“Freire in pratica: l’esperienza del Centro popolare di cultura e sviluppo in Brasile”

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Il Centro popolare di cultura e sviluppo (CPCD) si trova nella città di Curvelo (Minas Gerais, Brasile) e  ha come obiettivo la promozione dell’educazione popolare e dello sviluppo comunitario. Sebastião Rocha, conosciuto come “Tião”, ha fondato il centro nel 1984 ed è il direttore fino ad oggi.

 

D: Ci racconta la storia della nascita di questo progetto educativo?

R: Dopo tanti anni di esperienza come docente, prima a scuola e poi all’Università, ho deciso di abbandonare la carriera da professore. Ho avuto un insight (in portoghese, “clarão”) e mi sono detto: non voglio più fare il professore, voglio essere un educatore. Molti amici mi dicevano “ma qual è la differenza, è la stessa cosa…”, ma per me sono due cose differenti. Professore è quello che insegna, l’educatore è quello che apprende. Mi sono detto: è ora di lasciare l’insegnamento e passare dalla parte dell’apprendimento. Volevo continuare ad apprendere e apprendere sempre. Ero dentro ad un’istituzione e mi sono accorto che quell’istituzione non voleva essere un luogo di apprendimento, quindi mi sono reso conto di essere nel posto sbagliato e ho dato le dimissioni.

Nella regione del Minas Gerais dove vivevo c’era molta povertà e spesso mancavano le scuole. Ho partecipato all’epoca ad un programma radio in cui ho parlato della possibilità di fare educazione senza scuola. Avevo iniziato ad interrogarmi sulla possibilità di creare spazi educativi ovunque, anche sotto ad un albero da mango. Il conduttore radio era  sorpreso dalle mie idee e mi ha fatto una serie di domande, insistendo molto su la fattibilità del progetto e sull’eventuale partecipazione di altre persone. Ho deciso allora di indire un incontro: prima della conclusione della trasmissione, ho lanciato un’idea e ho proposto agli ascoltatori interessati una riunione per la settimana successiva in un posto preciso. Si sono presentati in ventisei, tra studenti, insegnanti, pensionati e curiosi. La riunione si è estesa e invece che un solo pomeriggio, ci siamo visti per giorni di  fila.

Quando abbiamo iniziato a lavorare e abbiamo formato la prima équipe, ci siamo riuniti e ci siamo chiesti se fosse possibile fare educazione senza scuola.  In quel primo momento, mi sono accorto che tutti noi parlavamo non della scuola che ci sarebbe piaciuto avere, ma parlavamo della scuola che avremmo preferito non aver avuto. Ci eravamo concentrati sui non-obiettivi educativi, su cosa non volevamo che succedesse – per esempio, pensare i bambini come delle pagine bianche da riempire. Abbiamo impiegato del tempo per “dis-apprendere”, per mettere via tutte quelle dinamiche molto radicate. Abbiamo iniziato a renderci conto che avevamo bisogno di costruire un obiettivo.

Con il tempo, abbiamo iniziato anche a invitare bambini ai nostri incontri, in modo da raccogliere anche i loro punti di vista e capire quali erano le loro aspettative. Tutte le riunioni si tenevano in cerchio, e l’opinione di ciascuno dei partecipanti aveva un peso equivalente. Alcuni bambini ci hanno chiesto anche di andare presso le loro abitazioni, così la discussione si è allargata ancora di più.

Dopo dieci mesi di incontri e di lavoro, siamo riusciti ad elaborare un programma con degli obiettivi chiari.  Noi volevamo avere un verbo da poter coniugare, non utilizzare solo l’infinito. Abbiamo quindi utilizzato Paulo Freire, ed il verbo è diventato “paulofreirar”, che si può coniugare solo all’indicativo presente. Eu paulofreire, tu paulofreiras, ele paulofreira, nós paulofreiramos, vós paulofreirais, eles paulofreiram. Non c’è “paulofreiererò” né “paulofreirerei” – è nel presente, è ora, è apprendere mentre si fa.  È la pedagogia della speranza, è la pedagogia dell’autonomia, è il rispetto, è la solidarietà , è l’affetto, è la cultura come strumento di dialogo, è la riflessione continua, è questo esercizio costante.

