presupposto che il “prendersi cura di…” possa offrire loro un nuovo modo di stare insieme sperimentandosi in una dimensione non soltanto ludica ma anche educativa, volta a recuperare la relazione tra madre e figli/e dopo il vissuto della violenza domestica.

Ci vuole amore, impegno, cura e dedizione per far crescere le piante o gli ortaggi: curare l’orto aiuta i bambini/e a capire il susseguirsi delle stagioni, ad accettare i cambiamenti, a prendersi cura di qualcosa senza lasciare che muoia, sviluppando la volontà di aiutare un organismo vivente a crescere.

Potremmo riassumere gli obiettivi dell’orto sul balcone nelle Case Rifugio di Artemisia in maniera seguente: stimolare l’interesse e il rispetto verso la natura e i suoi prodotti; sviluppare il senso di responsabilità, del “prendersi cura di…”; stimolare il movimento fisico; stimolare capacità organizzative; favorire la consapevolezza nell’acquisire competenze per rafforzare la percezione di se stessi e l’autostima; migliorare l’umore e favorire la calma; imparare ad aspettare e a cogliere il concetto di diversità; realizzare agganci con l’educazione alimentare e il cibo  promuovendone il consumo consapevole per adottare abitudini alimentari sane e sostenibili.

Dopo aver colorato e dipinto una cassetta di legno i nuclei vengono invitati a inserirvi il terriccio e a interrare le piantine, ad annaffiarle discutendo sull’attività, sugli obiettivi, su come ci si senta, progettando lo step successivo fino a quando verranno raccolti i frutti del loro lavoro.

Saranno i/le bambini/e a impegnarsi ad annaffiare gli ortaggi sotto la supervisione della madre così da far loro sviluppare il senso di responsabilità nella cura del loro orto.

Quando gli ortaggi saranno pronti per essere colti saranno sempre i/le bambini/e a farlo assieme alla madre e saranno loro a prepararli per mangiarli condividendo il risultato del loro impegno e rafforzando la consapevolezza delle loro azioni e capacità.

Nel caso, possibile, in cui le piante siano morte, occorre discutere con il nucleo sul perché, su quali comportamenti si sarebbero dovuti tenere, chiedere come si sentono e dare, comunque, una seconda possibilità invitando i bambini/e a ripiantare gli ortaggi e cercando di trasmettere il messaggio che, se anche c’è stata una carenza di cure, c’è sempre la possibilità per re-impegnarsi, rimettersi in gioco e recuperare, così come nelle relazioni.

Durante le varie fasi dell’attività l’educatrice potrà fotografare i vari passaggi (previo consenso) e le foto saranno utilizzate con finalità diverse.

Con i bambini/e le foto scattate saranno appese su un cartellone che rappresenti concretamente l’esperienza vissuta e saranno usate per far loro ricordare e rivivere i momenti trascorsi durante l’attività con le loro madri.

Con le madri le fotografie saranno utilizzate come momento di “restituzione” per riflettere, assieme alle educatrici, su ciò che hanno provato durante l’attività e sulle sensazioni esperite nel veder raffigurati gli atteggiamenti, gli sguardi, le espressioni che avevano mentre si prendevano cura di loro stesse, dei figli e della relazione. Questo dà loro modo di auto analizzarsi, di considerare il proprio essere madre in maniera consapevole: l’operatrice valorizza gli aspetti positivi e offre un supporto rispetto a carenze dovute alla propria storia di vita e alle violenze subìte.

L’attività riproposta a fine percorso può essere occasione per osservare come la relazione si sia modificata a distanza di tempo, rappresentando anche per le educatrici una sorta di valutazione dell’intervento educativo.

L’attività rappresenta uno strumento molto efficace per lavorare con i nuclei traumatizzati e viene sempre accolta con grande entusiasmo sia da parte dei bambini/e, felici di poter condividere un’attività e del tempo con la propria madre, sia da parte delle adulte che spesso richiamano alla memoria attività legate alla cura della terra avute nella loro infanzia. Per le educatrici è occasione per poter osservare come, quando la relazione tra madre e figli è meno danneggiata e vi è maggior accudimento materno, questa si riflette sull’andamento dell’orto, portando gli ortaggi piantati a crescere rigogliosi e a poter essere colti. Invece, quando purtroppo il legame è compromesso anche l’orto viene trascurato e si può notare come le piante, in mancanza di cure, non riescano a sopravvivere e muoiano.

Particolare è stato l’utilizzo di questa attività nel caso di una coppia madre-bambina, separate per un lungo periodo… Nel momento del loro ricongiungimento, utilizzando questa attività con l’intento di ristabilire un legame di attaccamento bruscamente interrotto, ci siamo accorte come la diade non si guardasse negli occhi, fosse sbrigativa durante tutta l’attività, non collaborativa nel dipingere la cassetta e piantare gli ortaggi. Madre e bambina lavoravano autonomamente non condividendo gli strumenti di lavoro, mostrando un evidente trauma nella relazione e nell’attaccamento da parte di entrambe.

Il momento della “restituzione” con la madre, in cui le educatrici hanno guardato insieme a lei le fotografie scattate durante l’attività, ha rappresentato per lei uno stimolo per poter riflettere sul trauma subito e sul legame di attaccamento con la figlia e per noi un importante indicatore dello stato della loro relazione sulla quale è stato possibile poi lavorare attraverso altri strumenti.

Michela Silvi, educatrice, Artemisia

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