Il Centro Educativo Territoriale “The Tube”: Seconde Generazioni e Prevenzione dell’Abbandono Scolastico

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Questo articolo descrive il lavoro di tesi svolto per il Master in in cooperazione internazionale e inclusione educativa : nuove sfide professionali svolto presso l’Università di Bologna dall’Educatrice del Centro The Tube. 

 

 

A circa due anni dall’apertura del Centro Educativo Territoriale The Tube presso la città di Fermo, sempre più ragazzi e ragazze della fascia tra i 10 e i 17 anni residenti sul territorio hanno aderito alla proposta offerta dal servizio. Quest’ultimo è stato promosso dall’Associazione Mondo Minore Onlus della Comunità di Capodarco di Fermo, come previsto dal progetto “ No Neet – Il principale problema che ha la scuola sono i ragazzi che perde”, rientrante nel Bando Adolescenza indetto dall’impresa sociale “Con i Bambini”, al quale hanno aderito organizzazioni del Terzo Settore e le Scuole.

I principali portatori d’interesse sono stati ragazzi e ragazze di seconda generazione migrante e le loro famiglie. Si è quindi voluto procedere con una ricerca, volta a indagare le peculiarità di questi ragazzi e i percorsi migratori dei loro genitori. Attraverso un questionario qualitativo autosomministrato, è emerso che per un totale di cinquantatre ragazzi e ragazze, trenta sono di seconda o terza generazione, andando a costituire il 56,6% dell’utenza, di cui il 66,7% è di genere maschile e 33,3% di genere femminile. Le nazionalità più presenti tra i loro adulti di riferimento sono quella marocchina, albanese, romena, polacca e quella cubana.

Quasi nella totalità dei casi abbiamo famiglie caratterizzate dalla presenza di entrambi i genitori, ma molto spesso il ruolo attivo nell’educazione dei figli viene svolto dalle madri; ai padri viene consegnato principalmente il compito del sostentamento economico, oppure rivestono un ruolo marginale. Ciò accade poiché tra le famiglie non miste, che costituiscono il 50%, prevale il modello della famiglia “spezzata” e poi ricongiunta: nella quasi totalità dei casi sono i padri ad essere migrati per primi, mentre le mogli e i figli hanno successivamente assunto lo status di familiari ricongiunti (36,4%).

Come sappiamo dalle teorie sull’assimilazione studiate da sociologi come Portes e Rumbaut nel corso del ‘900, risulta centrale il ruolo della comunità educante nel permettere ai ragazzi un processo di acculturazione privo di ostacoli. Tra i ragazzi del The Tube, il 26, 3% dei ragazzi afferma di non poter contare sull’appoggio di parenti che vivono in Italia, mentre il 73,7% sostiene che i genitori si rivolgono a parenti che a loro volta sono emigrati qui se hanno bisogno di supporto. Le famiglie che maggiormente possono contare su questo ammortizzatore sociale sono quelle provenienti da Marocco, Albania, Romania e Polonia, mentre chi maggiormente soffre l’isolamento con conseguenze in termini di integrazione socio-culturale, riuscita scolastica e autostima sono coloro che sono provenienti da Moldavia e Kosovo.

All’interno di questo campione di ragazzi e ragazze che abitualmente frequentano il centro, sono state fatte delle osservazioni su casi specifici. In prima istanza il caso di A., studentessa nigeriana di 16 anni, arrivata in Italia nel 2019 con madre e fratello attraverso ricongiungimento familiare. Attraverso il suo percorso sono state analizzate le strategie dicoping utilizzate dai ragazzi che arrivano in una società percepita come “a integrazione

limitata”. Infatti P. utilizza la strategia di temporaneizzazione e del disinvestimento emotivo per evitare la sofferenza derivante dallo strappo subito a causa della migrazione per necessità familiari.
Altresì interessante è il caso di M., figlio di una coppia mista polacco-marocchina, con il quale è stato fatto un intervento di prevenzione dell’abbandono scolastico, cercando di ricucire il rapporto con i professori in un momento difficile di vita familiare. Attraverso vari incontri con il personale scolastico, si è potuto lavorare in ottica sistemica e coinvolgere la scuola, la famiglia e il centro stesso nella costruzione del suo percorso educativo, facendo percepire al ragazzo la volontà di aiutarlo e comprenderlo, successivamente ad una situazione in cui si era sentito discriminato. Questo è solo uno dei tanti interventi che possono prevenire derive devianti per questi ragazzi.