 

 

D: Qual è l’obiettivo di questo centro? Cosa si impara e cosa si insegna qua?

R: Quello che insegniamo e apprendiamo qua è la cultura – il sapere, il fare, i desideri delle persone sono la materia prima dell’educazione e dello sviluppo. Partiamo da quello che le persone portano con sé, trasformiamo questi strumenti di apprendimento di tutti i tipi e generiamo opportunità e possibilità di sviluppo.

D: Qual è la differenza tra quello che si insegna qua e quello che si insegna in una scuola tradizionale?

R: Qui partiamo da loro, da ciò che ognuno porta – questo è lo strumento, questo è il potenziale. Partiamo dal principio che l’apprendimento è qualcosa che genera lo scambio: educazione è qualcosa che esiste solo al plurale, non esiste educazione al singolare. Sono necessarie due persone e quello che scambiano è quello che si ha con quello che non si ha. Noi ci completiamo, l’uno all’altro – a partire da quello che ognuno porta, si costruiscono tutte le sfide.

L’assunto base quindi è apprendere la cultura dell’altro. La sfida è tenere sempre in mente le nozioni di tempo e ritmo, imparate da Sant’Agostino – lui affermava che esiste solo un tempo nella nostra vita, ovvero il presente.  Le persone vivono nel “presente del passato”, nel “presente del presente” e nel “presente del futuro”. I bambini vivono nel presente del presente, ma quando crescono questo non basta più. È contro l’essenza del giovane rimanere nel presente del presente a guardare solo il proprio ombelico. “Giovane” deriva dal latino e si collega a Giove nella mitologia romana (e Zeus nella mitologia greca): quello che può tutto, che è potente, osato, impavido. Per questo costruire “futuri possibili” è incanalare l’energia e il senso della vita dei giovani al di là di ogni limite. L’educatore deve imparare quindi il “tempo e il ritmo” dei propri allievi per costruire – insieme – futuri possibili e auspicabili. La sfida dell’educatore è riuscire a comprendere e a adeguarsi ai tempi e ai ritmi di ognuno. Da antropologo, mi vengono in mente anche le idee di Cliford Geertz sull’importanza di percepire la cultura altrui e di apprendere quello che è.

Puoi imparare di tutto e su tutti, ma in un certo ritmo – in questo tempo della metabolizzazione, della formazione, della conoscenza, della saggezza.

D: Che cos’è la “Pedagogia del bicchiere pieno”?

R: Utilizziamo la metafora del bicchiere. L’IDH o índice de desenvolvimento humano  (indice di sviluppo umano) misura le carenze, la parte vuota del bicchiere. Noi abbiamo deciso di lavorare  l’IPDH o indice potencial de desenvolvimento humano (indice potenziale di sviluppo umano): è quello che le persone portano già, il loro bagaglio di esperienze e conoscenze. L’IPDH misura i punti di forza, la parte piena del bicchiere, che è composta dalla capacità di Accoglienza, di Convivenza, di Apprendimento e di Opportunità di una comunità. Le iniziali di queste parole formano in portoghese “ação” (azione) e questa è la sintesi del lavoro che facciamo. A partire dall’IPDH della comunità costruiamo le strategie di ACAO e questa diventa l’essenza del nostro lavoro di équipe – ognuno dei nostri educatori è formato per raccogliere e apprendere il potenziale, sistematizzare le competenze e a partire da questo sviluppare le dovute azioni educative.

Guardare la comunità non attraverso le carenze, ma a partire dalle sue potenzialità significa costruire un nuovo paradigma, un nuovo modo di osservare, di pensare e di agire. Investire e potenziare ACAO è la nuova strategia.  Apprendere i “punti luminosi” e trasformarli in raggi di luce e calore è il compromesso professionale della nostra équipe e dei nostri partner.

