Le dimensioni innovative del Progetto RESTART
di Redazione Istituto Toniolo
Marianna Giordano, assistente sociale di Fondazione Eos, ha moderato gli interventi del convegno “Ripartenze per la rete di prevenzione e cura delle vittime delle esperienze infantili sfavorevoli: il progetto RESTART”, che si è svolto a Salerno i il 7 dicembre scorso, un’occasione di confronto tra chi operativamente si sta occupando delle attività del progetto, gli interlocutori del mondo della politica e delle istituzioni nazionali e regionali, sui temi della prevenzione e del maltrattamento all’infanzia e alcuni rappresentanti del territorio che hanno condiviso lo spirito e gli obiettivi del progetto e che beneficiano delle azioni e delle attività previste.
Il convegno ha permesso di mettere a fuoco la dimensione innovativa del progetto RESTART, che si inserisce in una storia di buone pratiche ed esperienze realizzate nella nostra Regione da tanti anni, e già sistematizzate con una produzione scientifica, in particolare con il patrocinio con l’Università di Salerno.
L’innovazione che si propone è su tre dimensioni.
La prima dimensione è quella della crescita di una comunità di professionisti e territoriale che conosce il fenomeno delle Esperienze Sfavorevoli Infantili e le strategie di prevenzione, ma anche di fronteggiamento, e che quindi considera come prioritarie le opportunità – come quella offerta dal convegno – di costruire spazi di confronto di approcci, ma anche di punti di osservazione e punti di vista diversi: come quello di chi si chi occupa dei bambini e chi si occupa dei genitori; delle donne vittime di violenza o degli uomini autori di violenza; di chi esprime un servizio pubblico o di chi un servizio realizzato dal terzo settore.
La seconda dimensione innovativa, proposta e sperimentata nel progetto, è quella di creare luoghi
interdisciplinari innovativi in cui le operatrici e gli operatori che si occupano su diversi versanti – istituzionali e operativi – della presa in carico delle persone si possano confrontare, mettendo al centro l’interesse e il punto di vista delle persone di cui ci si occupano, per costruire dei percorsi di uscita dalle diverse forme di violenza, che abbiano come protagoniste le persone e che siano sostenibili.
La terza dimensione è quella strettamente operativa attraverso interventi rivolti alle bambine e ai bambini e ai loro genitori, interventi di valutazione, interventi di cura, interventi di home visiting, di gruppo che permettono di offrire a ciascuno, secondo le particolari esigenze e disponibilità, delle opportunità per elaborare le violenze subite per poter “attraversare la tempesta uscendone più forte”.
Alla luce di quanto è emerso nel convegno, dunque, risulta chiaro che, al di là della bontà di offrire alle bambine e ai bambini e ai loro genitori la possibilità di percorsi di cura delle Esperienze Sfavorevoli Infantili vissute, quello che diventa necessario, ed è emerso da tutti gli interventi e anche dalla Tavola Rotonda, è l’esigenza di mettere a sistema le buone pratiche, attraverso delle procedure che consentano di attivare interventi stabili a favore dei bambini vittime di maltrattamento e dei loro genitori.
Questo concretamente significa che è necessario, nel confronto anche con i modelli di altre regioni, come quello della Puglia, ad esempio, o del Veneto, capire come sia possibile rendere stabili, in Campania, dei centri specialistici che si occupino della valutazione e cura dei traumi reali subiti dai bambini. Per arrivare a un modello interessante e realistico per la nostra regione, può essere utile attivare un tavolo di confronto operativo con la Regione Campania, che al tavolo del convegno era rappresentata dalla dottoressa Bruna Fiola, presidente della Commissione per le Politiche Sociali; con gli Ordini professionali degli Assistenti Sociali e degli Psicologi, che hanno espresso un interesse rispetto a questa proposta, e anche con il coinvolgimento dell’Università. Tale confronto potrebbe consentire di costruire delle procedure di accreditamento per centri specialistici, che, attraverso un lavoro integrato con i Servizi Sociali territoriali di base e i servizi delle ASL, così come sono strutturati in Campania, possano garantire quel livello essenziale di assistenza che è la cura delle vittime.
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