Per mesi mi ero limitata ad esistere senza darmi la possibilità di vivere

di

Maria, 14 anni

Era estate. L’odore di salsedine mi riempiva le narici, il sole mi rendeva dorata, il caldo cercava di appiccicarmisi addosso ma io ero gelida, il mio cuore era freddo. I rumori attorno a me sembravano attutiti da una bolla che solo io potevo toccare, afferrare, rompere. Se solo non mi fosse sfuggita di mano, così come la mia vita.

La sabbia sembrava sgretolarsi sotto ai miei piedi o era forse il mio cuore a rompersi? Il cielo sembrava mischiarsi al mare, le mie lacrime alla pioggia fuori stagione. Le onde si scagliavano contro la spiaggia, il loro lieve rumore era l’ancora al quale rimanevo aggrappata per non lasciarmi trasportare completamente dai miei pensieri, dai viaggi della mia mente, dal mio sguardo fisso nel vuoto, all’orizzonte.

I sorrisi non mi appartenevano, li disegnavo forzati, nascosti sotto alla mascherina. Le giornate scorrevano veloci nella solita monotonia, la solitudine assordante della quarantena mi schiacciava e gli abbracci mi mancavano. Tutte le mie certezze erano diventate d’un tratto disegni astratti dai contorni sfocati, non avevo più niente, più nessuno. Vivevo tra le note di canzoni che mi avevano nei loro testi, tra le pagine sgualcite di libri che continuavo a rileggere, troppo spaventata persino di scoprire storie nuove.

Mascheravo le mie ferite e ripetevo di stare bene, mi stavo spegnendo e non facevo niente per evitarlo. Passavo le mie giornate al buio, ignorando quella sottile luce che cercava di porgermi una mano, di farmi aggrappare e ricominciare.
Calpestavo l’erba umida di prati che affacciavano sulla spiaggia, ogni notte mi beavo delle stelle che si riflettevano nei miei occhi, mi specchiavo nel loro fascino senza mai rendermi conto di esserne parte.

Mi sdraiavo a fissare il cielo notturno, correvo all’ombra della pallida luce della luna, lasciavo che il flebile vento mi accarezzasse la pelle e così, di notte, stavo bene. Avevo bisogno di scappare dagli sguardi degli altri per rendermi conto di dover riaccendere il mio. E lo feci, scappai, ogni notte.

Iniziai a mettere nero su bianco i miei sentimenti, a comprendere ciò che provavo, a dipingere fra le mie palpebre ricordi di carezze delicate e baci morbidi. Iniziai a correre per raggiungere l’uscita di quella mia selva oscura, per ritrovare la dritta via. E se non c’era nessun Virgilio a guidarmi allora l’avrei fatto da sola, ero stanca di sentirmi smarrita, non volevo più consumarmi in un’estate che stava per finire.

Urlai a squarciagola, i piedi nella sabbia bagnata di una spiaggia deserta all’alba, le braccia spalancate quasi a voler abbracciare l’aria del mattino, un sorriso spuntò fra le mie lacrime e mi abbandonai in un pianto liberatorio.

Per mesi mi ero limitata ad esistere senza darmi la possibilità di vivere, avevo dato un prezzo alle emozioni senza mai aver cercato qualcosa da comprare, ma la verità era che fossi terrorizzata dalle delusioni, trattenuta dalla paura senza accorgermi che fosse quella a logorarmi. Mi ero ostinata a rimanere sott’acqua respirando in apnea, chiedendomi quando sarei potuta risalire a galla, ignorando di potermi salvare.

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