Infine si è potuto analizzare il cosiddetto “gruppo dei grandi”, che frequenta il centro solo il venerdì, ma che è stato supportato in questo anno difficile dovuto alle misure di contenimento del Covid-19, che hanno visto la chiusura delle scuole superiori per periodi prolungati. All’interno di questo gruppo sono state osservate dinamiche riguardanti l’appartenenza a famiglie di origine straniera, in particolare a proposito di peculiari ruoli di genere, con tratti tipici delle relazioni di strada. Nelle conversazioni informali con gli educatori emergono infatti racconti di conflitti tra gruppi contrapposti, che terminano con azioni violente per questioni di “onore” o “rispetto”. Questi gruppi, che si articolano come vere e proprie gang giovanili, hanno il vantaggio di garantire protezione ai loro membri, laddove il capitale sociale familiare risulta essere disgregato e instabile. All’interno del centro si cerca pertanto di lavorare all’incrementazione di migliori strategie di risoluzione dei conflitti, in vista del passaggio da un capitale di tipo bonding ad uno di tipo bridging, in modo da trasformare il gruppo in una risorsa per questi giovani.

Lo studio all’interno del Centro Educativo The Tube ha permesso di estrapolare alcune riflessioni per future ricerche e interventi che offrano a questi giovani un accompagnamento solido. Questi ragazzi, ancor più dei loro coetanei, necessitano di figure di riferimento che possano investire su di loro, che fungano da specchio e in cui identificarsi, insomma «che funzionino da vettori orientativi nella definizione di un proprio progetto esistenziale»1.

E’ ancor più necessario che la comunità educante sia in grado di mettere l’accento non solo sui progetti migratori che caratterizzano le vite dei ragazzi di seconda generazione, ma anche sulle risorse soggettive e sulle ambizioni personali. Appartenere a una comune generazione non vuol dire avere un destino e una storia identica. La definizione stessa di “seconda generazione” comprende vissuti estremamente eterogenei:« le indagini etnografiche hanno condiviso la medesima postura teorica, tesa a non considerare le identità e le appartenenze come oggetti fissi e immutabili, come destini derivanti meccanicamente dalle appartenenze nazionali o etniche, ma come costruzioni sociali che si definiscono in rapporto tanto a dimensioni strutturali ( discorsi dominanti, leggi, ecc.) quanto a fattori contestuali, tra cui diventano cruciali le specificità biografiche e generazionali»2.

E’ importante sottolineare che ad oggi ci troviamo di fronte ad una generazione che assume caratteristiche sempre più transnazionali, come sottolinea Enzo Colombo in Figli di migranti

in Italia. Infatti l’intensificarsi della globalizzazione ha ampliato le possibilità di connessione con contesti sovranazionali, portando quindi a considerare le prospettive locali come limitanti. In questa nuova visione si abbandona il concetto di “nazionalismo”, che colloca lo studio dei processi sociali all’interno dello stato. Se, secondo Sayad, il migrante non apparteneva né al luogo di partenza, né a quello di arrivo, ora si può affermare che si trova invece ad abitare entrambi e a non identificarsi in nessun confine, ma in tutti e due. Questo tipo di perdita di confini può anche avere risvolti problematici e generare conflitto, poiché l’esperienza di un migrante si trova sul versante opposto di chi abita una realtà locale e autoctona. Questi ultimi sono più interessati a difendere dei privilegi assicurati dall’esistenza di frontiere, restano ancorati alla retorica delle radici e dell’appartenenza, mentre i primi sono interessati ad abitare più identificazioni e tendono a una libera mobilità. La retorica della differenza è portata avanti solamente a scopo politico, al fine di mantenere etichette negative che mantengono le esclusioni e le discriminazioni. L’esperienza dei figli dei migranti quindi è da collocare nel contesto delle trasformazioni contemporanee, le competenze che acquisiscono sono da valorizzare come skills che ogni giovane d’oggi dovrebbe aspirare ad avere per uscire da una posizione di marginalità.

Pensare all’inclusione dei giovani di seconda generazione vuol dire poter tracciare un progetto formativo in cui il talento di ciascuno sia riconosciuto e valorizzato, iniziando dalla propria storia. L’inclusione educativa in questo caso fornisce strumenti e contesti adatti, oltre a permettere di costruire le condizioni per esprimere le proprie risorse, esplorando le loro possibilità. Il The Tube si configura come quello che Davide Zolletto definisce “laboratorio pedagogico privilegiato”3, poiché favorisce la lettura e l’interpretazione dei vissuti personali, mettendo al centro i bisogni delle famiglie e supportando l’istituzione scuola con una continua interazione delle parti, potendo solo così co-costruire percorsi di resilienza.

di Alessia Grieco

1 Barone P., Pedagogia dell’adolescenza, Milano, 2009, p.105
2 Tarabusi F., Figli dell’Italia, figli dell’immigrazione, Percorsi etnografici tra gli adolescenti di origine straniera, in Educazione Interculturale, Vol. 10 n.1, Edizioni Centro Studi Erickson, 2012, p. 25

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