“Fermata Prealpino” il corto dei ragazzi del Calini di Brescia prende vita!

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Sono iniziate le riprese del video per il laboratorio “Terra che crea” realizzato assieme ad un gruppo di studenti del Liceo Statale Annibale Calini di Brescia che, guidati da Nicola Zambelli, stanno elaborando un corto dal titolo provvisorio: “Fermata Prealpino”!

Abbiamo già parlato della prima parte del lavoro in un precedente articolo che raccontava la prima parte di formazione pratico-teorica, gli incontri al Musil, (leggi l’articolo sul Musil di Brescia) al museo di San Bartolomeo e i sopralluoghi realizzati in quartiere si è proceduto ad un lungo confronto per capire come raccontare assieme il museo e la sua storia, così intimamente legata al tessuto produttivo dell’area in cui è situato.
In quell’occasione i ragazzi hanno potuto studiare la storia del museo, informandosi sul funzionamento dell’antico maglio ad acqua che alimentava la produzione di manufatti in ferro che vi venivano lavorati.
E’ stato interessante discutere con il personale del museo sulle esigenze comunicative prioritarie per loro: per il Musil di Brescia, il museo del ferro dovrebbe diventare un punto di incontro nel quartiere e dovrebbe essere maggiormente conosciuto in città, dovrebbe essere visto come un luogo vivo, diventare un punto di incontro e non restare solo un pezzo di storia. In qualche modo sarebbe stato utile e bello se il nostro racconto fosse andato in quella direzione.

Attorno al concetto di “vita” ed “esser vivi” abbiamo provato a costruire il plot del nostro racconto video, immaginato sia come uno spot per il museo che come un viaggio di scoperta e di avventura.
Le riprese sono iniziate giovedì 14 e terminate giovedì 21 marzo, coprendo un percorso che va dalla metropolitana di Brescia (un po’ il simbolo della modernità cittadina) fino al quartiere di San Bartolomeo e al vecchio maglio (simbolo della storia bresciana). La metropolitana porta il protagonista dal centro della città (dalla fermata San Faustino), fino al capolinea (Villaggio Prealpino).

Nel filmato un ragazzo si addormenta e risveglia al capolinea; uscendo dalla metro viene attirato da un flyer che trova per terra quando gli casca il telefono, vede per la prima volta l’immagine del museo. Sempre oltre la fermata della metro, uscito a cielo aperto, incontra un cartello che gli indica nuovamente come raggiungere il museo (dal momento che per un attimo gli sembra di vedere una ruota “animata” sul flyer, è incuriosito e decide di andare scoprendo un mondo nuovo…).
Il museo di San Bartolomeo dista 1 km esatto dalla fermata della metro, quindi facilmente raggiungibile a piedi. Quando si esce dalla metro e si va in direzione museo, sembra di uscire dalla città ed entrare in campagna: siamo alla periferia nord della città, dove i campi si riaprono e dove si iniziano ad intravedere le Prealpi.

Sembra quindi di uscire un po’ dallo spazio e dal tempo.

L’area che circonda il museo, era una zona a carattere produttivo, caratterizzata da piccole officine e da molti magli ad acqua, mulini, granai.. C’era un’armeria e tutto il quartiere “viveva” sulla lavorazione del ferro. Tutte queste officine di fabbri erano alimentate dal torrente Garza, che scorreva (e scorre tutt’oggi) attraversando il quartiere ed azionando i mulini ad acqua. Parte di questa tradizione si è persa, parte si è evoluta. Ora da queste parti sorgono immense strutture commerciali e molte fabbriche.

Le riprese sono state fatte con attrezzatura professionali da videomaker sotto la supervisione del docente, e a turno i ragazzi hanno potuto sperimentare alcune tecniche proprie delle riprese di un team leggero (riprese a cavalletto e con stabilizzatore gimbal, riprese con microfono boom, controllo attraverso field monitor, piccole luci).

All’interno del filmato vedremo il nostro protagonista andare alla scoperta di un luogo a lui sconosciuto e che, grazie a tecniche di montaggio che vedremo nella fase successiva alle riprese,“parlerà” come per magia sia al protagonista che al pubblico che guarderà il video.
Lo studio del concept ha permesso di far scoprire ai ragazzi alcuni espedienti narrativi propri del linguaggio audiovisivo: non tutto ciò che si vuol dire deve per forza essere “detto”, ma ci sono innumerevoli modi per “mostrarlo”, anche in forma indiretta, perché la sintassi cinematografica consente di comunicare attraverso associazioni di immagini e idee non per forza didascaliche o pleonastiche. Il cuore del racconto, attraverso una scelta di soluzioni visive “assurde” o “improbabili”, verterà proprio sullo slogan finale che lasceremo allo spettatore, legato al concetto di “vitalità” che fungerà da predicato del nostro messaggio elaborato per il museo.

di Nicola Zambelli

Officina #terrachecrea
FABBRICA SOCIALE DEL TEATRO
Liceo Statale A. Calini – Brescia

 

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