Le politiche pubbliche che si basano sull’IDH non hanno potere trasformativo, perché partono dal principio che ci sono tanti bicchieri vuoti da riempire e un bicchiere vuoto si riempie solo dall’esterno verso l’interno.  In un primo momento questo può avere anche una certa efficacia, ma molto spesso a lungo andare l’acqua si evapora e si torna alla situazione di partenza. Se vogliamo lavorare per la cittadinanza, non possiamo vederla solo come un mercato consumatore. Dobbiamo guardare il lato pieno del bicchiere, ovvero come detto prima l’IPDH, e partire da lì. Per noi è fondamentale fare di tutto per non perdere nessuno per strada, per noi ogni partecipante è importante. Di quante opportunità hanno bisogno i ragazzi affinché facciano le migliori scelte? Non cinque o dieci, ma centinaia, a volte anche migliaia.

D: Raccontaci un po’, ci sono state delle storie molto interessanti di allievi qua che hanno aperto porte del progetto verso scuole convenzionali e perfino di insegnanti che hanno lottato affinché tutta la pedagogia utilizzata qua venisse utilizzata a scuola?

R: Uno dei bambini del progetto “Ser Criança” (Essere bambini), Diemerson,  aveva 11 anni ed era ancora iscritto alla prima elementare. Erano già quindi 5 anni che era iscritto lì – era un allievo bocciato più volte, resistente e persistente (ogni anno, il primo anno).  Lui non sapeva fare le quattro operazioni, ma sapeva giocare a dama molto bene. Io lo guardavo e mi chiedevo: perché Diemerson non impara le quattro operazioni, se sa giocare così bene a dama, che è logica spaziale? Un giorno abbiamo deciso di prendere il gioco di dama, e sulla tavola abbiamo messo dei numeri e, visto che giocavano con tappi di bottiglie, ci abbiamo incollato i simboli delle operazioni e abbiamo creato una regola: puoi mangiare il pezzo dell’avversario solo se fai il calcolo giusto. Molto velocemente Diemerson ha imparato a fare i calcoli! Ci siamo accorti quindi che questo era un modo di utilizzare quello che il bambino sapeva già per fargli apprendere altro. Questo gioco è diventato la “damatica” – dama con matematica. Nel tempo abbiamo inventato più di duemila giochi, tutti costruiti con materiale da riciclo. Abbiamo una serie di sacchi con giochi, anche per affrontare le più diverse tematiche, come la sessualità, la solidarietà, il rispetto.

Un giorno, l’insegnate di un altro bambino, Rafinha, ha dubitato del fatto che lui avesse imparato la matematica in quel modo. Lui le ha spiegato che aveva imparato da un gioco che lui stesso aveva aiutato a creare nel progetto. L’insegnante ha detto che voleva vedere per credere. Lui portò quindi il gioco a scuola e ha insegnato a tutti come fare. Penso che sia stata la prima volta che quell’insegnante ha voluto apprendere qualcosa da un suo allievo. Alcuni giorni dopo, lei gli ha chiesto altri giochi – lui ne ha messi tanti in una sacca e li ha portati a scuola. Allora pensai: questo ragazzo ci aprirà le porte della scuola. E così è stato.

D: Come il progetto iniziale si è espanso?

R: Sin dalla sua origine nel 1984, il CPDC mette in pratica dei progetti di azione educativa e comunitaria e di ricerca-azione culturale. Attraverso pratiche educative innovative e creative, abbiamo stabilito una rete di collaborazioni con istituzioni pubbliche e private che lavora sulla metodologia, su prodotti educativi, su riflessioni teoriche e risultati pratici e contribuiamo a creare nuove alternative per uno sviluppo in armonia e coerente con l’ambiente socio-culturale. Ogni progetto segue delle richieste o potenzialità locali, ma tutti ambiscono costruire un territorio più inclusivo e sostenibile e la co-costruzione di condizioni di vita più degne per ciascuna di queste comunità. Il CPCD vuole essere un punto di riferimento per la costruzione di “Città Educative”, “Città Sostenibili” e “Centri di Eccellenza” e contribuire di forma sostanziale per la consolidazione di princìpi etici, di trasparenza, giustizia ed equità sociale.

