Combattere la povertà educativa per garantire un futuro migliore agli adulti di domani.

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Ne parliamo con la pedagogista Francesca Mancini, responsabile di progetto per il Villaggio Educante.

Che cos’è la povertà educativa?
È un fenomeno multifattoriale, con molteplici cause e diversi “sintomi”. Una volta la povertà era considerata unicamente dal punto di vista economico, ora invece sappiamo che deve essere letta sia negli aspetti materiali, in quanto ne è indissolubilmente legata, sia in quelli correlati alle opportunità di crescita e di sviluppo della persona da tutti i punti di vista: fisico, emotivo, sociale.
La povertà educativa sta nella minore opportunità di accesso a ciò che i territori offrono in materia di servizi di formazione e attività extrascolastiche, come sport, arte, cultura: ciò è dovuto sia al minor potere economico delle famiglie che impedisce loro di “acquistare” alcuni tipi di servizi, sia ad una inferiore propensione verso queste offerte educative, per diffidenza, isolamento sociale, pochi legami con la comunità e con il territorio.
Come impatta la povertà educativa sulla vita dei bambini?
Minori o assenti opportunità incidono non solo sul presente dei bambini, ma anche sul loro futuro. Poter accedere a proposte formative diverse dalla scuola, che riguardano l’interezza della persona, grava non solo sulla qualità dell’apprendimento in generale ma, soprattutto, sullo sviluppo delle cosiddette “soft skills”, ovvero quelle competenze fondamentali per relazionarsi con gli altri come collaborare, comunicare efficacemente, provare empatia, partecipare, sviluppare l’intelligenza creativa.
Quindi impatta, più in generale, anche sulla società del futuro?
Esatto. Parliamo dell’opportunità di essere realmente cittadini, ovvero connessi con gli altri e con la dimensione pubblica. Tutto ciò che è occasione di apprendere attraverso “altri” linguaggi, non strettamente legati ai “saperi formali”, aiuta i bambini a imparare e a pensarsi come parte viva di una comunità inclusiva e a diventare adulti più consapevoli del loro ruolo nella società futura e dell’importanza del senso civico.
Pensiamo, per esempio, al tema sempre più attuale della sostenibilità: in quel caso è l’azione del singolo che deve “moltiplicarsi” per avere effetti postivi sul pianeta. Per avere comportamenti responsabili è fondamentale sentirsi responsabili di una collettività più ampia e ciò va sostenuto fin dalla prima infanzia.
Come?
Attraverso l’educazione, prima di tutto, che deve favorire, attraverso l’esempio, i comportamenti di cura verso l’ambiente e poi, nel caso di Villaggio Educante, anche attraverso l’esperienza degli atelier d’arte che propongono gli oggetti di scarto e di riciclo come materia di partenza per la creazione di qualcosa di bello. Così facendo i bambini imparano a guardare le cose con molti occhi diversi e comprendono che il bello può nascondersi ovunque e anche un oggetto umile può avere più vite. In tutto ciò, naturalmente, la famiglia rimane il primo luogo dove i comportamenti virtuosi possono dare il corretto imprinting alla cittadinanza consapevole di domani.

Bisogna cercare di invertire la rotta, insomma…
Bambini che hanno opportunità di fare esperienze significative, creative e a contatto con la bellezza delle cose e delle emozioni saranno più capaci di apprendere e comprendere la realtà che li circonda e da adulti saranno più capaci di uscire dall’isolamento per giungere anche ad un riscatto economico, migliorando, quindi, la condizione da cui sono partiti. Altrimenti, come dimostrano diversi studi internazionali, è davvero difficile. La prima leva per invertire la povertà è educativa, non economica.
Su quale di questi aspetti Villaggio Educante cerca di lavorare maggiormente?
Il progetto è stato pensato per essere sfaccettato e flessibile per aprire più porte possibili e per lavorare in parallelo su due binari fondamentali: bambini e genitori.
Lavorare contemporaneamente su questi due fronti ci permette di arrivare ad un bacino molto ampio e di attrarre nelle iniziative del Villaggio Educante anche quella parte di famiglie e di bambini che prima non vi accedevano e che rischiavano di rimanere ai margini della comunità per mancanza di risorse o di interesse.
Per esempio, il genitore che fa partecipare il proprio figlio agli atelier ha la possibilità di entrare in contatto con altri genitori, con educatori, avendo occasioni di maggiore consapevolezza, riflessione e scambio con la comunità. Per questo i nostri atelier sono e saranno sempre gratuiti per tutti.
E le iniziative dedicate ai genitori?
Il nostro progetto per i genitori parte da un assunto fondamentale: il Villaggio Educante NON è una scuola per genitori, non vogliamo insegnare loro “come si fa”, ma vogliamo creare gruppi di comunità e di parola dove dialogare insieme e offrire spunti sui temi che sono più sentiti dalle mamme e dai papà.
Essere genitori, contrariamente a quanto una certa cultura massiva sulla genitorialità sta diffondendo da qualche anno a questa parte, non è un lavoro: non c’è un modo giusto e un modo sbagliato per esserlo e noi “esperti” non dobbiamo erigerci a “insegnanti di genitorialità” ma, al contrario, dobbiamo recuperare il rispetto per le diverse culture familiari, per i diversi modi di essere madri e padri mettendoci magari a disposizione con i nostri strumenti ma sempre a partire da un atteggiamento di rispetto e di ascolto.

Come stanno rispondendo i territori in cui è presente il Villaggio Educante?
In generale il primissimo bilancio è molto positivo e ci sprona a fare ancora meglio.
Abbiamo riscontrato una partecipazione e una richiesta davvero altissime in tutti i comuni per gli Atelier e i laboratori offerti e stiamo già lavorando per il prossimo anno scolastico per attivarli fin dai primi mesi dell’anno scolastico anche nei luoghi più difficili da raggiungere, per esempio in alta Carnia.
Anche gli Spazi Soft, ovvero l’apertura delle porte delle nostre scuole ai bambini dei territori attivando per loro spazi di gioco, di socialità e di dialogo, hanno un grande successo perché diventano un fulcro di condivisione e di aiuto anche fra genitori: abbiamo tantissime richieste anche nei comuni dove ci sono pochi bambini.
È la dimostrazione che, se crei le opportunità, le famiglie rispondono: hanno bisogno di riscoprire quel senso innato di comunità e di partecipazione che un tempo erano una condizione diffusa per molti territori e che oggi si sta perdendo ma che appare ancor più fondamentale da recuperare per territori più isolati.
Sono sicura che gli Spazi Soft avranno futuro anche oltre al progetto di Villaggio Educante, perché sono le scuole stesse a chiedercelo.

 

 

 

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