La comunità educante protagonista di una nuova storia da scrivere

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Contributo a cura di Fabio Riganello della Cooperativa Agorà Kroton Onlus -A due anni dal ciclone Covid – che ci ha travolto trovandoci impreparati e lasciandoci inermi davanti a una emergenza sociale e sanitaria che non saremmo mai riusciti ad immaginare se non nelle trame di qualche film – ci ritroviamo ancora ansimanti, davanti alle diverse ondate del virus, dando la sensazione di navigare a mare aperto.

Come sempre, in queste situazioni, chi ne paga le conseguenze sono gli studenti e le fasce deboli.

Con l’inizio del nuovo anno scolastico noi tutti, genitori ed operatori del terzo settore (ma anche insegnanti), speravamo di trovare una scuola con una chiara strategia che non solo garantisse la presenza in aula degli studenti di tutte le età ma che, al contempo, mettesse in piedi tutte le azioni finalizzate a far recuperare quanto perso, dal punto di vista sociale, formativo ed educativo, dai nostri giovani. Tutto questo, inspiegabilmente, è stato disatteso e non per colpa delle scuole ma di una mancanza di visione e di metodo da parte del Governo centrale.

Ad oggi le scuole fanno fatica a recuperare lo iato che si è prodotto tra istituti, classi, bambini/e nei due anni che ci hanno preceduto e che, grazie alla DAD e alla DID, ha potuto manifestare i diversi volti dell’esclusione sociale ed educativa e che la rete (internet) ha ingigantito creando, contemporaneamente, una dimensione di abbandono e spaesamento non solo sui minori ma anche sulle famiglie “deboli”, nonostante il buon lavoro fatto da alcune scuole, da molti docenti e dal terzo settore nel cercare di arginare tale disagio.

Andrea Morniroli, responsabile dello staff del ForumDD, in una sua affermazione dice: “In primo luogo credo che vada messo mano a quelle disuguaglianze di opportunità che determinano questa situazione, ed essendo questo un problema multifattoriale c’è bisogno di politiche organiche, dove la scuola è al centro ma non è sufficiente e quindi va investito sulla comunità educante con politiche di contesto e di sviluppo: partire dalla scuola per produrre sviluppo locale. In secondo luogo, la scuola è un luogo dove accompagnare l’istruzione con politiche educative, che diano ai ragazzi quelle competenze di base trasversali per essere più liberi, per essere cittadini responsabili, altrimenti anche ipotesi di investimento robusto sulla formazione e sul miglior rapporto tra scuola e mondo del lavoro, rischiano di creare più possibilità di occupazione ma di non incidere su alcune derive preoccupanti di questo paese…” .

Morniroli continua sostenendo che: “La scuola deve dare strumenti perché uno non cada in queste trappole. Terza questione, servono politiche organiche dello Stato sulla scuola che stabiliscano delle cornici, ma dove poi siano i territori e le esperienze ad insegnare come si fa buona scuola. Questo è fondamentale perché altrimenti quelli rimangono piccoli sogni che non diventano politiche di sistema e dall’altra parte rischi di fare politiche nazionali che non incidono realmente sui territori”.

Si sente il bisogno di una strategia complessiva, lungimirante, che si fonda su uno sviluppo educativo locale e che, finalmente, crei reali, efficaci Patti educativi territoriali, con la scuola che assume un ruolo centrale.  I Patti educativi possono incidere davvero sul territorio con una programmazione e strutturazione di interventi tesi a valorizzare e sostenere le comunità territoriali, a recuperare le disuguaglianze create e a sostenere le famiglie “deboli”.

In altre parole: dare una volto reale e forte alla comunità educante che deve ragionare, promuovere e attivare azioni che possano rispondere alle diverse istanze dei territorio quali la cura alla persona, il diritto all’ istruzione/formazione, alla cultura, all’intrattenimento e molto altro.

Questo può andare ad incidere molto nelle “aree marginalizzate” (periferie urbane, aree interne, campagne deindustrializzate) dove la rappresentanza e la presenza delle istituzioni è sempre più debole ed inefficace.

Per quanto detto, noi del progetto PRIMA I di fronte a questa situazione di stallo abbiamo deciso di continuare ad operare – sempre nei limiti che garantiscono la salute di tutti – per ridurre il “disagio” generatosi negli ultimi due anni (e se ne vedono le conseguenze) innanzitutto per operare in azioni che promuovano ben-essere e ultimo ma non secondario riattivare la popolazione per tornare, ora più che mai, protagonista di questa nuova storia!

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