A proposito di credibilità dei racconti dei bambini abusati sessualmente
di Artemisia
Pubblichiamo l’interessante articolo a cura di Cristina Pessina, neuro psichiatra infantile e psicoterapeuta, uscito su Scambi di Prospettive, il blog della redazione di Prospettive sociali e sanitarie, che sintetizza e traduce l’importante ricerca presentata in inglese sul Journal Of Child Sexual Abuse intitolato “How Plausible are the Accounts of Child Victims of Sexual Abuse. A Study of Bizarre and Unusual Scripts Reported by Children” (“Quanto sono plausibili i racconti dei bambini vittime di abusi sessuali. Uno studio sui copioni bizzarri e insoliti riferiti dai bambini”).
La sintesi in italiano della ricerca è stata curata da una delle autrici, Marinella Malacrea, che ringraziamo per la segnalazione.
L’abuso sessuale dei bambini è un tema molto delicato, complesso, difficile da gestire emotivamente e operativamente. Il fatto che l’abuso avvenga frequentemente tra le mura domestiche, o comunque a opera di persone di cui il bambino si fida, sempre nel segreto, spesso a carico di bambini piccoli, non sono che alcuni degli elementi che ne costituiscono la complessità, così come il fatto che gli abusanti quasi sempre neghino e che gli incroci con il sistema giudiziario molto spesso siano complicati.
Tutti gli studi retrospettivi ne riportano frequenze inquietanti: per restare in ambito nazionale in uno dei più recenti (Prino et al., 2018 (1)) si dice che il 18% di giovani adulti italiani abbia sperimentato qualche forma di abuso sessuale nell’infanzia e nell’adolescenza, con maggiore presenza tra le femmine rispetto ai maschi.
Eppure, sia in ambito clinico sia in ambito giudiziario, permangono molte difficoltà nel riconoscere questi casi. Alle difficoltà sopra elencate si aggiunge la complessa e controversa questione della credibilità dei racconti dei bambini abusati. In questo articolo si vuole affrontare proprio un aspetto particolare delle rivelazioni, cioè la presenza in esse di elementi così insoliti o raccapriccianti da poterne minare la credibilità.
Circa 15 anni fa andai a Marsiglia per seguire un corso sull’uso delle favole nei percorsi terapeutici per le piccole vittime.
La collega francese che teneva il corso parlava di un caso complesso che aveva seguito alcuni anni prima specificando che le piccole vittime di una rete pedofila le avevano raccontato di essere state “addormentate con le bombole”, di avere dovuto uccidere neonati, che nelle loro parti intime venivano infilate palline colorate, oltre ad essere filmati.
All’epoca seguivo due fratellini di 5 e 7 anni che avevano rivelato di essere stati abusati sessualmente da una serie di persone e raccontavano della loro esperienza elementi “strani”: presenza di “bombole di gas”, “palline colorate” inserite nei genitali, uccisione di neonati e altri meno insoliti, vale a dire essere ripresi da telecamere.
Ciò mi aveva enormemente colpito: bambini che non si erano mai conosciuti, che vivevano a centinaia di chilometri di distanza, rivelavano del proprio abuso elementi molto insoliti eppure del tutto identici. Né io e la collega eravamo mai stati in contatto in precedenza, né lo erano stati suoi o miei collaboratori. I bambini seguiti dalla collega erano stati ritenuti non credibili dalla Giustizia, perché raccontavano cose inverosimili, troppo strane o troppo cruente. I “miei” correvano lo stesso rischio.
Eppure Everson (2) aveva già scritto un basilare articolo intitolato proprio “ La comprensione di elementi strani, bizzarri, improbabili e fantastici nei racconti di abuso dei minori” in cui aveva individuato 24 categorie di possibili spiegazioni della presenza di tali elementi, concludendo che la loro presenza “non ne dovrebbe determinare l’automatico rifiuto, senza prima considerare gli eventuali meccanismi che sottostanno a tale materiale così irreale”, tra cui “la descrizione accurata della realtà”.
Avviene spesso, invece, che proprio la presenza di tali elementi incida negativamente sulla credibilità dei bambini, portando a rifiutarli o a non prenderli nemmeno in considerazione. Secondo l’ISTAT il 55% dei processi per reati sessuali contro i bambini in Italia termina con la condanna dell’accusato, ma se la denuncia contiene elementi inusuali e bizzarri, la condanna dell’imputato avviene solo nel 22% dei casi e spesso non sulla base della credibilità attribuita alle dichiarazioni dei bambini, ma sulla base di altri elementi di prova.
