“Farfalla Colibrì” il simbolo dell’educazione a distanza in tempo di emergenza

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Pronto soccorso educativo come primo avamposto per le famiglie in quarantena. Un vademecum di consigli, ma anche pieno di “poesia” perché quando ci sono di mezzo i bambini leggerezza e cura sono le parole giuste da usare.

 

Trovare le parole giuste, quelle che rassicurano e danno conforto, che consentono di vivere al meglio un tempo che sembra perduto e che invece può anche dare ricchezza e insegnare la capacità di adattamento. E’ questo l’intento del Pronto soccorso educativo redatto dal coordinamento pedagogico territoriale degli ambiti territoriali e sociali 16, 17 e 18 come primo avamposto per le famiglie in quarantena. Un vademecum di consigli, ma anche un libricino pieno di “poesia” perché quando ci sono di mezzo i bambini leggerezza e cura sono le parole giuste da usare.

E’ stato denominato “Farfalla Colibrì”: una curiosa falena che dalla farfalla ha preso l’agilità e la levità, dal colibrì lo spirito di squadra. E tutto questo si ritrova nel manualetto che assieme ad altre educatrici ha redatto Federica Di Luca, educatrice e responsabile dell’agrinido a San Ginesio nonché partner del progetto QUIsSICRESCE. Lei una sorta di “gavetta dell’emergenza” l’aveva già sperimentata con il terremoto, ora una nuova e diversa situazione di crisi da fronteggiare e con cui fare i conti: “avendo avuto già a che fare con un’interruzione dei servizi educativi a causa del sisma ho capito subito che ci saremmo trovati di fronte ad una prospettiva di crisi – spiega – senza sapere all’inizio se sarebbe stata una pausa o un’interruzione più ampia che apre scenari di trauma vero e proprio. Anche perché il mondo della scuola ha completamente ignorato la fascia 0-3 anni, con gli operatori lasciati a se stessi. Per questo abbiamo capito subito che si sarebbe creato un vuoto da sopperire e si è aperto un tavolo di lavoro che ha prodotto la stesura del vademecum”.

Un metodo prima che uno strumento cui attingere e che ha cercato di dare presenza e continuità ad un rapporto che era in essere. “Come prima cosa abbiamo fatto un monitoraggio dei servizi e delle esigenze con una serie di telefonate che ci hanno fornito una fotografia della situazione. Alcune buone pratiche erano state attivate, ma nella maggior parte le realtà educative erano a loro volta immobili e spaesate. E così per prima cosa, abbiamo delineato percorsi a step e individuato delle prassi di intervento e poi abbiamo spostato l’attenzione sulla cura. In primis del ruolo e della tenuta educativa e pedagogica in emergenza. Soprattutto delle fasce che in questa fase possono trovarsi in una situazione di povertà educativa perché emergono nuove fragilità che il mondo della scuola solo ora sta notando per la prima volta”.

Famiglie spesso allargate ai nonni e ad altri componenti si ritrovano ora chiuse in nuovi nuclei più stretti, genitori alle prese con lo smartworking, fratelli e sorelle con compiti e videolezioni stanno costruendo una nuova quotidianità. Da questa nuova routine però spesso sono esclusi proprio i più piccoli: “la parola dell’infanzia è la meno udibile – continua Di Luca – ma tracce di ciò che succede rimangono profondamente impresse nei bambini piccoli. E l’intervento a distanza delle educatrici è difficile perché in questa età i piccoli hanno bisogno di presenza e di concretezza. Da qui la domanda “che fare” perché ci troviamo nel paradosso di dover dare presenza, ma di non poterlo fare “in presenza”. E questa variabile va messa in relazione a quella del tempo. Per quanto tempo la tenuta degli adulti riuscirà a tenere sotto controllo la situazione? Tutte domande che aprono scenari profondi. Questo tempo va elaborato perché non è vero che non lascia traccia, anzi lascia una traccia più profonda. E allora chiediamoci come stiamo, come ci posizioniamo rispetto a questa storia. Tra le pratiche che abbiamo suggerito c’è quella del diario giornaliero, una abitudine del racconto e della scrittura come cura per rendere presente ciò che stiamo vivendo”.

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