#IORESTOACASA … IN TUTTE LE LINGUE

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La piazza per noi è come la scuola, un luogo dell’educazione, come la intende Tara Westover, uno spazio dove si può crescere anche quando le mamme che proteggono le loro figlie e i loro figli sono lontane, sono distratte, sono indisponibili, sono assenti, sono disturbate, hanno comportamenti disfunzionali.

E chi si occupa di educazione sa che questi non sono sinonimi e che questa assenza di competenze da parte delle figure genitoriali femminili fa eco ad un padre nuovo, che oggi sta cercando di nascere dalla sua radice patriarcale, dal gesto di Ettore, che desidera uscire dall’assenza e scoprire come articolare una personalità lontana dal machismo, dall’espressione che imita l’azione femminile con sgarbo.

Insieme a Michela Marzano lavoriamo ogni giorno per far crescere anche il mondo degli adulti, comprese noi stesse e le operatrici e gli operatori dell’educazione. Siamo entrate nel corpo con gli psicomotricisti, abbiamo esplorato i sentieri del nostro animo con le psicologhe, siamo uscite nei giardini Pavanello con le insegnanti della scuola statale e della scuola comunale, ci coinvolgevamo tutte e tutti, le educatrici del nido e le dirigenti scolastiche, le maestre e i collaboratori, le famiglie composte, ricomposte e scomposte con tutti i loro bambini e le loro bambine, bellissime, sorridenti e isteriche, con Diritti elusi e ritrovati.

Eravamo in un cammino di prossimità laddove le piazze che stavamo costruendo iniziavano ad avere un nome, un progetto successivo e ipotesi di accordi politici ed amministrativi.

La “Civiltà dell’Empatia” di Rifkin ci teneva lontani dal suo “Ecocidio”.

Tutte le nostre intenzioni stavano convergendo, i laboratori nelle scuole dell’infanzia si stavano realizzando ed eravamo lì lì, tutto il gruppo di lavoro, a cercare di interpretare la nostra fatica di tenere le nostre molteplici piazze aperte ed esserne noi stesse stessi al contempo una.

Ci siamo viste e visti tutti insieme, abbiamo coinvolto scuole intere, parlato con collettivi e famiglie, assistenti sociali ed esperti, gruppi di giovani e ragazzi: ecco che quel cancello avrebbe potuto essere aperto, il piano a più vani di quell’edificio regalato ad un quartiere o una Banca del Tempo scambiarsi cortesie.

E invece adesso no. E non sappiano neanche se ce l’avremmo fatta a scalare quella montagna di obiettivi che ci eravamo prefissati. Già difficili in partenza. Adesso no. Dobbiamo rimodulare la nostra vita, un progetto e sostenere tutte quelle azioni che possono salvare quei bambini, quei genitori, quegli educatori che abbiamo avuto la fortuna di conoscere.

Quelle piazze che hanno potuto iniziare a definirsi sono diventata virtuali. Ma se prima non fossero state vere, se non ci fosse stato un pregresso, un incontro, uno scambio, non ci sarebbe neanche Zoom, Skype o whatsApp.

Tra le righe delle nostre iniziative abbiamo sempre cercato di agire con intelligenza ecologica: abbiamo creato un giardino delle meraviglie in una scuola dell’infanzia e stavamo per riproporlo in un nido.

Adesso però non si tratta più di aprire una confezione di corn flakes e di smaltirne correttamente l’imballaggio.

Adesso dobbiamo restare a casa. In tutte le lingue.

 

Cristina Micali – Progetto La Scuola, una piazza della città, Comune di Genova  – Direzione Politiche dell’Istruzione per le nuove generazioni

 

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