La nostra ipotesi, all’epoca, era stata che i bambini, che raccontavano anche della presenza di adulti con la cinepresa (all’epoca non c’erano gli smartphone, che oggi rendono facilissime le riprese e lo scambio di immagini e filmati), venissero abusati per produrre materiale da commercializzare e che il mercato pedopornografico avesse dei cliché particolari a cui ci si doveva conformare per incontrare le preferenze dei consumatori, ma si trattava solo di ipotesi, non sufficienti a incidere sulla percezione di credibilità dei bambini.
Ma anche alcuni altri bambini abusati in ambito familiare, e per i quali non c’era nessun elemento che facesse ipotizzare riprese video dell’abuso, raccontavano dettagli bizzarri o particolarmente insoliti, non troppo dissimili da quelli di chi era abusato per produzione di materiale pedopornografico, come se l’abusante agisse sulla base di fantasie particolarmente perverse riconducibili a cliché, probabilmente anche alimentate dal consumo di materiale pedopornografico reperito online. Tuttavia, anche questa era solo un’ipotesi.
Ora però un recentissimo articolo di un gruppo di autori italiani consente di sostenere con dati quelle ipotesi e di garantire maggiore attenzione e tutela alle piccole vittime di abuso sessuale, proprio a partire dall’attenta analisi dei loro racconti. Si tratta del lavoro di Longobardi, Malacrea, Giulini, Settanni e Fabris dal titolo “How Plausible are the Accounts of Child Victims of Sexual Abuse. A Study of Bizarre and Unusual Scripts Reported by Children” (3).
Gli Autori notano – proprio come sopra descritto – come nei loro racconti di vittimizzazione sessuale alcune vittime riportino sequenze ricorrenti, che sembrano organizzarsi secondo ‘copioni’ o tracce tematiche e che sono rivelati da bambini che non sono mai stati in nessun modo in contatto tra loro, hanno età diverse, vivono in luoghi anche molto distanti, sono stati ascoltati e seguiti in periodi diversi da operatori non in contatto tra loro. È come se – sostengono – si trattasse di sceneggiature che prevedono ambientazioni particolari, uso di abbigliamento od oggetti specifici, interazione con sostanze psicotrope, coinvolgimento di animali e adulti in pratiche sessuali, aspetti sadici con la presenza di sangue, o rappresentazione di particolari personaggi. Tutto ciò sembra essere creato da e per gli abusanti che mettono o fanno mettere in scena una specie di ‘copione dell’abuso’, per via del fatto che quella particolare sceneggiatura soddisfa le fantasie devianti del pedofilo o dell’aggressore sessuale di minorenni.
Queste sceneggiature – proseguono gli Autori – possono essere caratterizzate non soltanto da elementi inusuali, ma anche degradanti, crudeli e terrificanti. È comprensibile che questi racconti di abuso suscitino risposte emozionali negative e di rifiuto negli operatori. Ciò può indurre a negare l’abuso, sottovalutarlo e pregiudizialmente considerare la bizzarria come una esagerazione da parte del bambino prima ancora di avere fatto un’analisi accurata ed esauriente della situazione.
Per scongiurare o arginare questo rischio gli Autori partono dall’ipotesi che se gli elementi singolari, sadici o perversi, e quindi non comuni presenti nelle rivelazioni dei bambini possono essere collegati a eventi reali messi in atto per soddisfare le fantasie degli abusanti, allora sia possibile trovarli rappresentati nel materiale pedopornografico presente online, specie nel ‘dark web’.
Ne è seguita una ricerca mirata a identificare categorie ricorrenti di ‘copioni’ inabituali nei racconti di bambini sessualmente abusati e verificare la loro reale presenza nella pedopornografia online. Per raggiungere questi obiettivi sono stati condotti due studi.
Nello STUDIO 1 sono state raccolte e analizzate qualitativamente dichiarazioni inusuali e bizzarre prodotte da bambini in relazione a esperienze sospette o accertate di abuso sessuale, per giungere a sviluppare una lista di categorie di ‘copioni’ legati all’abuso caratterizzati da elementi peculiari e a studiare la loro prevalenza nei racconti dei bambini.
Hanno preso parte a questo primo studio 21 clinici (psicologi, neuropsichiatri infantili, psicoterapeuti) esperti nel campo dell’abuso all’infanzia. Essi hanno selezionato 409 descrizioni della vittimizzazione subita da parte di 162 bambini per cui si sospettava un abuso sessuale. Le descrizioni, in base alla loro similarità e dopo il confronto con la letteratura attinente hanno potuto essere inquadrate in 16 ‘copioni’ di modo da comporre una “Lista di sceneggiature inusuali di abuso sessuale all’infanzia’” (LUSCSA). Questo risultato è un contributo originale, in quanto la letteratura sul punto è scarsa e non esauriente. Ecco l’elenco delle tipologie:
Messe in scena, Personaggi fantastici, Travestimenti sessuali dell’adulto, Travestimenti non sessuali dell’adulto, Travestimenti sessuali del bambino, Scene di sesso di gruppo, Interazioni sessuali con animali, Interazioni sessuali con alimenti o oggetti di uso comune non usualmente impiegati nelle pratiche sessuali, Uso di violenza, Uso di narcotici o altre sostanze, Interazioni sessuali con escrementi, Rappresentazioni di ambienti medici, Rappresentazione di ambienti correlati a religione e pratiche occulte, Morte e torture, Vampirismo, Sessualizzazione di «attività giocose».
