CRESCERE CON LA MUSICA

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Proponiamo un estratto dell’articolo scritto da Riccardo Damasio, coordinatore del progetto La Scuola, una piazza della città, pubblicato dalla rivista Musica&Terapia. I contenuti dell’articolo trovano declinazione operativa all’interno del laboratorio Dialoghi Sonori, che si realizza anche quest’anno in alcuni nidi e scuole d’infanzia partner di progetto. Un contributo di Raul Biagini, conduttore del laboratorio Dialoghi Sonori, pubblicato sul blog, consente di conoscere i contenuti della proposta pedagogica.

 

Musica e pedagogia si rincorrono, si parlano, spesso si contrappongono nella nostra tradizione culturale, in un continuo e sempre rinnovato dialogo che appare sempre più significativo per le generazioni future. Cosa può dire la musica alla pedagogia? In che senso

i due campi si parlano e si intrecciano? Cosa possiamo capire dalla musica che possa irrorare le pratiche pedagogiche? Perché dobbiamo occuparci di pedagogia in un mondo che sembra, come la musica, perdersi in un eterno presente?

1)La musica aiuta a vivere il tempo in una dimensione più ampia. La musica inserisce chi la fa in una dimensione che

va molto oltre il qui ed ora. Fare musica implica la capacità di entrare in una dimensione del tempo di più ampia durata, che si dilata in un orizzonte in cui non tutto si consuma nell’istante. Per fare musica è necessario saper accettare la sfida dell’attesa, della di un oggetto sonoro che si sviluppa lentamente e non si brucia nell’istante.

3)La musica forma all’autodisciplina La musica è uno straordinario esercizio di solitudine. Solo con una lunga permanenza con se stessi, con le proprie debolezze e le proprie risorse, talvolta nascoste, ma da coltivare, si può arrivare a ottenere qualche risultato significativo

4)La musica allena alla perseveranza e alla tenacia. Autodisciplina, allora, non è solo resistenza alla frustrazione, ma capacità di stare nel tempo lungo richiesto dalla formazione e dal perfezionamento.

5)Fare musica è un’esperienza di creatività. Non sembri ovvio il rimando all’esercizio della creatività. Tutto ciò ha senso proprio perché la musica è un’esperienza liberatoria, una palestra di creatività.

7)La musica allevia la fatica e allena alla durata. Fare musica, per questa sua capacità incantatoria, ci trasporta in un mondo non immediatamente regolato dallo scorrere del tempo ordinario.

8)La musica rende felici e appassiona. Ecco perché la musica è esperienza di felicità. La musica accompagna la festa, così come il dolore. La musica accompagna l’amore e la morte. La felicità che qui intendo non è il momento effimero della soddisfazione di un bisogno, la felicità è un’emozione associata alla sensazione di pienezza di sé che ci accompagna in momenti chiave della nostra vita.

 

A questo punto che fare? Quali pratiche pedagogiche mettere in campo per sviluppare ciò che la musica promette?

Propongo quattro azioni, quattro atteggiamenti che rimandano l’uno all’altro e, forse, possono sintetizzare la disposizione generale di una pedagogia musicale, come ho provato a delinearla fino a qui.

Innanzitutto ascoltare. Proporre un atteggiamento di ascolto, di curiosità, di apertura per il mondo musicale e per i suoni del mondo. Lo stupore del bambino per i suoni va curato e salvaguardato. Ascoltare è un gesto iniziale. L’ascolto è una pratica attiva, di continua restituzione di senso. Non è un atteggiamento passivo. Insegnare ai bambini ad ascoltare, non solo proporre ascolti. Per fare questo bisogna, innanzitutto, mettersi in ascolto come educatori.

Un secondo atteggiamento è quello del cercare. Aprire i bambini alla curiosità, a una positiva disposizione verso la ricerca. Dov’è la musica? In quali occasioni posso intercettarla? Che musiche ho intorno? Che persone ci sono nelle musiche che ho intorno? Cosa ci dice la musica delle persone che la fanno? Cercare la musica è un atteggiamento di ascolto, ascoltare veramente è fare ricerca. I due aspetti si richiamano e si legano a vicenda.

Una terza azione è quella di produrre musica. Fare musica è un gesto primario, che tutti i bambini devono poter provare. Si fa musica in molti modi: anche non convenzionali, ma sempre reinventati. Per i bambini è importante cantare, sempre, il più possibile, fin da piccolissimi. Rendere musicale la parola, masticarne il suono, saperne cogliere i toni e le sfumature che rendono il senso infinitamente più ricco. Suonare. Sempre. Sentire che il proprio gesto diventa suono. Inventare suoni nuovi, anche con gli strumenti più inusuali. Anche con lo smartphone.

La quarta azione, infine, ma non meno importante. Usare la musica, non aver paura di maneggiarla, giocare con la musica. La musica è gioco, un gioco da bambini direbbe Delalande. È un gioco così serio e pervasivo da riuscire a cambiare il corso del tempo. La musica, come il gioco, contiene in sé un elemento imprescindibile di libertà, perché la musica non ha alcuna utilità, ma riempie la vita di senso. Allora facciamo giocare i bambini con la musica e non smettiamo di giocare mai, anche da adulti.

 

Il testo è un estratto dell’articolo scritto da Riccardo Damasio, coordinatore del progetto La Scuola, una piazza della città, pubblicato dalla rivista Musica&Terapia.

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