Le azioni si basano su tre aspetti principali:

  • Formazione degli educatori: abbiamo imparato che è possibile fare educazione senza scuola, ma che è impossibile fare una buona educazione senza buoni educatori, quindi questo è un aspetto centrale di tutti i progetti;
  • Metodologia innovatrice: si racchiude nel verbo “paulofreirar” e si traduce nelle diverse pedagogie – del cerchio, del giocattolo, dell’abbraccio, del sapone e del bicchiere pieno;
  • Partecipazione e coinvolgimento comunitario: bambini, ragazzi, adulti e anziani non sono visti come beneficiari, ma come soggetti e partner di tutte le tappe dei progetti. Le nostre parole chiavi sono: “empowerment comunitario”

Alcuni dei nostri progetti in atto sono i seguenti:

  • Projeto Sementinha (Progetto piccoli semi): risponde alla domanda iniziale in merito alla possibilità di fare educazione senza scuola: lo spazio-scuola è il quartiere, il contenuto scolastico è la cultura della comunità e gli educatori sono tutti quelli che prendono parte al processo educativo;
  • Cooperativa Dedo de Gente – Progetto creato nel 1996. Questa cooperativa sui generis è formata da diverse piccole fabbriche, o unità di economia solidale, che producono artigianato in forme creative e innovatrici.
  • “Ser Criança” (Essere bambini) – il progetto, iniziato nel 1998, è un’azione complementare alla scuola, con la partecipazione di bambini e adolescenti da 6 a 15 anni che frequentano la scuola pubblica. Le azioni sono fondate sul dialogo e includono i genitori, i ragazzi e la comunità. Sviluppato inizialmente a Curvelo (Minas Gerais), fu il principale centro di sviluppo delle diverse pedagogie e tecnologie sociali del CPCD. Negli ultimi decenni, è stato implementato in diverse città brasiliane.
  • Banco de Solidariedade (Banca della solidarietà) – ogni cliente di questa banca, quando apre il “conto corrente” deposita il suo “tempo libero” e allo stesso tempo dichiara “quello che vorrebbe  insegnare, donare o offrire” alla sua comunità e “quello che vorrebbe apprendere, guadagnare o ricevere” dalla sua comunità. Ideato e sviluppato come un software dall’équipe CPCD, questa banca trasforma in “clienti” e “beneficiari” persone di tutte le età che mettono a disposizione il tempo libero e le proprie conoscenze  da scambiare.
  • Casa famigliare rurale Padre Josimo Tavares – Fondata nel 2008, funziona in base alla pedagogia dell’alternanza: gli allievi rimangono per 15 giorni a scuola e 15 giorni a casa, in modo da applicare quello che hanno appreso. L’obiettivo principale è l’empowerment comunitario attraverso il compromesso con l’ambiente, lo sviluppo economico e con i valori culturali. I giovani allievi vengono formati per diventare agenti di sviluppo comunitario in 23 comunità agricole;
  • Projeto Cuidando do Futuro Agentes Comunitários de Saúde (Progetto Agenti Comunitari di Salute) – progetto di formazione professionale che ha come obiettivo la formazione di agenti comunitari di salute che possano lavorare nelle diverse comunità. Basato sulla rottura di vecchi paradigmi e sul superamento di concetti e pratiche puramente assistenzialisti e sulla promozione del benessere integrale di ciascuno di noi e delle comunità;
  • Projeto Polícia Solidária (Progetto Polizia Solidale) – progetto di formazione professionale, sviluppata in collaborazione con la Polizia Miltare di Minas Gerais e il Ministero della Giustizia, ha come obiettivo promuovere la formazione degli agenti in ambiti come solidarietà e cittadinanza per trasformarli anche in educatori sociali e promuovere un buon rapporto tra loro e la comunità.

