Autismo, cioè: come mio fratello ha cambiato la mia vita

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Mio fratello ha cambiato la mia vita. L’ha cambiata quando è nato, qualche anno appena dopo di me. E l’ha cambiata ancora di più quando abbiamo scoperto che fosse autistico. È incredibile quanto questo mi abbia definito e reso quello che sono oggi. Mi chiamo Federico Lupo, ho 42 anni e dal 2022 sono presidente dell’associazione Un futuro per l’autismo, la Onlus alla quale mi sono avvicinato molti anni fa, ormai, e che ha aiutato moltissime persone come mio fratello, come i miei genitori e come me. Oggi seguiamo 120 famiglie.

Ho pensato che fosse importante, prima di presentare il progetto AutMind, che ci vedrà impegnati per quattro anni (assieme al consorzio di cooperative Il Nodo, capofila; alla cooperativa Identità; e alla cooperativa Un altro modo), presentare me stesso. Non sarò sempre io a parlare: nei prossimi mesi e anni, sentirete parlare operatori, genitori, insegnanti, psicologi e io penso che sia giusto così. Ma la mia storia personale, l’esperienza che ne ho tratto, è entrata in questo progetto, sostenuto dall’impresa sociale Con i bambini.

Chi sono i siblings

Dicevo: sono fratello di una persona con autismo. Mio fratello è poco più piccolo di me. Siamo cresciuti in simbiosi, in pratica, sia per questioni anagrafiche. Sia perché mio fratello aveva bisogno di me. Io lo sapevo e lo sentivo. A un certo punto, mi sono reso conto di una cosa che mi ha travolto: i miei genitori non ci sarebbero stati per sempre. Sarebbe arrivato un momento in cui io avrei dovuto essere una spalla per loro e, contemporaneamente, anche per mio fratello.

Mi sono chiesto, quindi, come farlo. Come permettere a mio fratello e a me di costruirci una vita che non fosse frustrante per nessuno dei due, che non ci facesse soffrire limitazioni. In quel periodo, più di vent’anni fa, mi sono avvicinata a questa associazione, Un futuro per l’autismo. Ho conosciuto il presidente e mi sono accorto che c’era qualcosa che mancava: faceva un lavoro meritorio con i genitori, costruiva prospettive e ragionava su indipendenza e formazione, ma non teneva in considerazione i fratelli.

 

La prima cosa che ho fatto è stata lavorare a un gruppo di mutuo aiuto destinato ai “siblings”: stavamo sperimentando più o meno tutti, nello stesso modo, le stesse domande e lo stesso bisogno di essere utili. Il gruppo si è allargato sempre di più, da quell’esperienza sono nati un libro e un documentario. Soprattutto, è nata l’idea di insegnare a noi e ai nostri fratelli e sorelle a sviluppare competenze, a prenderci cura l’uno dell’altro. Ne abbiamo parlato e ci siamo confrontati durante week end trascorsi a “ritmo di autismo” tra noi e i nostri fratelli. Lasciamo un po’ liberi i nostri genitori di riposarsi, fisicamente e mentalmente, e noi iniziamo a scoprire cosa significa essere l’esclusivo punto di riferimento delle persone con cui condividiamo e condivideremo la vita.

La ricerca di autonomia

Mio fratello oggi lavora in una cooperativa sociale che produce miele, agrumi e ortaggi. Insieme ai suoi compagni di lavoro conduce le visite didattiche e, letteralmente, mette le mani nella terra. Nella cooperativa lavorano altre persone con neurodiversità. Questo aiuta loro e aiuta noi. Mio fratello è indipendente, sa cucinarsi da solo i pasti e prendersi cura di sé. Viviamo in due case sullo stesso pianerottolo: lui con i miei genitori, io con mia moglie e le mie figlie. Le porte di casa non sono praticamente mai chiuse. Ci siamo strutturati così. Come una comunità.

Gli obiettivi che abbiamo

Il progetto AutMind nasce anche dalle consapevolezze mie, dei genitori e di altri fratelli e sorelle di persone con autismo. C’è bisogno di tantissima formazione: nelle scuole, nelle famiglie, nella società. Una persona con disturbo dello spettro autistico può essere accompagnata in un percorso di indipendenza, può sviluppare abilità e competenze. Può farlo con il giusto supporto nelle istituzioni scolastiche e dei legami familiari e personali. Con AutMind seguiremo 60 persone, 60 storie. E per ciascuna di queste costruiremo un Piano educativo individualizzato: a differenza del Pei scolastico, noi guarderemo anche al tempo da trascorrere fuori dalla scuola, quello delle attività sportive o degli hobby.

Sappiamo che è una bella sfida. E sappiamo che ci vorrà tempo. Quattro anni non sono poi tanti, ma sono un inizio. Ne avvertiamo il bisogno e sappiamo che in Sicilia possiamo essere pionieri.

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