L’IPERCONNESSIONE E LA SOLITUDINE

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Oggi grazie alla rete ci sembra di poter avere molti più legami che in passato, ma sempre più gente prova cosa sia la Solitudine, vi diciamo perché.

 

Un paradosso nell’era della comunicazione digitale formata da cellulari, Internet e palmari, dove con un clic sappiamo tutto e possiamo dire tutto è la solitudine vissuta percepita e raccontata dalle persone.

“Questa parola, ‘solitudine’ – spiega Rossella Ridolfi, psicologa e psicoterapeuta dello sportello psicologico dell’IC Giovagnoli di Monterotondo, realizzato grazie al Progetto nazionale L’Atelier Koinè, promosso e finanziato dall’Impresa Sociale Con I Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile e che vede la Cooperativa “La Lanterna di Diogene come ente capofila – non ha una definizione univoca: viene descritta come sentimento, emozione oppure stato d’animo a seconda del tempo in cui la sperimentiamo. Rappresenta uno stato soggettivo dell’individuo: infatti il sentirsi soli è più doloroso che essere soli; poiché ciò che è percepito dalla mente è reale e fa male. La solitudine a seguito della pandemia è un dato in sensibile aumento; anche in quella fascia di popolazione che non era entrata nel digitale”

“Nell’era della comunicazione digitale – prosegue la dott.ssa Ridolfi – dove basta un clic per l’aperitivo virtuale oppure per una partita a padel, a calcetto o alla play station ed il vissuto sperimentato è la socialità e la condivisione ma il risultato reale sono tante monadi davanti a una tastiera. In queste situazioni non avendo l’altro reale visibile davanti posso sentirmi libero di lasciare spazio alla fantasia, raccontando ad esempio cosa vorrei essere, piuttosto che chi sono, e questo conduce ad evitare l’incontro perché non mi sento all’altezza ed inizio a costruire la spirale di chiusura dove sperimento piacere nell’inventarmi ed ansia e inadeguatezza nel mostrarmi. Uno degli aspetti alla base della solitudine moderna è il volere avere tutto sotto controllo ed essere i primi ed i più bravi su tutto”.

“Ad assolvere questo bisogno – sottolinea l’esperta – arriva in soccorso, apparentemente, l’iperconnessione. Naturalmente più alimento questo bisogno del controllo virtuale e più l’effetto sarà di perdere il controllo delle cose concrete e reali.  Se pensiamo ai preadolescenti ed adolescenti con i compiti, lo sport e le relazioni interpersonali tutto ciò in cui investo e mi impegno tende a crescere, ciò in cui non investo fallisce, oppure lo perdo. Sembrerà banale ma i rapporti interpersonali si costruiscono attraverso un modo di comunicare verbale, cosa dico, e non verbale (come lo dico). Il gap fra la comunicazione digitale e la comunicazione in presenza si palesa nell’assenza di contatto fisico e quindi di prossemica. Da qui ritorna il circuito vizioso dove più evito la solitudine e quindi più mi connetto e più aumenterò il senso di solitudine”.

“A questo punto è obbligatorio chiedersi perché non si comunica più? La comunicazione qui è intesa come comunicazione di sentimenti, emozioni, amore, delusione, rabbia. Perché nessuno ascolta più? Sembrerebbe essersi svuotato il significato del rapporto interpersonale sia quello con i genitori, che quello con gli amici; ma fondamentalmente ad essersi svuotato è il rapporto con noi stessi; forse anche a causa di numerosi distrattori digitali. Se volessimo dare una lettura clinica dell’iperconnessione quest’ultima rappresenta un sedativo e certamente non una cura per la solitudine. Ci troviamo davanti alla classica situazione in cui la soluzione trovata per il problema, diviene il problema stesso”.

“Può essere utile fornire qualche dato delle ultime ricerche per comprendere il ‘fenomeno’ in modo indiscutibile: ad esempio nel Regno Unito nel 1987 il tempo trascorso nelle relazioni in presenza era pari a sei ore al giorno, nel 2007 questo dato è sceso a due ore e mezzo giornaliere. Questo passaggio dal secolo scorso ad oggi ci racconta: da un lato che c’è stato un cambiamento importante fra la psiche del singolo ed il nostro modo di funzionare con l’aumento della frenesia, l’ansia ed il mondo che ci circonda sembra avere accelerato. Dall’altro si è modificato il nostro Sistema Nervoso Centrale, ma anche la nostra morale poiché per scegliere il bene il male ho bisogno della prossimità vicinanza e questo dato aprirebbe ad una serie di riflessioni con l’altro rispetto lo spaccato sociale che stiamo vivendo ai giorni nostri”.

Un dato significativo, rispetto all’iperconnessione, è di tipo medico infatti le persone con buone relazioni sociali hanno una sopravvivenza del 50% maggiore rispetto a chi ha poche o insufficienti relazioni sociali.

“Il fraintendimento maggiore – afferma ancora – rispetto allo spostamento dalle relazioni in presenza a quelle virtuali ci porta a credere che essere connessi digitalmente in primis equivale ad avere relazioni in presenza ed anche a migliorarle perché “sentiamo” anche persone lontane ed in momenti in cui non avremmo potuto farlo diversamente. Ciò non è vero poiché la relazione interpersonale prevede l’innesco di reazioni emotive che coinvolgono i cinque sensi mentre in rete ne vengono utilizzati solamente due l’udito e la vista. Quali sono le conseguenze che stiamo osservando rispetto a questa iperconnessione e quindi a questa solitudine sperimentata? Solo per indicarne alcune: isolamento, ansia, irritabilità, depressione, inadeguatezza sociale poiché tutto ciò che non alleno non è sviluppato, disturbi del sonno, disturbi dell’alimentazione e l’inevitabile dipendenza dalle tecnologie”.

“Dovremmo farci una domanda: che cosa serve? Riprendere qualcosa che in passato era presente in abbondanza: famiglie numerose, perché il modello modella, scuole aperte, palazzi e strade in cui poter stare-fare-conoscersi e sperimentarsi. In sostanza sviluppare il senso di appartenenza a fronte dell’individualismo ed un tessuto sociale di supporto che oggi sembrerebbe essere venuto a mancare”.

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