OASI, un percorso per ritrovare senso e costruire comunità educative
di istitutominotauro
Di fronte a un dolore adolescenziale sempre più difficile da riconoscere e raccontare, il progetto OASI sceglie di non rincorrere l’emergenza, ma di creare contesti, relazioni e reti educative affidabili che possano accompagnare i ragazzi nella complessità del loro tempo.
Per affrontare il disagio psicologico non bastano strumenti tecnici o protocolli. Serve una comunità che si faccia carico della persona e adulti capaci di restare accanto a chi attraversa una situazione di difficoltà.
I primi interventi previsti riguardano l’apertura di presìdi educativi diffusi sul territorio: spazi accessibili dove adolescenti e famiglie possano trovare ascolto, orientamento, strumenti per affrontare fragilità scolastiche, emotive e relazionali. Punti di riferimento abitati da figure adulte stabili, capaci di suscitare attrattiva perché ricchi di significato e di bellezza.
OASI dedica ampio spazio anche al coinvolgimento di famiglie e educatori: saranno affiancati attraverso percorsi e laboratori pensati per rafforzare il dialogo e riconoscere risorse educative spesso già presenti ma disorientate. In un tempo in cui molti ragazzi si sentono invisibili, ogni spazio di parola e di vita condivisa diventa una forma di cura, di sostegno e di rilancio. L’obiettivo è offrire non solo strumenti teorici, ma occasioni dove attraverso l’esperienza, si possa ritrovare il senso del proprio ruolo, imparando a leggere il sintomo come segnale, e non solo come problema.
Il progetto promuove un modello integrato e replicabile, fondato su una “cabina di regia” multiprofessionale, che include rappresentanti di tutti gli enti coinvolti e si riunisce con cadenza regolare per monitorare l’avanzamento delle attività. La rete comprende scuole, servizi territoriali, associazioni, consultori e Comuni: soggetti diversi, chiamati a contaminarsi per generare un cambiamento possibile.
Perché se il disagio è complesso, la risposta non può che essere data da un “insieme”. Non pretendiamo di “risolvere” il disagio, ma scegliamo di abitarlo insieme, per riaccendere lentamente nei ragazzi – e negli adulti che li accompagnano – una possibilità.
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