“Figli di nessuno”, di Pasquale Guadagno: un racconto di perdita, coraggio e rinascita
di cooperativasocialeiside
“Figli di nessuno” di Pasquale Guadagno è un memoir intenso che racconta la storia di una perdita, ma anche di una rinascita difficile e coraggiosa. Attraverso il racconto, Pasquale dà voce a chi resta dopo la violenza e affronta la morte della madre per mano del padre, la solitudine, la lotta contro la depressione e il lungo cammino verso la consapevolezza di sé.
Nell’ambito del progetto Orphan Of Femicide Invisible Victim, abbiamo voluto dedicarci alla lettura di questo libro riflettere sulla responsabilità, individuale e collettiva, nel riconoscere le radici della violenza e le conseguenze che questa genera nella vita di chi sopravvive.
Tu si’ ‘a certezza ca me fa ‘mpazzì: “Sei la certezza che mi fa impazzire”. Recita così un verso di una vecchia canzone napoletana che Salvatore Guadagno ripeteva ai suoi figli, come se potesse racchiudere tutto l’amore che provava per la moglie Carmela. Ma dietro quelle parole si nascondeva un’idea distorta, dove il bisogno di possesso prevaleva sulla cura e sul rispetto.
In Figli di nessuno, nuovo libro edito da Rizzoli e scritto in collaborazione con la giornalista Francesca Barra, Pasquale Guadagno racconta una storia difficile. Aveva 14 anni quando, nella cucina di casa, ha perso sua madre Carmela per mano del padre Salvatore. Un gesto che ha lasciato lui e sua sorella Annamaria a convivere con una doppia perdita: quella della madre e quella del padre.
Il libro ricostruisce anche il percorso di Carmela: rimasta orfana di madre a soli sette mesi, a causa di un altro atto di violenza domestica, era cresciuta con i nonni materni, figure che le avevano garantito affetto e protezione. A sedici anni aveva conosciuto il suo futuro marito, insieme al quale si era poi trasferita in Friuli.
Andare avanti, tra difficoltà e mancanze
Con uno sguardo sincero, Pasquale racconta la fatica di crescere sospeso tra il dolore, la rabbia e la necessità di costruire una strada diversa. Dopo la tragedia, ha vissuto per un anno e mezzo con la nonna e la zia paterne, nella casa accanto a quella dove tutto era accaduto. Una convivenza segnata da condizionamenti pesanti, dove gli veniva imposto di visitare il padre in carcere regolarmente.
Accanto al racconto familiare, l’autore riflette su come certe esperienze di umiliazione e mancanza abbiano influito anche sul suo rapporto con il denaro. Da bambino, ricorda, durante un pranzo a ristorante, suo padre al momento di pagare il conto lo indicò alla cameriera dicendo “paga lui”, provocandogli una vergogna così forte da spingerlo a scappare via, rincorso per tutto il paese. Dopo l’arresto del padre, Pasquale insieme alla sorella sperimenta la povertà e la sensazione di essere abbandonato. Il primo stipendio rappresenta per lui un riscatto, ma anche una nuova fragilità: comprare una borsa o un paio di scarpe diventava un gesto necessario, da mostrare sui social come forma di riconoscimento.
Fare i conti con il proprio passato
La morte della madre è rimasta a lungo un dolore non elaborato. Per anni, Pasquale non ha pianto, cercando di cancellare il passato con una vita di eccessi: alcol, droghe, feste, shopping compulsivo e relazioni inutili. “Volevo punirmi”, scrive. Sprofondava deliberatamente, cercando di toccare il fondo per capire fino a dove poteva arrivare prima di rompersi del tutto.
Il punto di rottura è arrivato una sera, in un locale a Milano: “qualcosa improvvisamente dentro di me ha ceduto”. Un dolore fisico, incontrollabile, lo ha colto all’improvviso, facendogli temere di morire. Era il primo attacco di panico, che allora non sapeva riconoscere. Da quel momento, depressione e ansia si sono fatte sempre più presenti.
