Comprendere l’insuccesso in un momento in cui i social inducono al successo

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Patrizia Graziano: dirigente scolastica Istituto d'Istruzione Superiore "Ugdulena" di Termini Imerese

Gli alunni e le alunne dell’Istituto di Istruzione Superiore “G.Ugdulena” di Termini Imerese sono stati guidati a scoprire la stretta connessione tra scienze, tecnologia, arte, matematica e aspetti pratici della vita quotidiana, quindi, a comprendere l’utilità di queste discipline, la cui bellezza sta proprio nel procedere per tentativi ed errori, come si fa nella vita. Si è concluso il primo anno del progetto “Obiettivo 4C”, che prevede la sperimentazione di metodologie didattiche innovative nei percorsi curriculari e la messa a punto di percorsi extracurriculari, che valorizzino gli studenti come risorsa e li motivino nella crescita educativa e culturale. Il percorso abbraccia le “4 C” identificate come chiave nell’istruzione del ventunesimo secolo, altamente spendibili sul mercato del lavoro: creatività, collaborazione, pensiero critico e comunicazione. «Non è facile comprendere che, attraverso l’insuccesso, il sacrificio e l’errore si può crescere, procedere, rialzarsi e andare avanti», spiega la dirigente scolastica Patrizia Graziano. «È difficile in un momento sociale in cui i social media ti inducono alla ricerca e al raggiungimento del successo, dei guadagni facili e della visibilità».

Quali sono le azioni da mettere in campo?

«Fondarsi su sani principi e valori: la scuola va fondata sulla lentezza, sulla capacità di apprendere e relazionarsi, sulla possibilità di avere uno sguardo e un pensiero che sia reale, non artefatto. Un percorso che andrebbe fatto insieme alla famiglia».

Le famiglie sono sempre presenti?

«Non sempre. A volte la famiglia rappresenta l’anello debole della società. Noi abbiamo il dovere di trasmettere agli studenti e alle studentesse tutti gli aspetti dell’esistenza. L’esistenza è fatta di tempo: a volte è veloce, ma è anche lento. La scuola è fatta di impegno».

Cosa significa?

«L’impegno non è solo “impegnarsi per raggiungere il successo”. L’impegno ha bisogno di costanza e continuità. Come scuola abbiamo il dovere di affrontare tutte le categorie dello sviluppo, della crescita, dell’apprendimento e affrontarle con senso di realtà, non con la fantasia. La fantasia è qualcosa che ci aiuta a sognare, immaginare e migliorare, però bisogna discostarsi il meno possibile dalla realtà. Ci sono dati scientifici secondo cui bisogna assolutamente conoscere e integrare al proprio modo di essere e di vivere».

È terminato il primo dei tre anni del progetto “Obiettivo 4C”. Quanto è importante in una realtà come quella dell’Istituto “G.Ugdulena” di Termini Imerese allargare l’offerta formativa, con l’inserimento di diversi laboratori?

«Al progetto “Obiettivo 4C” ci ho creduto sin da subito. Quando mi è stato proposto di essere partenariati per la richiesta di questo finanziamento, ho aderito subito e sottoscritto con l’autorizzazione del Collegio dei docenti e del Consiglio la rete di scopo. Credevo in tutte le azioni che questo progetto avrebbe fissato o, per lo meno, che si sarebbero svolte nella scuola con gli alunni e le alunne, all’importante ricaduta sulla loro crescita, sul loro apprendimento e sulla loro possibilità di vivere in maniera più attiva la scuola».

Quanto sono importanti i laboratori curriculari ed extracurriculari per accrescere il livello di partecipazione e la capacità di apprendimento degli studenti con lo scopo di aiutarli ad assumere un atteggiamento più rispettoso, accrescendo competenze psicosociali e un contesto tra pari più favorevole?