Nello STUDIO 2 queste tipologie sono state presentate a due gruppi di adulti con esperienza riguardo alla pedopornografia, cioè a 52 agenti esperti in forza al Centro Nazionale per il Contrasto alla Pedopornografia Online (CNCPO) e a 28 sex offender, cioè soggetti condannati per reati connessi alla produzione e al consumo di pedopornografia. L’obiettivo era di verificare la validità dei contenuti evidenziati nello Studio 1. Ai partecipanti quindi è stato chiesto, utilizzando per la frequenza una scala Likert da 0 = mai a 4 = quasi sempre, se e quanto spesso avessero osservato le tipologie emerse dallo Studio 1.
Sulla base delle risposte è stata compilata una tabella delle frequenze con cui i partecipanti avevano osservato la presenza nei file pedopornografici di ciascuno dei ‘copioni’ inclusi nella lista. Il primo dato importante è che tutti i ‘copioni’ indicati sulla base delle dichiarazioni dei bambini sono stati riconosciuti dai partecipanti come presenti nel materiale pedopornografico, con alcune differenze: in generale si è registrato un riconoscimento quantitativamente maggiore da parte degli ufficiali di polizia rispetto ai sex offender, anche se su alcuni ‘copioni’ la tendenza si inverte (“rappresentazioni di ambienti medici e messe in scena”). I ‘copioni’ riscontrati con maggiore frequenza sono le “scene di sesso di gruppo e la sessualizzazione di “attività giocose” (circa 80% degli ufficiali di polizia e circa il 70% dei sex offender), ma con alta frequenza sono riconosciuti anche “l’uso di violenza e l’uso di narcotici o altre sostanze” (più del 50% degli ufficiali di polizia) e le “interazioni sessuali con animali” (circa il 40% sia degli ufficiali di polizia sia dei sex offender). Le situazioni meno riconosciute sono quelle che comportano “morte e torture e vampirismo”.
Il quadro è ovviamente molto inquietante. Ne deriva che le dichiarazioni inusuali e bizzarre fatte da presunte piccole vittime di abuso sessuale dovrebbero essere prese seriamente in considerazione e accuratamente verificate da esperti e magistrati e non pregiudizialmente ignorate o sottovalutate. Lo studio sopra riassunto offre un primo strumento empirico in questa direzione.
Ma l’auspicio è anche che siano soprattutto gli operatori sociosanitari, che a vario livello e titolo si trovano a occuparsi di bambini che rivelano un abuso sessuale, a conoscere e considerare i contenuti dello studio citato, di modo da potere attuare una protezione sempre più efficace dei bambini.
Note
(1) Prino L., Longobardi C., Settanni M., (2018), “Young Adult Retrospective Reports of Adverse Childhood Experiences: Prevalence of Physical, Emotional, and Sexual Abuse in Italy”, Archives of Sexual Behavior, 47. 10.1007/s10508-018-1154-2.
(2) Everson M, (1997) “Elementi strani, improbabili, fantastici nel racconto dei bambini abusati”. Tr. It. In Maltrattamento e abuso all’infanzia, 1 (1) pp. 19-28, FrancoAngeli, Milano.
(3) Longobardi C., Malacrea M., Giulini P., Settanni M., Fabris M.A. (2021), “How Plausible are the Accounts of Child Victims of Sexual Abuse. A Study of Bizarre and Unusual Scripts Reported by Children”. Journal Of Child Sexual Abuse, Ahead-Of-Print, 1-20. La sintesi dei contenuti principali in italiano è a cura di Marinella Malacrea.
Ti potrebbe interessare
Linee di indirizzo della Rete di Nicoletta: come e perché funzionano
di Artemisia
Marianna Giordano, presidente del CISMAI, Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l’abuso all’infanzia, ha collaborato alla stesura delle Linee di...
DREAM. Al via il Corso specialistico per operatori socio-sanitari delle aree di Firenze e Prato
di Artemisia
Partirà il 9 gennaio 2024 il corso di formazione intitolato “Costruire percorsi di tutela e cura nei casi di abuso e maltrattamento...
DREAM raccontato su Nova Radio
di Artemisia
Una lunga intervista con Petra Filistrucchi, vice presidente di Artemisia e coordinatrice del progetto DREAM, è stata realizzata mercoledì 25 settembre da...