In quel periodo buio, oltre alla sorella, alcuni amici sono stati per lui un appoggio essenziale: “Venivano da me, si assicuravano che mangiassi qualcosa, che mi lavassi, che mi alzassi dal letto”. Un gesto di cura silenziosa, che ha fatto la differenza nel momento in cui tutto sembrava perduto.
La svolta è arrivata dopo un viaggio in Macedonia. Tornato a Milano, Pasquale ha chiesto aiuto alla sorella, che gli ha dato il contatto della sua terapista. Qualche settimana dopo ha iniziato un percorso di psicoterapia. Un passo alla volta, guidato dalla terapeuta, ha cominciato a guardare negli occhi il dolore che aveva cercato di seppellire.
Tornare dove tutto era iniziato e affrontare le radici del suo male ha significato riconoscere che il passato, anche se nascosto, continuava a battere i pugni per farsi sentire. Ignorarlo non era mai stata davvero una possibilità: il dolore trova comunque il modo di emergere, nei modi peggiori.
Lo Stato dov’è?
A rendere ancora più difficile il percorso, c’è stata l’assenza dello Stato e delle istituzioni. Pasquale racconta con amarezza come, durante il continuo peregrinare da una casa all’altra — prima dalla sorella, poi dal fidanzato, infine in affitto —, nessuno abbia ritenuto di dover intervenire per sostenere due ragazzi rimasti senza nulla. “Nessuno ci ha aiutato”, scrive. “Lo Stato, il Comune, nessuno”.
La sensazione di essere lasciati soli si è ripresentata anni dopo, in modo ancora più doloroso, quando Pasquale e Annamaria hanno tentato di spostare la tomba della madre per riunirla a quella della nonna. Nonostante la volontà dei figli, la legge stabiliva che la decisione spettasse al vedovo, l’assassino. Hanno dovuto affrontare una lunga battaglia legale, spendendo soldi per avvocati, prima di ottenere la firma del padre. “Come può lo Stato diventare complice di questo?”, si chiede Pasquale. La speranza, scrive, è che in futuro le vittime possano almeno avere giustizia su questi aspetti: che la legge tolga immediatamente i diritti dell’assassino sulla vittima, senza costringere chi resta a lottare anche contro la burocrazia.
Nel libro emerge anche una riflessione lucida sulla relazione col padre: un uomo incapace di guardarsi dentro, dominato da traumi mai affrontati. Pasquale si chiede se la mancanza di un’educazione ai sentimenti abbia reso inevitabile quella tragedia. E arriva a una conclusione dolorosa: se suo padre avesse imparato a riconoscere e gestire il proprio dolore, forse sua madre si sarebbe potuta salvare.
Oggi, a distanza di anni, Pasquale afferma con chiarezza che sua madre è stata una vittima, come riconosciuto anche dai documenti ufficiali. E spera che anche suo padre, che l’aveva definita “cosa propria”, abbia letto quelle parole.
Abbiamo bisogno di cambiare
Figli di nessuno non è solo il racconto di una perdita, ma anche di una scelta consapevole: spezzare la catena, non ripetere gli stessi errori, costruire una vita nuova.
Accanto alla dimensione personale, il libro apre anche una riflessione collettiva: sul silenzio che circonda la violenza, sulla solitudine delle vittime, sulla necessità di una cultura capace di educare ai sentimenti e al rispetto.
È un libro consigliato a chiunque voglia capire quali ferite profonde e quali strascichi lasci dietro di sé l’idea che l’altro sia una nostra proprietà e non una persona con volontà, desideri e capacità decisionale propri. Una lettura particolarmente importante anche per gli uomini, per interrogarsi sul proprio ruolo nel costruire — o cambiare — una cultura delle relazioni basata sulla libertà e sulla dignità reciproca.
Un libro che invita a guardare senza filtri cosa resta e cosa può ancora nascere dopo che la violenza ha spezzato una vita.