«La scuola è fatta principalmente di curriculum. I docenti sono sempre abbastanza solerti e anche molto presi nella realizzazione dei programmi, delle attività che danno loro delle basi specifiche e delle buone basi per poter affrontare poi tutti gli sbocchi e gli studi futuri. Però, non può essere fatta solo di curriculum, ci vuole anche l’extracurriculare. A volte i ragazzi e le ragazze non riescono a vivere esperienze che possano aiutarli al di fuori della scuola. Quindi la scuola deve prendersi cura di loro. Tengo molto ai progetti perché so che in orario extracurriculare riesco a dare agli studenti e alle studentesse quel surplus che non è “superfluo” tempo impiegato per saperi, conoscenze e competenze, le stesse che si apprendono dalle attività curriculari».

Gli abbandoni precoci nell’ambito scolastico in Italia sono stati nel 2021 il 12,7% (fonte Openpolis). Il Belpaese è terzo Ue per quota di giovani che hanno lasciato prima del diploma o di una qualifica. Quale soluzione?

«Sono stata per sette anni dirigente del CPIA (Centro Provinciale per l’Istruzione degli Adulti). So quante persone, oggi, abbandonano gli studi. Nel nostro istituto ci sono due percorsi di istruzione per adulti, il liceo artistico e l’Ipsseoa e rappresentano il nostro fiore all’occhiello, perché stanno ritornando tra i banchi molti adulti che vogliono rimettersi in gioco. Con una nuova maturità e con una nuova ottica studiano, apprendono e frequentano la scuola. Tutto ciò è veramente un fenomeno sensazionale».

Per quanto riguarda i minori?

«Il tasso di abbandono nella mia scuola è veramente ridottissimo. Noi facciamo di tutto, non soltanto durante le ore curriculari ma, soprattutto, utilizziamo questi e altri espedienti progettuali per fare in modo che i ragazzi e le ragazze non avvertano il peso di frequentare una scuola che vedono lontana e irraggiungibile per le loro capacità o competenze di base. Cerchiamo sempre di fare in modo che la scuola raggiunga loro. È giusto camminare tutti insieme, non uno in meno e in tutti gli indirizzi di scuola, anche il liceo classico. Non sono solita favorire il cambio di indirizzo, perché una buona scuola che forma deve raggiungere e coinvolgere tutti, se la scuola è veramente formativa non può lasciarsi scappare nessuno, non può fare a meno di nessuno».

Il 51,2% della prima tranche delle risorse del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) è stata destinata a istituti scolastici di Sud e Isole. Quali potrebbero essere gli ingredienti giusti per riformare la scuola (dalle strutture alla dispersione scolastica) per colmare il divario Nord-Sud?

«Il gap Nord-Sud non lo può colmare soltanto la scuola e, purtroppo, è stato creato da tutte le componenti che rientrano nella vita di un individuo, quindi sono tanti i problemi. È il sistema industriale che al Meridione non ha funzionato e la famiglia sta risentendo di una forte crisi in questo momento storico. Negli anni si è creato uno stile di vita diverso: il Nord rispecchia o rispetta stili di vita totalmente diversi da quelli del Sud, anche per una questione climatica, politica, storica e generazionale. Questo non significa che ci sia un meglio o un peggio. Nel Mezzogiorno dobbiamo crescere e sviluppare su determinati aspetti. Nel frattempo, dobbiamo difendere aspetti che sono preziosi. Forse c’è stato solo uno sviluppo di tipo strutturale e in servizi, ma è una questione di mentalità».

In che senso?

«La mentalità è necessariamente diversa perché ci alimentiamo di altri “cibi”, siamo diversi. Però, questa diversità deve essere valorizzata. È un dato di fatto che al Sud si registrino molti più abbandoni rispetto al Nord, quest’ultimo da sempre è stato più abituato e avvezzo alle regole. Noi siamo più creativi, solari, individualisti e isolati. Quest’ultimo aspetto ci induce, a volte, a una forma di individualismo che ci porta anche ad ottenere forse meno traguardi. Però, di contro, ci sono tanti aspetti positivi che nella società del Nord non esistono. Bisogna lavorare sul potenziale della nostra popolazione scolastica e su quello sociale. La nostra società deve essere più ordinata e rispettosa delle regole. Convoglierei nelle norme tutti gli stili di vita, perché noi abbiamo una discrasia tra il vivere e il rispettare le regole. Queste due cose non possono essere separate, devono essere convogliate nella stessa direzione».

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