 

 

D: I centri funzionano come alternanza alla scuola tradizionale oppure la sostituiscono?

R: I progetti educativi (come il “Ser Criança) lavorano con i bambini e i ragazzi nei cosiddetti “contro-turni” o alternati. Chi frequenta la scuola la mattina, sta con noi nel pomeriggio, e vice-versa. Così avviene nella maggioranza dei casi. Esistono però molti bambini e giovani, che per I più svariati motivi, hanno abbandonato la scuola – li accogliamo lo stesso e, se necessario, a tempo pieno.  In ogni caso, il nostro ruolo non è sostituire la scuola, bensì garantire a tutti, senza eccezioni né esclusioni, la possibilità di apprendere ciò di cui hanno bisogno o che desiderano.

D: Come viene effettuata la valutazione delle diverse attività e dei diversi progetti?

R: Abbiamo sviluppato una tecnologia chiamata “Monitoramento de Processos e Resultados de Aprendizagem – MPRA” (Monitoraggio di processi e risultati di apprendimanto) per accompagnare lo sviluppo dei progetti, come una sorta di piano di volo che deve essere monitorato costantemente, per poter correggere la rotta se necessario.  Abbiamo pensato a dieci domande che vengono proposte mensilmente a tutti i soggetti coinvolti in tutti i progetti:

  • Quante persone hanno iniziato l’attività / progetto? Quanti hanno concluso?
  • Quanto tempo è stato dedicato alla realizzazione dell’attività prevista? È stato sufficiente?
  • Quanti prodotti o materiali di apprendimento sono stati creati? Rispondono agli obiettivi del progetto?
  • Quali sono le evidenze o le garanzie che gli obiettivi siano stati oppure vengano raggiunti?
  • Come le attività sono state sviluppate? Sono ludiche? Innovatrici? Educative? –
  • Cosa possiamo sistematizzare? È possibile costruirci una “teoria della conoscenza?
  • Cosa deve essere ancora messo in pratica per raggiungere gli obiettivi prestabiliti?
  • Se il progetto si dovesse concludere oggi, gli obiettivi prestabiliti sarebbero vicini o lontani?
  • Esiste la necessità di “correggere il tiro” nelle attività o nella metodologia?
  • Il nostro piacere, la nostra allegria e volontà di contribuire al progetto sono aumentati o diminuiti? Perché?

L’altro tipo di valutazione dei progetti che facciamo si basa su indicatori di qualità a partire da 13 macro-indicatori:  1. Appropriatezza = Equilibrio tra l’ambito e il raggiunto; 2. Coerenza = rapporto tra teoria e pratica; 3. Cooperazione = spirito di équipe e solidarietà; 4. Creatività = innovazione e ludicità; 5. Dinamismo = capacità di autotrasformazione secondo le necessità; 6. Efficienza = equivalenza tra il fine e la necessità; 7. Estetica = si riferisce ai sensi di bellezza e piacere provati ; 8. Felicità =sentirsi bene con ciò che siamo e abbiamo; 9. Armonia = rispetto mutuo; 10. Opportunità = possibilità di scegliere; 11. Protagonismo = partecipazione delle decisioni fondamentali; 12. Trasformazione = andare verso uno stato migliore; 13. Compassione = opposto dell’indifferenza; disponibilità all’ausilio, all’altruismo, alla tenerezza e alla solidarietà.

D: Che cosa sono le MDI?

R:L’acronimo MDI sta per Maneiras Diferentes e Inovadoras de… (Maniere differenti e innovatrici di…): abbiamo costruito un gioco dinamico e ludico che si trasforma in strumento di pianificazione. È un modo per stimolare la creatività e l’innovazione – le MDI si basano sulla provocazione, sullo stimolo e sul pensare “out of the box”, lontano dai modelli pre-confezionati e delle soluzioni prestabilite. La sfida continua è trovare nuove strade per affrontare vecchi e permanenti problemi.

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